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World Oceans Day, Senni: “Cambiare la pesca per salvare i mari”

INTERVISTA A DOMITILLA SENNI, portavoce dell’Ong Mediterranean Recovery Action in occasione della Giornata degli Oceani: “Il problema non è solo la plastica. Il Mediterraneo è particolarmente a rischio perchè è un mare semichiuso”.

World Oceans Day, Senni: “Cambiare la pesca per salvare i mari”

Gli astronauti quando guardano la Terra dai loro oblò, e sono quelli che la guardano con la prospettiva migliore, vedono un globo quasi perfetto la cui superficie è ricoperta per oltre il 70% di acqua, concentrata soprattutto negli oceani che sono come un liquido connettivo che collega i continenti. Una visione che mostra quanto l’acqua sia fondamentale per il nostro pianeta. Oceani e mari sono un patrimonio essenziale per l’uomo, ospitano una grande quantità di forme di vita, influiscono sul clima, hanno fonti di cibo basilari e danno ricchezza economica e benessere. Per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’importanza della salvaguardia del loro stato di salute è stata istituita per l’8 giugno la Giornata Mondiale degli Oceani.

A proporre il World Oceans Day fu il governo canadese nel 1992 al Summit della Terra tenuto in Brasile a Rio de Janeiro, nel 2008 la ricorrenza è stata riconosciuta dalle Nazioni Unite. Per celebrare la Giornata si terranno tante iniziative in tutto il mondo, anche in Italia saranno numerose tra cui la caratteristica “Portare il mare in città” realizzata a Milano a cura della no profit Marine Stewardship Council, in cui un prato completamente azzurro è steso su piazza san Carlo per ospitare giochi e incontri. Per approfondire e capire meglio cosa succede agli oceani e ai mari, qual è il loro stato e cosa si fa per la loro tutela ne parliamo con Domitilla Senni, portavoce di Mediterranean Recovery Action, un’organizzazione non governativa attiva nel recupero degli ecosistemi marini del Mediterraneo.

Attualmente sono impegnati nella campagna Adriatic Recovery Project per l’istituzione di una Fishery Restricted Areas (FRA), cioè una zona nelle acque internazionali dell’Adriatico in cui la pesca è chiusa o fortemente ridotta. La Senni è la coordinatrice di questo gruppo di lavoro. Ecco il suo punto di vista.

Perchè una giornata dedicata agli oceani?

“Per ricordare l’importanza degli oceani per il pianeta e per la nostra specie. Gli oceani, purtroppo, sono soggetti ad una serie di impatti tra cui il primo è lo sfruttamento delle sue risorse viventi: la pesca”.

Questa giornata degli oceani esiste da ventisette anni, da undici ha il riconoscimento dell’ONU e quindi una enorme visibilità. Sono utili iniziative così?

“Questa giornata non può essere un evento isolato, deve sollecitare tutta una serie di campagne da parte degli stakeholders, delle persone che amano, rispettano e lavorano con il mare, per sensibilizzare l’opinione pubblica durante tutto il corso dell’anno sui problemi che l’affliggono. Ma anche per le soluzioni. Credo che questa giornata serva per stimolare le persone a mobilitarsi per la salvaguardia dei nostri oceani. Questo è molto importante perchè lancia un segnale politico. Alla fine poi le decisioni sono sempre di tipo politico”.

La Senni, romana, con una una lunga militanza nelle associazioni ambientaliste, 17 anni in Greenpeace, di cui 7 come responsabile per l’Italia, un’attiva partecipazione a Ocean2012, una grande coalizione di 170 organizzazioni di tanti paesi per promuovere la riforma della politica comune della pesca (PCP), tante altre esperienze soprattutto internazionali, è stata membro della Commissione per l’Oceano Italiano e del Consiglio Nazionale per l’Ambiente, ci introduce così nell’argomento. Le immagini di enormi isole di rifiuti plastici portate dalle correnti ormai sono quasi un repertorio, uno standard dell’inquinamento degli oceani. Recentemente ne è stata individuata una anche nel mar Tirreno tra la Corsica e l’Elba in quello che viene considerato un santuario dei cetacei.

Quanto sono a rischio ambientale i nostri mari?

“Beh il Mediterraneo è particolarmente a rischio perchè è un mare semichiuso. C’è poco scambio tra i grandi oceani e il nostro bacino, le acque si rigenerano una volta ogni 80 anni, quindi è un mare particolarmente fragile, è un’area molto antropizzata e c’è un notevole sviluppo e cementificazione della fascia costiera. La plastica ha colpito l’immaginario collettivo perché è visibile. Tutto quello che succede sotto la superficie dell’acqua purtroppo è più difficile da comunicare perché non lo vediamo con immagini cosi impattanti ed eclatanti come le isole della plastica ma negli ultimi decenni c’è stata una grande trasformazione degli ecosistemi marini dovuta anche ai cambiamenti climatici. Si è molto parlato della perdita delle grandi barriere coralline ma le modificazioni del clima comportano anche una acidificazione degli oceani con una variazione della distribuzione delle specie marine. E’ in atto un fenomeno molto complesso, molto profondo e molto preoccupante, in più su questo scenario globale si inseriscono le attività umane, come ad esempio la pesca a strascico di fondo, una pesca che ara i fondali”.

Tante le cause di rischio per oceani e mari e la vita che contengono. Difficile stabilire priorità fare classifiche.

“Un responsabile dell’impoverimento è lo sfruttamento della pesca distruttiva, poi si aggiungono anche gli impatti dovuti ai cambiamenti climatici, le perforazioni per la ricerca di idrocarburi, i trasporti marittimi che incidono sulle rotte migratorie di alcune specie pelagiche o dei grandi mammiferi come le balene o i delfini”.

Oceani e mari, proprio per la loro vitale importanza attirano anche tante attenzioni. La Senni e MedReAct sono protagonisti di una iniziativa che riguarda il mare Adriatico, un progetto che ha realizzato una zona di mare protetta, l’Adriatic Recovery Project che è promosso e sostenuto da una serie di organizzazioni della società civile ed enti di ricerca.

In cosa consiste?

“Questo progetto è nato nel 2016 insieme al Politecnico delle Marche, all’Università di Standford (USA) dove lavorano dei ricercatori italiani bravissimi, Legambiente, Marevivo e MedReAct che coordina tutto questo gruppo. Abbiamo deciso di intervenire nell’Adriatico perché è il mare più produttivo del Mediterraneo ma anche il più sovrasfruttato. Lì c’è un’enorme intensità di pesca. Circa la metà delle catture di prodotti ittici italiane proviene dall’Adriatico, quindi anche dal punto di vista economico è un bacino importantissimo. Una situazione complicata e difficile. Abbiamo cercato di promuovere delle misure innovative che non erano state utilizzate fino in fondo rispetto ad altri strumenti di gestione della pesca. L’Adriatico è un mare molto basso ha una profondità media di 70 metri però ha due depressioni una è nel centro del bacino, la Fossa di Pomo, l’altra è a sud, la Fossa meridionale del Canale di Otranto. Abbiamo raccolto le valutazioni e l’appello dei ricercatori che da 15 anni chiedevano che fosse fatto qualcosa nella Fossa di Pomo perchè proprio lì ci sono aree di riproduzione di alcune specie molto rilevanti per la pesca come gli scampi e il nasello. C’è una nursery di scampi che viene considerata la più importante dell’Adriatico se non di tutto il Mediterraneo. Nel 2015 con un accordo bilaterale Italia e Croazia chiudono la fossa alla pesca per un anno. Nel 2016 l’Italia riapre la pesca in quell’area e in pochi giorni vengono raccolti tuti i benefici della chiusura. Una sorta di autogol per le marinerie. Nel 2017 abbiamo presentato alla Commissione Generale della Pesca del Mediterraneo, organismo regionale che gestisce la pesca in tutto il bacino, la proposta di istituire una Fishery Restricted Area (FRA) proprio nella zona della Fossa di Pomo. Nell’ottobre la Commissione l’ha recepita è oggi c’è una parte chiusa completamente alla pesca dei piccoli pelagici e ci sono due zone cuscinetto divise tra Italia e Croazia”.

Dopo due anni che risultati avete?

“Nel Mediterraneo ci sono otto FRA quasi tutte su carta, quella della Fossa di Pomo è la prima che viene effettivamente attuata, ci sono controlli, c’è un piano di monitoraggio, c’è uno sforzo considerevole per farla funzionare e sta funzionando. La settimana scorsa in Croazia sono stati presentati dai ricercatori i primi risultati del monitoraggio che è stato condotto nella fossa e hanno dato dei dati molto interessanti. La biomassa degli scampi e dei naselli sta aumentando in maniera molto significativa nonostante la fossa sia chiusa solo da due anni”.

I pescatori, le comunità locali, come hanno reagito?

“Abbiamo condotto un’indagine sia in Croazia che in Italia e l’87% dei pescatori che abbiamo intervistato hanno detto che sta funzionando, hanno riconosciuto il valore di questa misura e la stanno sostenendo, cosa che non era scontata due anni fa”.

Un risultato incoraggiante per il futuro?

“Abbiamo presentato una proposta per una seconda riserva nel basso adriatico nel Canale di Otranto che è una zona fondamentale, un collegamento tra l’Adriatico e il resto del Mediterraneo, una rotta migratoria per tante specie vulnerabili, tonni, pescispada, cetacei, balene, delfini e in più contiene anche una biodiversità quasi unica, lì esiste una delle ultime colonie di disitella allungata un corallo bamboo una volta molto diffuso, un ecosistema essenziale perché è zona di rifugio e riproduzione per diverse specie. La fossa è divisa in due parti, quella italiana e quella albanese. Gli italiani sono d’accordo alla chiusura, la flotta albanese non rientra nel regime comunitario di pesca, hanno regole diverse. Questo crea un problema di competizione. Intervenire in quella zona con una FRA non solo aiuterebbe gli ecosistemi ma migliorerebbe anche la gestione della pesca creando delle regole condivise per tutti e prevederebbe anche per la flotta albanese il rispetto delle misure di controllo che attualmente vengono applicate a quella italiana. Ne abbiamo parlato con il ministero, si devono esprimere”.

Il vostro lavoro verso chi è indirizzato? I vostri interlocutori sono le istituzioni o l’opinione pubblica?

“Senza l’opinione pubblica il nostro lavoro sarebbe molto più faticoso quindi bisogna informare, è fondamentale e facciamo del nostro meglio. Bisogna intervenire sui governi e si deve anche interagire con le comunità locali, soprattutto occorre una credibilità dal punto di vista tecnico e scientifico, per questo noi collaboriamo molto con delle università prestigiose”.

Entrate in contatto con molte realtà istituzionali, accademiche, associative. Un punto di vista privilegiato. Avete notato dei cambiamenti negli orientamenti?

“Sicuramente si. Ad esempio per quanto riguarda l’Adriatico, il successo della Fossa di Pomo è stato molto incoraggiante per i ricercatori, vedere finalmente tradotto in misure decisionali i loro studi è stato spettacolare, ci sono stati alcuni che erano commossi, gli ha dato coraggio, hanno cominciato ad essere più propositivi e dire vabbè potremmo fare qualcosa anche in quest’altra zona qui”.

A proposito di fare c’è qualcosa che potrebbero fare il nostri lettori per dare un contributo seppure minuscolo in occasione della Giornata degli Oceani?

“Certo. Come no. Intanto se vogliono informarsi di più possono visitare il nostro sito e la pagina Fb e poi visto che siamo tutti su Twitter possono twittare al ministro Centinaio e al sottosegretario Manzato la richiesta di sostenere la nostra proposta di FRA nel Canale di Otranto. Prende meno di 2 minuti e potrebbe essere sicuramente d’aiuto”.

Lei sa che in questi tempi sulle ong ci si fanno tante domande che spesso restano interrogativi senza risposta. La più ricorrente è: come vi sostenete?

“Riceviamo dei finanziamenti per i progetti che portiamo avanti da un consorzio di fondazioni americane che lavora per la tutela degli oceani, tra gli altri ci sono The Leonardo Di Caprio Foundation, The Rockefeller Foundation, Oceans 5, si può visitare il sito. Loro convergono su una serie di progetti in tutto il mondo per la tutela degli oceani. Quello dell’Adriatico è il primo progetto che hanno finanziato in Mediterraneo” poi precisa “I grandi donatori esteri vedono il Mediterraneo come un caso perso per quanto riguarda la protezione marina perchè l’85% delle specie è sovrasfruttato, perchè c’è molta pesca illegale, perché è stato malgestito. Abbiamo deciso di investire sul Mediterraneo perche ci siamo accorti della poca attenzione che riceveva quando lavoravamo a livello europeo”.

Ci sarebbe ancora molto da dire ma finiamo qui. Il resto sarà motivo per un prossimo incontro, magari per l’apertura della FRA nel Canale di Otranto.

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