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Vacanze in Sardegna tra allarmismo e irrazionalità

Nell’isola c’è molta confusione, panico diffuso e allarmismo ma gestire nella sicurezza le prime vacanze nell’era del Coronavirus senza abbassare la guardia dipende molto da tutti noi: a partire dall’uso corretto della mascherina

Vacanze in Sardegna tra allarmismo e irrazionalità

“Stai attenta in Sardegna, mio figlio è scappato. Tutti gli amici dei suoi figli, in vacanza con loro, sono positivi e ora anche i miei nipoti, appena rientrati in città, devono fare il tampone”. “Non andare in Costa Smeralda, tutti i nostri vicini sono positivi, bloccati in quarantena nelle loro case di vacanza”. “Occhio ai giovani in spiaggia, quelli della Pantogia sono in isolamento, ma vengono tutti qui”.

Sono arrivata da 24 in Sardegna e queste sono le frasi che mi hanno accolto. Le poche persone che ho incontrato o quelle che ho sentito per telefono hanno pensato di dovermi mettere in guardia. La sensazione è di panico diffuso. Cerco di non farci caso e di comportarmi come ho sempre fatto anche in luglio, quando ero qui: mascherina e distanze fanno parte della mia vita dalla fine del lockdown. Sono di Bologna e l’Emilia è stata una delle regioni più colpite, quindi ho imparato a essere rigorosa per limitare i rischi, per quanto possibile.

Giustifico l’allarmismo degli amici, che sono magari in vacanza altrove, con le notizie ferragostane e cioè la festa a Porto Rotondo da cui sarebbero partiti molti contagi, i positivi nel resort di Santo Stefano e ora i positivi fra i dipendenti del Billionaire. Fatti che stanno inducendo la Regione a proporre test per chi entra e chi esce. È giusto o non è giusto? Non lo so. So che con questo pericolo dobbiamo convivere ancora molti mesi e se non vogliamo ripiombare nel panico e tenere la situazione sotto controllo dobbiamo attenerci alle linee guida di che ne sa più di noi. Questo, personalmente, mi ha consentito di prendere un aereo, un traghetto e di andare in vacanza. Opportunità che mi parevano un miraggio in aprile.

Visto che tutti abbiamo condiviso la stessa esperienza, mi chiedo ora perché il figlio della mia amica è scappato e non si è preoccupato all’arrivo di istruire bene i suoi figli sul modo di comportarsi? Perché, prima di tornare nella sua città, andare in traghetto o in aereo, non ha fatto fare ai suoi ragazzi il tampone sull’isola, limitando così il rischio diffusione in altri luoghi? Perché “quelli della Pantogia”, se davvero sono in quarantena, vanno in spiaggia? Non c’è nessuno che controlla? Oppure questa voce è falsa e inventata da qualcuno?

Probabilmente notizie vere e notizie false si mischiano per il solo gusto di ingigantire un problema già di per sé enorme. E un fatto che mi disturba molto e che trovo incivile. Mi provoca la stessa sensazione di quando, persone assai arrabbiate con il governo, gridano ai 4 venti che loro evadono le tasse o chiedono il bonus sottolineando di non averne bisogno: “Tanto l’Italia non merita niente”. Ma l’Italia non siamo noi? È sempre il vecchio problema: si cerca una scusa, la più facile, per i propri comportamenti meschini. “Piove, governo ladro!”, è una battuta di spirito che è diventata uno stile di vita.

Oltre ai moniti da fuori, però mi hanno colpito in queste 24 ore anche alcuni comportamenti “dentro”. Forse armata di ottimismo, ma anche di mascherina, sono andata una volta al ristorante, una volta al bar e una volta in un circolo di cui sono socia. In luglio, in Sardegna, tutto il personale o i camerieri con cui ho avuto a che fare indossavano la mascherina anche all’aperto. In queste 24 ore invece nelle tre occasioni che ho avuto di uscire dal perimetro di casa, i lavoratori tenevano la mascherina abbassata, sul mento, come nelle barzellette. Ho provato a sollecitare l’uso corretto di questi strumenti, con il garbo di cui sono capace e in tutti i casi ho avuto l medesima reazione di insofferenza.

“Noi siamo qui a lavorare e voi venite a divertirvi e questa è la situazione nella quale ci troviamo”. “Tanto fra un po’ chiudiamo tutto”. “Io mi preoccupo per mia madre”. “Il lavoro mi serve ma la vita conta di più”. “Non ha visto quello che sta succedendo? Lo sa che la mascherina mi da delle apnee? E poi a che serve?” “Sa quante persone vengono qui senza mascherina?”. Non replico oltre perché i miei interlocutori sono piuttosto arrabbiati e temo che non riuscirò a farmi ascoltare. Vedo però quanto rancore c’è nell’irrazionalità di questi argomenti e comportamenti. Certo il mio campione è limitato nel tempo e nei numeri.

Però, vorrei dire a queste persone che, se il tasso di contagio è in crescita bisogna essere ancora più rigorosi. Fregarsene perché il virus sta dilagando, perché alcuni turisti si sono comportati male e non hanno istruito adeguatamente i loro figli, è quanto di peggio si possa fare. Non tutela certo la mamma del cameriere arrabbiato, anzi la pone più a rischio. E non serve a cancellare quanto accaduto fin qui. Serve solo ad aumentare il pericolo per tutti coloro che sono sull’isola. Se tutti cercassimo di agire nel migliore dei modi, gli uni per gli altri potremmo avere delle possibilità, come è stato a giugno, quando timidi abbiamo rimesso il naso fuori dalle nostre case, con tutte le precauzioni del caso.

Lo so, sembra il predicozzo della domenica di uno che non ha nemmeno l’autorevolezza per farlo. Credo però che in momenti come questo fare un bel respiro (fuori dalla mascherina quando si è da soli) prima di parlare e di agire sia davvero indispensabile.

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