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Terremoto Irpinia 40 anni dopo: la classe dirigente resta inadeguata

Una testimonianza sulla tragedia del 1980 che è costata più di 3 mila morti e che ha richiesto 60 mila miliardi di vecchie lire per la ricostruzione, ma che ha messo a nudo tutta la miopia della classe dirigente di allora e di oggi

Terremoto Irpinia 40 anni dopo: la classe dirigente resta inadeguata

Cade oggi il quarantesimo anniversario del terremoto in Irpinia. Il ricordo di una tragedia, di settimane e mesi vissuti tra lutti, distruzione e speranze. Sono stato testimone diretto di quell’evento; per professione ero costretto a raccontare. Passata la paura, superata ogni angoscia rispetto a familiari e amici, si pose il problema della ricostruzione. Da dove cominciare dopo i moniti gravi del Presidente della Repubblica Sandro Pertini?

L’Italia aveva scoperto di avere dentro di sé un’altra Italia. Nonostante il boom economico, la ripresa dopo la crisi petrolifera degli anni 70, la spinta ai consumi e la crescita di nuove professioni, a Sud di Roma si entrava in territori arretrati. Regioni intere chiuse in se stesse, povere, disincantate. Luoghi già mirabilmente raccontati da scrittori, inviati, studiosi, confinati politici. Quando? Anni e anni prima. Almeno da Carlo Levi in “Cristo si è fermato ad Eboli” in avanti. Tuttavia, l’Italia virtuosa delle fabbriche moderne, del design, delle autostrade veloci, non si era preoccupata di leggere quei racconti, approfondire quei temi sviluppati perfino da sociologi ed economisti stranieri.

La parte avanzata del Paese accoglieva energie e talenti del Sud, gli dava l’occasione per emergere ed affermarsi, senza capire come e cosa quei talent potessero fare – da posizioni di autentico potere – per risollevare il Sud. Una larga fetta di classe dirigente, nata al Sud, sbarcata nella galassia del potere politico, economico, finanziario, ma sbadata, incurante della funzione unificante nazionale. Se non era un tradimento, si disse, mancava poco. Un’indolenza che le scosse del novembre 1980 avevano mostrato a tutto il mondo. Da dove cominciare? Dalle case, dalle strade, dalle scuole, dalle infrastrutture, da tutto ciò che l’altra Italia aveva e che a noi del Sud erano costate più di tremila morti.

In 40 anni lo Stato ha speso 60 mila miliardi delle vecchie lire per rimodellare quella sacca di arretratezza che coesisteva con l’Italia della crescita e del “Made”. Nessuno di noi immaginava che la ricostruzione post terremoto sarebbe durata decenni, con fiumi di denaro per lungo tempo senza controlli a sostenere clientele, consorterie politico-affaristiche, organizzazioni criminali, speculatori.

Ad un Convegno dell’Istituto Gramsci ad Avellino, nel gennaio 1981, il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, in un’intervista mi disse che per far rinascere il Sud occorreva l’unità delle forze politiche di ogni ispirazione: laica, socialista, cattolica. E quella cattolica – ancorché erroneamente confusa con la Dc – era assente in quelle settimane. Avrebbe dovuto svegliarsi, disse Berlinguer, e fare i conti con quel penoso stato delle cose scoperchiato dal sisma.

Lo sforzo e la solidarietà, poi, non sono mancati e già dagli anni 90 il Mezzogiorno ha cambiato volto con progetti realizzati, intraprese economiche, Università di qualità, paesi ricostruiti. Non ha la stessa faccia delle aree avanzata del Paese, né i redditi del Nord. C’è ancora tanta povertà, tanto desiderio di riscatto e migliaia di giovani ogni anno fuggono in cerca di lavoro e affermazione. I giovani di allora oggi si pongono domande e ricordano. Ma al fondo resta il problema della classe dirigente, delle competenze, di ruoli e funzioni pubbliche. Esattamente come in quel 1980.

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