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Usa, dove porta la svolta conservatrice alla Corte Suprema

La nomina di Amy Coney Barrett alla Corte Suprema Usa segna una svolta che va altre le elezioni presidenziali e che rimodella il sistema giudiziario ipotecando il dopo Trump

Usa, dove porta la svolta conservatrice alla Corte Suprema

Se i repubblicani riescono a piazzare Amy Coney Barrett alla Corte suprema, prima delle presidenziali, una eventuale sconfitta sarà meno amara da buttar giù. A quel punto, il futuro del paese, con una maggioranza di 6 a 3 alla Corte suprema, sarà forgiato dai conservatori.

E in questo senso Donald Trump ha fatto un grande lavoro. Solo nel settembre 2020 Trump ha nominato con cariche a vita, nelle varie corti federali, 12 giovani giudici conservatori che vanno ad aggiungersi alle oltre 200 nomine giudiziarie effettuate nel suo primo mandato. Un record! Due in meno di Obama che ha governato quattro anni di più.

La strategia ideata da Mitch McConnell, il leader di maggioranza al Senato, di nominare, senza alcun indugio, in tutte le corti federali giovani giudici di provata fede conservatrice è andata a buon segno.

Proprio per questo il Partito repubblicano ha accettato, senza troppo ritrosie, l’ostica leadership di Trump che si allontana molto dalle linee tradizionali e dallo stile del GOP. Forse questo stato di cose

spiega anche l’appoggio leale del partito a Trump nella disastrosa gestione della pandemia. (Mike Pence però porta sempre la mascherina).

Il rimodellamento del sistema giudiziario

A questo proposito scrive Kadim Shubber sul “Financial Times”:

«I quattro anni della presidenza Trump hanno permesso ai repubblicani di riconfigurare dalle fondamenta il sistema giudiziario degli Stati Uniti, nominando giudici di destra nelle corti federali a un ritmo che non ha precedenti nella storia americana. Questa iniziativa ha rimodellato il sistema giudiziario in una direzione più conservatrice su questioni di grande portata come il controllo delle armi, i diritti di voto, la protezione ambientale, l’immigrazione e l’aborto».

Dopo le elezioni si potrebbe profilare un nuovo scenario politico che Kadim Shudder tratteggia così:

«Un futuro Congresso a controllo democratico potrebbe passare leggi sul cambiamento climatico o sull’assistenza sanitaria per poi vedere queste leggi rovesciate dai giudici con l’argomento che il governo è andato oltre le sue competenze».

Il tema più rovente

Uno dei temi più caldi e sentiti dalla nazione, cioè l’aborto legale, potrebbe essere la prima vittima del sistema giudiziario sotto il controllo conservatore.

Ed ecco che si arriva alla nomina di Amy Coney Barrett alla Corte suprema. La Barrett ha una carriera impeccabile e anche le capacità per sedere nel massino organismo giudiziario del paese.

È stata allieva di Antonin Scalia, uno dei maître à penser della dottrina costituzionalista americana detta “originalismo”. Secondo questa dottrina la Corte suprema, nel sentenziare, deve attenersi alla lettera del testo originale della Costituzione. La Barrett non è una giudice originalista ma ha mostrato di condividere molte opinioni di Scalia, compresa quella sull’aborto.

Scalia ha dichiarato pubblicamente che la sentenza della Corte nel caso Roe vs. Wade (1973), che ha legalizzato il diritto all’aborto in tutto il paese, è errata costituzionalmente e dovrebbe essere abolita. Non esiste il diritto costituzionale di abortire. Se le donne vogliono abortire, deve essere approntata una legge specifica.

Scalia, amico anche giudice liberale Ruth Bader Ginsburg recentemente scomparsa, confinava la sua opposizione alla sentenza nell’ambito formale del diritto costituzionale, mentre la Barrett si è spinta oltre varcando questa soglia e dichiarando l’aborto “immorale e sbagliato”.

Un femminismo conservatore

Nel suo complesso la posizione della Barrett non è però inscrivibile nell’antifemminismo degli anni Settanta. Piuttosto è l’espressione di un nuovo mood delle donne conservatrici che considerano alcune conquiste del movimento femminista come giuste e importanti. Ma, allo stesso tempo, sono molto critiche nei confronti dello squilibrio che questo movimento ha portato all’interno delle istanze complessive delle donne. Per questo l’opinionista del “New York Times” Ross Douthat, in suo intervento sul quotidiano di New York, parla di un femminismo conservatore a proposito della Barrett e cerca di delinearne i tratti di massima. È interessante seguire il suo discorso che vi proponiamo di seguito.

Buona lettura! E non preoccupiamoci troppo, la maggioranza degli americani (il 61%) appoggio l’aborto legale. Chi non la pensa così, ha una montagna da scalare per sovvertirlo.

R.B.G. come Che Guevara

Ruth Bader Ginsburg (R.B.G.), alla fine della sua lunga e illustre carriera, era più di un semplice giudice della Corte Suprema. Era diventata un’icona. Era un simbolo culturale, l’impersonificazione di un’epoca e di una causa.

La sua particolare notorietà affondava le radici nel modo in cui la sua lotta per le pari opportunità delle donne e per la loro causa aveva aperto uno spazio nuovo nella mentalità del pubblico e nell’azione della politica.

Come giurista Ginsburg apparteneva alla componente liberale della Corte suprema (era stata nominata da Bill Clinton). Un membro importante ma non di straordinario rilievo, non certo del rilievo come la famigerata R.B.G. che incarnava il femminismo liberale e un’intera storia di lotte e di conquiste condensate nelle sue tre iniziali e nella sua stessa vita.

Adesso arriva A.C.B.

La scelta di Amy Coney Barrett a succederle, non è nel solco di R.B.G. La combinazione tra una carriera di successo, la fede e una vita familiare — piuttosto inusuale tra i coetanei della Barrett dello stesso strato sociale — non incarna tanto la storia recente del femminismo, ma piuttosto la domanda che il successo di questo movimento ha suscitato.

Vale a dire, può esistere un femminismo conservatore che sia peculiare, coerente e influente e che vada al di là delle sottoculture religiose, di natura particolare, come quella delle facoltà dell’Università di Notre Dame?

L’antifemminismo storico

Per femminismo conservatore intendo qualcosa di diverso dalla resistenza di un certo mondo femminile degli anni Settanta nei confronti dei movimenti delle donne, sia nella forma sofisticata di Joan Didion che nella espressione popolare di Phyllis Schlafly.

L’antifemminismo della Schlafly, il nucleo ideologico del conservatorismo femminile degli anni Settanta, sosteneva che la spinta per l’avanzamento sociale delle donne era o inutile o nefasta, perché dava loro delle cose di cui non avevano veramente bisogno e perché toglieva — soprattutto alle madri — il sistema di protezioni su cui facevano affidamento.

La icona della Schlafly era la casalinga indaffarata. Il fatto che fosse in prima persona una figura così fortemente pubblica non cambiava la sua fondamentale identità di baluardo della sfera domestica.

Il riconoscimento del femminismo storico

Un femminismo conservatore oggi, d’altra parte — se possiamo dire che anche esista –, è più di adattamento che di opposizione.

Si dà ormai per scontato che molto di ciò per cui la Ginsburg ha lottato è stato necessario e anche giusto che sia accaduto.

Si riconosce che il vecchio ordine aveva soppresso il talento e l’ambizione femminile; che il sessismo e la misoginia erano forze più potenti di quanto molte antifemministe reputavano; si concorda sul fatto che la carriera della Barrett — nel mondo accademico e ora come aspirante alla Corte suprema — non avrebbe potuto svilupparsi negli anni 50.

Il femminismo conservatore saluta tutti questi cambiamenti come un bene per le donne e per la società americana.

Le conseguenze del femminismo

Ma sostiene anche che le vittorie del femminismo storico hanno portato a uno squilibrio, a uno sbilanciamento nel mondo delle donne. Hanno avuto delle conseguenze che occorre correggere.

Hanno favorito più l’affermarsi dell’ambizione professionale che di altre aspirazioni. La società, forgiata da questi cambiamenti, ha perduto il suo equilibrio non solo tra lavoro e vita privata ma anche in altri ambiti come il sesso, le relazioni affettive, il matrimonio e la crescita dei figli.

Ha portato anche a un estraniamento tra i sessi, distanziandoli piuttosto che avvicinandoli.

Infine ci sono stati troppi figli desiderati, che non sono mai nati.

Questa analisi non è necessariamente conservatrice; potrebbe essere anche condivisa dalle femministe più radicali per le quali l’alienazione, l’estraniamento e il disagio sono problemi sentiti. Ma, per loro, sono anche la prova di tratti duraturi del patriarcato nella società americana e del capitalismo che devono ancora essere superati.

La tesi conservatrice

La tesi conservatrice, tuttavia, non è quella di marciare più a fondo nella direzione di Marx o di Judith Butler (capostipite della teoria queer), ma di coniugare la nuova realtà femminista con alcune idee del vecchio regime sulla centralità del matrimonio, dei figli e dell’impegno religioso.

Questo tentativo di sintesi non ha un’unica teoria dominante. La sua elaborazione ha raggiunto l’acme negli anni Novanta con scrittori come Barbara Dafoe Whitehead, ma mostra molte espressioni concrete in America: donne professioniste (e, per estensione, mariti con i redditi cumulati alle mogli) i cui percorsi di vita assomigliano in genere alle persone della loro classe, ma presentano alcune scelte che sembrano fuori dal comune.

Si tratta di scelte come quelle di una vita di coppia più breve e di matrimoni precedenti, quattro o cinque figli invece di due e di altre comportamenti più codificate nella tradizione come una maggiore frequentazione della chiesa, dei social network, una vita più vicina alla famiglia allargata, una carriera lavorativa progettata più intorno alla famiglia che ad altre mire.

Amy Coney Barrett con il marito e i sette figli (due adottati da Haiti)

Il significato di A.C.B.

A confronto del percorso di vita di una donna istruita di 80 anni fa, queste donne assomigliano molto alle eredi di Ruth Bader Ginsburg. Rispetto ai più importanti esempi contemporanei del femminismo liberale — tra i quali le due colleghe giudici femminili della Ginsburg (Sonia Sotomayor e Elena Kagan) e la candidata democratica alla vicepresidenza (Kamala Harris) — assomigliano un po’ di più a Amy Coney Barrett, anche se le dimensioni della sua famiglia e la portata del suo successo professionale la rendono l’eccezione più che la norma.

Questo significa che, se elevata alla Corte suprema, probabilmente avrà più notorietà di quella di un semplice giudice supremo. Sarà più che altro il simbolo culturale sul modello R.G.B. — come A.C.B., acclamata o diffamata — con la sua tipica, anche se più piccola, base di sostenitori.

A questa si affiancherà una folta schiera di critici che considera eccessiva la sua fecondità (7 figli, di cui 2 adottati da Haiti) e la sua pretesa di un nuovo tipo di femminismo un semplice imbroglio. Ovviamente se A.C.B. avrà un ruolo nel cambiare la posizione della Corte suprema sull’aborto, quest’ultima critica si acuirà.

L’essere sotto i riflettori è qualcosa che accade a qualsiasi figura pubblica, figuriamoci a una mamma con tanti adolescenti e con i conservatori pronti a mettere l’adesivo con le iniziali A.C.B. sul paraurti dei pick-up.

Ci sono però due considerazioni da fare. In primo luogo, gli esseri umani non sempre sopportano il peso che la politica dell’identità gli impone, cosa che è fin troppo chiara nella vicenda dell’ultima grande speranza conservatrice femminile, la ex-governatrice dell’Alaska, Sara Palin.

La ricerca di un programma politico

In secondo luogo, una delle ragioni per cui il femminismo conservatore, come l’ho descritto, non gioca un ruolo sostanziale nella politica americana è che non è stato ancora distillato in un programma politico convincente — a favore della donna, della madre, dell’equilibrio tra lavoro e vita privata — dal partito conservatore, sempre più dominato dagli uomini. (Un’altra ragione, naturalmente, è che questo partito è guidato da Donald Trump).

Ci sono sforzi per cambiare questa situazione, compreso un interessante tentativo dei conservatori di rifarsi al lavoro di Elizabeth Warren svolto prima di entrare in Senato, quando era più a destra che a sinistra.

Si tratta di un lavoro che non è stato mai portato a termine. Nasce da una visione originalista della giustizia con un ambito di intervento limitato a quello giudiziario. È quello che la Barrett promette di fare. Non sarà probabilmente il leader di cui questo progetto ha bisogno, per quanto la sua storia personale sembri invece dire che potrebbe esserlo.

Da qui trae origine un test sul conservatorismo della Barrett: cosa sta facendo nella sua azione pubblica per rendere il suo tipo di vita, professionalmente impressionante e personalmente pieno, più disponibile, accessibile e immaginabile per le donne che non sono nominate alla Corte suprema?

Fonte: Ross Douthat, The Meaning of Amy Coney Barrett, The New York Times, 26 settembre 2020.

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