Condividi

Ucraina, la guerra è un pericolo reale e solo un accordo Usa-Russia può evitarla: parla Silvestri (Iai)

La guerra tra Ucraina e Russia è un “pericolo reale” anche se “le probabilità sono basse”: lo sostiene in questa intervista STEFANO SILVESTRI (Iai) secondo cui ci vorrebbe un gentleman agreement Biden-Putin per uscire dalla crisi

Ucraina, la guerra è un pericolo reale e solo un accordo Usa-Russia può evitarla: parla Silvestri (Iai)

La Russia si appresta a invadere l’Ucraina oppure no? Se non fosse che i mercati sprofondano e si rialzano assieme alle notizie di tank che restano o che partono, quello che sta accadendo ai confini orientali dell’Ucraina, in pieno centro dell’Europa, potrebbe sembrare anche un gioco divertente. Ma non lo è per niente e per due motivi: perché la posta è troppo alta (si parla di guerra e di pace) e perché nel caso più devastante, se si arrivasse al conflitto aperto, sarebbe difficile individuare i vincitori.

FIRSTonline ne parla con Stefano Silvestri, uno dei più autorevoli e competenti studiosi di politica estera e di questioni militari legate alla geopolitica. Già presidente dello Iai (Istituto Affari Internazionali) e oggi consigliere scientifico, Silvestri è membro del Consiglio di amministrazione della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad) e della commissione Trilaterale, il think tank composto da poche centinaia di persone in tutto il mondo che puntano a promuovere la collaborazione fra i Paesi delle tre aree più influenti del pianeta (da qui Trilaterale): Europa, Giappone e Nord America.

Partiamo dal campo di gioco: come si presenta in questo momento, dopo essere entrati in quella che è stata definita la crisi diplomatica più grave degli ultimi tempi. Intendo i protagonisti in campo: Ue, USA, Russia e Ucraina. E sullo sfondo, la Cina. Come si sono comportati e si stanno comportando a suo giudizio?

«Siamo ancora nel bel mezzo di una crisi che può andare nelle direzioni più diverse, con conseguenze e costi, umani ed economici, che potremo valutare solo al suo termine. È quindi difficile valutare a questo stadio i comportamenti dei vari protagonisti: conosciamo le loro mosse iniziali, non quelle conclusive. Tuttavia è possibile tentare alcune osservazioni. La Russia in primo luogo: sta conducendo una partita ad alto rischio, quasi un gioco d’azzardo, con una posta molto alta. È possibile che voglia ottenere solo l’indipendenza di fatto del Donbass, ma è più probabile che voglia riconquistare peso politico in Europa, allargando le divisioni tra alcuni Paesi europei (Germania, Francia e Italia potrebbero essere nella lista) e gli Stati Uniti, intimidendo i paesi dell’ex Europa orientale e riconquistando peso nei Balcani. Sinora, però, sembra aver ottenuto il risultato opposto. Questo complica molto l’eventuale conclusione della crisi, perché un’ulteriore umiliazione di Mosca la costringerebbe sempre più ad appoggiarsi alla Cina e a ridurre le sue ambizioni globali».

Di contro, USA e Cina, almeno per ora, hanno guadagnato molti punti.

«Gli USA in particolare non si sono limitati a rafforzare e garantire gli alleati, ma hanno anche mantenuto uno strettissimo coordinamento politico con essi, a molteplici livelli, assicurando così la tenuta del consenso transatlantico, malgrado le diverse vulnerabilità dei singoli Paesi in campo militare, economico ed energetico. Il problema è come arrivare a una conclusione della crisi, che richiederà probabilmente un qualche tipo di accordo politico bilaterale tra Mosca e Washington: quali costi ricadrebbero in primo luogo sugli alleati europei, volenti o nolenti che siano?».

«La Cina si è trovata a godere di una buona rendita di posizione. Ha potuto generosamente estendere la sua garanzia economica alla Russia, in cambio di forniture energetiche che comunque doveva ottenere, e nello stesso tempo giocare il ruolo del grande fratello interessato alla pace e all’ordine mondiale, di fronte a tutte queste altre potenze così militarmente “impulsive”. Il suo problema sarà però quello di come regolarsi, se la crisi, com’è possibile, si concluderà con un rilancio dei negoziati sul controllo degli armamenti. Negoziati da cui in genere essa è riuscita a tenersi scrupolosamente fuori, gestendo in piena autonomia la sua attivissima politica di riarmo nucleare e convenzionale. Questa volta Russia e USA sarebbero molto meno accomodanti e Pechino sarebbe costretta a chiarire meglio le sue ambizioni e a dire al mondo quanto effettivamente è disposta a concedere per la pace e la sicurezza globale».

«Infine, l’Europa: ha retto meglio di quanto molti prevedessero, ma non per questo è riuscita a dare un’immagine di reale consistenza e unità politica. Si è mantenuta in linea con l’alleato americano, ed è già molto, ma non ha elaborato una sua strategia autonoma collettiva. Da Macron a Scholz e agli altri, ognuno ha espresso una sua posizione differenziata, anche se compatibile con la tenuta transatlantica. Ma qui è in gioco anche la capacità europea di esprimere una sua linea di politica estera, e questa non l’abbiamo vista, o almeno non ancora».

C’è qualcuno che non ha mai creduto sul serio al pericolo della guerra. Lei cosa pensa? È concreto? Oppure è un gioco di pressione psicologia da una parte e dall’altra?

«Una cosa è affermare che una guerra in Ucraina avrebbe per la Russia costi spropositati e vantaggi minimi, e dovrebbe quindi essere improbabile, e una cosa del tutto differente è affermare con certezza che non avremo alcuna guerra. Vedremo come si svilupperà la crisi. Quando tante forze vengono mobilitate per così lungo tempo, in settori strategici così delicati, tutto può accadere molto rapidamente. Il pericolo è reale, anche se le probabilità, razionalmente intese, sono basse. Ma la razionalità è spesso sopravvalutata. La chiave della dissuasione e delle crisi non è solo nelle forze in campo e nel calcolo dei costi/benefici: è soprattutto nel gioco delle percezioni reciproche, di ciò che uno pensa che gli altri pensino, e nella comprensione dei messaggi che vengono dagli avversari. Più questi messaggi sono difficili da decifrare, più aumenta il rischio di errore e quindi di escalation. Purtroppo i messaggi che provengono dal Cremlino non sono affatto chiari. Cosa vuole effettivamente Putin? Senza maggiore chiarezza la guerra resta possibile».

Lei pensa che la Russia abbia ragione a sentirsi assediata?

«L’Unione Sovietica ha perso rovinosamente la Guerra Fredda e la Russia è costretta a pagarne il prezzo. Probabilmente l’Occidente vincitore poteva comportarsi con maggiore delicatezza e discrezione, ma tutto sommato direi che la Russia stessa ha cominciato a lamentarsi solo a cose fatte, quando ha deciso che non voleva fare parte anch’essa dell’Occidente, perché non avrebbe avuto la stessa prevalenza e rango del suo antico nemico, gli USA, e anzi avrebbe dovuto accettare un rapporto paritetico con quei ricchi Paesi europei occidentali che per anni aveva tenuto sotto ricatto. Qui abbiamo due problemi distinti. Il primo è l’apparente volontà di Mosca di ricostituire una sorta di cuscinetto neutrale o quantomeno poco armato, che le permetta un maggior peso nei suoi rapporti con la NATO e con l’UE. Ma siccome un simile obiettivo comporterebbe la frammentazione di queste due realtà tra Paesi di prima e di seconda classe, è probabile che persino al Cremlino, su questo punto non si facciano illusioni».

«Il secondo problema è più delicato: alcuni a Mosca sembrano convinti che le repubbliche indipendenti nate dalla frammentazione dell’URSS (con la sola possibile eccezione delle tre repubbliche baltiche) non siano delle reali entità nazionali, ma delle “finzioni di comodo” che dovrebbero riconoscere la patria potestà della Russia, in particolare sulle questioni di sicurezza e politica estera. La questione è resa più difficile dal fatto che le singole repubbliche ex-sovietiche hanno ciascuna legami molto diversi con Mosca, ed è quindi quasi impossibile individuare regole precise ed uniformi di comportamento. Ma se di assedio parliamo dovremmo piuttosto considerare quello russo nei confronti delle singole repubbliche ex-sovietiche».

Anche lei pensa che la NATO sia stata resuscitata da Putin in questo modo?

«Certamente le minacce di Putin hanno permesso agli americani di rilanciare la NATO, ottenendo l’entusiastico consenso degli europei, che vi hanno visto anche la fine, almeno per ora, della campagna antieuropea di Trump. Tuttavia è un rilancio molto provvisorio. Anche qui dovremo fare una valutazione più precisa solo a bocce ferme. Certamente questa crisi ha riportato l’Europa in primo piano anche a Washington, ma non ha cancellato affatto l’importanza crescente del Pacifico e della Cina: questa potrebbe essere stata una delle ultime occasioni in cui gli americani si sono così fortemente impegnati in Europa. È molto probabile che ora crescerà la pressione di Washington perché gli europei assicurino in proprio una maggiore porzione della loro sicurezza, lasciando liberi gli americani di concentrare più forze sullo scacchiere asiatico. La NATO era, è e rimane importante, ma il problema di fondo degli europei non cambia».

Da dove si dovrà ripartire? Il protocollo di Minsk è attuale?

«Tutti ci auguriamo che si possa ripartire da Minsk, ma questo richiede importanti concessioni da Kiev, oltre che la cooperazione di Mosca, e non sarà facile da ottenere. Ma la crisi reale potrà concludersi solo con un “accordo tra gentiluomini” bilaterale tra Mosca e Washington che consenta a Putin di salvare la faccia. Questo, naturalmente, a condizione che la crisi non peggiori improvvisamente».

Stefano Silvestri
Stefano Silvestri (Imagoeconomica)

Commenta