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Tfr in busta paga? Più tasse per aziende e dipendenti ma decida il lavoratore

Inserire in busta paga l’importo del Tfr trasformandolo in retribuzione diretta a tutti gli effetti comporta un trattamento fiscale più oneroso per il dipendente ed un assoggettamento contributivo più costoso per l’azienda – Ma spetta al singolo lavoratore e non ai sindacati decidere che cosa vuol fare del proprio Tfr

Tfr in busta paga? Più tasse per aziende e dipendenti ma decida il lavoratore

Forse vale la pena di ricordare che il trattamento di fine rapporto è stato introdotto in sostituzione dell’indennità di anzianità con la legge 29 maggio 1982 N. 297. L’indennità di anzianità veniva riconosciuta dalla cessazione del rapporto di lavoro nella misura di una mensilità per ogni anno di anzianità aziendale (per i dirigenti veniva addirittura riconosciuta una mensilità e mezza).

Il lavoratore accumulava pertanto una cifra considerevole che beneficiava della significativa evoluzione retributiva dovuta alla crescita professionale e alla dinamica retributiva, fortemente legata a un’inflazione annua la cui dinamica in quegli anni viaggiava a due cifre. Poiché il sistema non era più sostenibile in termine di costi e di ulteriore “motore di crescita inflattiva”, l’indennità di anzianità venne sostituita dal trattamento di fine rapporto.

Con la nuova normativa il trattamento di fine rapporto assume la caratteristica, a tutti gli effetti, di retribuzione differita calcolata sulla retribuzione di ogni singolo anno, non più sull’ultimo anno di lavoro, rivalutata con un meccanismo che privilegia il lavoratore nel caso in cui l’inflazione sia al di sotto del 6% e contiene, invece, il costo dell’azienda nel caso in cui l’inflazione sia al di sopra del 6% e con trattamento contributivo e fiscale differenziato rispetto alla retribuzione corrente.

Successivamente il dibattito si è spostato sull’utilizzo di tale accantonamento da autofinanziamento per l’azienda a possibilità di utilizzo anticipato da parte del lavoratore in particolari casistiche previste dalla legge o dai contratti collettivi, a finanziamento di fondi pensione. 

Fin dai primi anni 90 la materia delle forme pensionistiche complementari aveva trovato specifica disciplina normativa, ma soltanto con il decreto legislativo numero 252 del 5 dicembre 2005 e con la successiva Legge Finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006 n. 296) il quadro di riferimento sulla previdenza complementare e sull’utilizzo del Tfr è stata completata.

Il d.lgs sopra citato (e i successivi decreti applicativi) ha definito le modalità di destinazione del Tfr maturando, con decorrenza dal primo gennaio 2007; il trattamento di fine rapporto veniva automaticamente dirottato ai fondi integrativi pensione o, in assenza di questo all’Inps, ad eccezione del Tfr di spettanza dei lavoratori dipendenti delle piccole imprese che potevano scegliere di lasciarlo all’azienda o di versarlo ai fondi pensione.

Ne consegue che il Tfr è stato oggetto di interpretazioni/mediazioni con finalità diverse: “Rafforzare il sistema pensionistico nazionale che diventava sempre più penalizzante, in particolare per i giovani, ma evitando di penalizzare le piccole imprese. Tutto ciò creando, ovviamente, forte differenziazione tra i lavoratori e le loro aspettative pensionistiche”.

Trattandosi di una retribuzione differita, la volontà del lavoratore sul proprio utilizzo viene fortemente condizionata dalle scelte di politica pensionistica o di attenzione all’autofinanziamento delle piccole imprese, mentre ogni ragionamento dovrebbe partire dal presupposto che si tratta di competenze/spettanza del lavoratore e come tale dovrebbe essere il lavoratore (e non il sindacato) ad esercitare l’opzione di utilizzare una quota del salario di propria competenza, responsabilizzandolo però che l’utilizzo anticipato del trattamento di fine rapporto gli preclude la possibilità di poter realizzare un sistema pensionistico integrativo a quello nazionale e pertanto dovrà tener conto di una significativa riduzione del proprio reddito al momento dell’accesso alla pensione.

Inserire in busta paga l’importo del Tfr trasformandolo in retribuzione diretta a tutti gli effetti comporta un trattamento fiscale più oneroso per il lavoratore ed un assoggettamento contributivo più costoso per l’azienda.

Mantenere l’attuale trattamento fiscale e contributivo al Tfr ma erogarlo mensilmente comporta un aggravio amministrativo onerosissimo per le aziende, in quanto il trattamento fiscale deve essere sistematicamente aggiornato in funzione delle aliquote medie percepite e il lavoratore rischia di non sapere mai quale sarebbe il suo trattamento netto, in quanto la normativa attuale prevede che al Trattamento di Fine Rapporto venga applicata, dal punto di vista fiscale, l’aliquota media Irpef dei due anni precedenti e non quella corrente, sicuramente più elevata.

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