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Temi del nostro tempo: e se tutti i bagni pubblici fossero unisex?

Negli Stati Uniti si è scatenato un dibattito mostruoso sull’uso dei bagni pubblici: quale è il bagno che i transgender e i bisessuali possono/devono utilizzare? – La questione ha fatto il suo rumoroso ingresso nella campagna per le presidenziali, mentre le multinazionali prendono ufficialmente posizione.

Temi del nostro tempo: e se tutti i bagni pubblici fossero unisex?

Negli Stati Uniti si è scatenato un dibattito mostruoso sull’uso dei bagni pubblici che dura da più di un anno e non sembra affatto esaurirsi. La questione è questa: la scelta del bagno deve essere guidata dalla propria natura biologica oppure della propria identità sessuale? Ancora più in sintesi: quale è il bagno che i transgender e i bisessuali possono/devono utilizzare? Sul “possono” o “devono” si è acceso una contesa così furiosa che il “New York Times” ha definito il 2015 “The Year of the Toilet”.

Il pourparler si è esteso anche al 2016 e nella primavera si è passati ai fatti. La città di Charlotte (Carolina del Nord) ha emesso un’ordinanza a favore della libertà di scelta. Lo Stato del North Carolina, che espone ancora la bandiera confederata sugli edifici pubblici, ha subito risposto con una legge, approvata dal parlamento dello Stato in tempi record, che obbliga le persone ad utilizzare i bagni in base al sesso di nascita. Il governatore repubblicano Pat McCrory ha immediatamente firmato l’atto. Dall’altra parte dell’America, quasi in contemporanea, lo Stato della California ha emanato una gender-neutral bathroom law che il governatore Jerry Brown ha immediatamente firmato dando esecutività alla legge.

La questione ha fatto il suo rumoroso ingresso nella campagna per le presidenziali. Donald Trump, dopo aver polemizzato con Ted Cruz durante le primarie repubblicane, ed essersi dichiarato a favore della liberà di scelta dei transgender, ha fatto – appoggiato dal suo vice Mike Pence – una mezza marcia indietro dichiarando che spetta alle singole comunità prendere questa decisione e che il governo centrale ne deve restare fuori. Per questa ragione Pence ha dichiarato che uno dei primi provvedimenti di una eventuale presidenza Trump sarà quella di abolire le linee guida emesse dall’amministrazione Obama sugli studenti trans. Un atto di abolizione, peraltro, già disposto, in agosto, dal giudice Reed O’Connor della corte distrettuale federale del Texas settentrionale. In forza di questa sentenza l’attuazione delle linee guida del documento di Obama è stata sospesa a livello nazionale. E siamo a questo punto, cioè punto e daccapo.

Bagni unisex?

Allora, non sarebbe tutto più semplice se tutte le persone potessero usare lo stesso bagno? È stato proprio il “New Yorker”, il magazine dell’intelligentjia progressista della grande mela, a legittimare questa idea in un articolo di Jeannie Suk Gersen dal titolo “Who’s Afraid of Gender-Neutral Bathrooms?”. Il “Post” di Sofri ha dedicato un lungo servizio di Giulia Siviero a commentare l’articolo del “New Yorker” e a quel servizio rimandiamo per chi desideri immergersi in questo tema.

In realtà i possibili ostacoli ai bagni unisex potrebbero essere di due tipi: uno igienico e uno di efficienza. Il primo, quello igienico, è dato dal fatto oggettivo che gli uomini sporcano di più. Vero! Però il fatto di condividere uno spazio con delle signore potrebbe incentivare la minoranza che sporca a comportarsi meglio. L’esempio virtuoso della maggioranza, rafforzata dalla presenza delle donne, in genere è qualcosa che funziona anche in tempi di dilagante maleducazione.

Il secondo, quello relativo all’efficienza, riguarda il possibile allungamento dei tempi di attesa degli uomini per espletare il servizio, dato che le code al bagno delle donne sono qualcosa che non si verifica, in genere, in quello degli uomini. Però, unificando gli spazi a disposizione del servizio si avrebbe una migliore distribuzione del carico degli utenti e pertanto anche questo problema potrebbe attenuarsi di molto. Pertanto gli ostacoli possono essere facilmente rimossi. E allora, avanti tutta!

I bagni unisex sono già nella nostra vita

Sta di fatto che i due sessi condividono già lo stesso bagno in famiglia, in aereo, in treno, in autobus e su tutti i mezzi di trasporto. Non penso che sui sottomarini della marina italiana, dove operano sempre più donne, vi sia il bagno per gli uomini e quello per le donne Probabilmente, se Elon Mask ci porterà su Marte, sulla navetta spaziale ci sarà un unico bagno, come pure ci sarà negli alloggi su Marte. In casa, per esempio, ci spingiamo anche oltre, condividendo il bagno con alcuni animali domestici, come i gatti, e lo facciamo anche in contemporanea. Il filosofo francese Jacques Derrida ha costruito una vera e propria teoria filosofica (in L’animale che dunque sono) studiando il proprio gatto che lo osserva dalla lettiera fare la doccia o seduto sul water.

Una possibile e plausibile estensione dei bagni unisex potrebbe avvenire sul posto di lavoro dove le persone, in genere, si conoscono, condividono già un spazio comune e, si spera, anche una missione.  Qui, però ci fermiamo, per passare il testimone a Lucy Kellaway, una delle penne più brillanti del giornalismo globale, che da 15 anni sul “Financial Times” tiene una rubrica il lunedì sulle questioni del lavoro e del management. Di seguito riportiamo in traduzione italiana il suo articolo “Unisex loos are no refuge for a gossip. Rise of the gender-neutral toilet in the workplace” pubblicato con l’occhiello “Equality in workplace” sul quotidiano finanziario di Londra. Chi meglio di Lucy può parlare di questo tema? Nessuno. Non perdetevi il suo humor. La traduzione, per quanto possibile, è di John Akwood.

In quale bagno andare?

Al lavoro, in genere, ci si apparta per fare pipì. Nei tempi andati i direttori si sgravavano in ambienti diversi e più eleganti di quelli frequentati dalla truppa. Più tardi, quando le gerarchie sono passate di moda, il bagno dei dirigenti è stato abolito in nome dell’eguaglianza e i dirigenti ora fanno pipì spalla a spalla con i sottoposti. Comunque, nei luoghi di lavoro, la separazione tra i bagni degli uomini e delle donne è sopravvissuta. Nelle abitazioni, in aereo o in treno i due sessi condividono felicemente la stessa toeletta, ma sul lavoro no.

Questa separazione oggi è messa in discussione dall’emergere dei bagni unisex. Questa volta l’eguaglianza tra donne e uomini non c’entra niente. Si tratta di un’altra cosa: se sei transgender non sai in quale bagno andare. Recentemente la California ha approvato una legge in base alla quale ogni toeletta deve essere neutrale rispetto al sesso. Starbucks la sta introducendo nei propri Cafè, mentre le librerie Barnes & Noble spingono le persone a utilizzare il bagno che preferiscono. La scorsa settimana al meeting annuale di Salesforce a San Francisco c’erano solo bagni unisex. Per di più, ai 150mila partecipanti è stato dato un adesivo con il loro pronome preferito: “he/him”, “she/her”, “they/them” o “ask me”. Stava a loro scegliere quale esporre sulla maglietta.

Si tratta di una grossa notizia. Quando Salesforce va in una direzione, il mondo segue.

I bagni unisex sono una buona idea?

Mi domando però se i bagni unisex sui luoghi di lavoro siano una buona idea. Fare tutti pipì nello stesso luogo ha senz’altro un senso. Di media ci alziamo dal tavolo di lavoro per recarci in bagno almeno tre o quattro volte al giorno, ma invece di essere un’opportunità di vasta e fortuita socializzazione, ci limitiamo a restringerla solo a una limitata fetta di colleghi. In ufficio ho raccolto delle opinioni, scoprendo che le differenze sono più in base alle età che al sesso.

I i millennial sono d’accordo con i bagni unisex, punto. Si sono dimostrati così poco interessati alla questione che mi hanno sentire una stupida solo per averlo chiesto. I lavoratori più anziani, però, sono meno entusiasti. La maggior parte degli uomini ha detto di non gradire l’idea, ma non ha saputo spiegare perché. Le donne sono state più collaborative.

In modo differente hanno fatto tutte intendere che i bagni degli uomini emanano cattivo odore. Non vogliono poi mettersi il trucco di fronte ai colleghi maschi. Il bagno delle donne è infine il luogo ideale per piangere. O pettegolare. O un rifugio inviolabile.

Cinque ragioni poco convincenti

Nessuna di queste cinque ragioni è convincente fino in fondo. Tutti i bagni hanno cattivo odore se non sono puliti spesso e bene, pertanto la risposta è di nettarli spesso con il Mastro Lindo. Quanto al trucco, io lo metto in modo così approssimativo che non mi piace farlo in presenza di qualcuno. Se proprio devo scegliere, preferisco farlo in presenza di un uomo incurante che di una donna che nota quanto sia pasticciona con il mascara.

Un argomento analogo vale per il piangere. È vero che le donne piangono più degli uomini e siccome singhiozzare al proprio tavolo non è decoroso, tendiamo a farlo in bagno. Durante le poche volte che ho pianto al lavoro, la mia preoccupazione maggiore è stata quella di non essere vista. Gli uomini ci fanno meno caso e tendono a non fare commenti, e non è poi così imbarazzante asciugarsi le lacrime mentre loro si lavano le mani.

È altrettanto vero che i pettegolezzi sono più frequenti nei bagni delle donne che degli uomini, dove in genere prevale il silenzio. In ogni caso, per entrambi i sessi chiacchierare nel bagno può essere pericoloso perché non si sa mai chi è nello stallo. Come rifugio il bagno è favoloso, ci sono delle situazioni in cui la privacy data dal cubicolo serrato è proprio quello di cui c’è bisogno. Ma anche in questo caso non vedo l’importanza di sapere se le persone che stazionano fuori sono uomini o donne.

C’è una ragione più seria per la divisione dei bagni. Mentre metà del mondo tecnologico si riuniva a San Francisco con Salesforce, io partecipavo a un evento tecnologico concorrente in Europa. Siccome questa industria è essenzialmente composta di uomini, alla pausa caffè ho visto qualcosa di strano. C’era una lunghissima coda per accedere al bagno degli uomini e niente coda per quello delle donne. Mentre mi stavo sciacquando le mani ho avviato con le altre tre donne che erano lì una conversazione interessante sul perché l’industria tecnologica sia maschile e un pensiero mi ha attraversato la mente: quando le donne sono in una così palese minoranza, un bagno solo per loro è un privilegio che vale la pena di tenere.

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