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Spesa pubblica: 12,8 miliardi di risparmi tagliando le partecipate

REPORT DEL CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA – Sono almeno due terzi gli organismi, in cui le amministrazioni pubbliche sono socie, che non erogano servizi pubblici – L’utilizzo delle partecipate è una fonte di abuso sempre più diffusa, che sfrutta posizioni dominanti sul mercato e consente di eludere i vincoli di finanza pubblica, reclutamento del personale.

Spesa pubblica: 12,8 miliardi di risparmi tagliando le partecipate

Le amministrazioni pubbliche, centrali e locali, detengono quote in 7.712 organismi. E’ quanto si legge in uno studio a cura del Centro studi Confindustria. Con oneri per i contribuenti che nel 2012 erano di 22,7 miliardi. In testa, per costo, le istituzioni che hanno sede legale nel Lazio: 9,5 miliardi. Seguite da quelle in Lombardia (5,5), Veneto (1,1) e Piemonte (1,0). Il 63,9% di queste non produce servizi pubblici. Con oneri complessivi per 12,8 miliardi. È urgente il riassetto di queste partecipazioni. Un passaggio necessario al duplice fine di recuperare risorse per ridurre il carico fiscale e il debito pubblico e di liberare il mercato dalla presenza spesso impropria dello Stato. 

L’utilizzo delle partecipate è divenuto una fonte di abuso sempre più diffusa, che sfrutta posizioni dominanti sul mercato e consente di eludere i vincoli di finanza pubblica, reclutamento del personale e acquisto di beni e servizi. Le norme varate negli ultimi anni si sono rivelate inefficaci nel contenere questo fenomeno. La legge di stabilità 2014 ha indebolito ulteriormente i presidi di rigore imposti negli anni precedenti. Non si deve porre solo il problema di come le PA utilizzano questi meccanismi, ma bisogna mettere in discussione l’opportunità stessa che ciò avvenga.

ELEVATO IL COSTO DELLE PARTECIPATE PUBBLICHE

La Legge Finanziaria per il 2007 ha introdotto l’obbligo per tutte le amministrazioni pubbliche di comunicare i dati relativi alle proprie partecipazioni in società e consorzi proprio per fare chiarezza sulle migliaia di enti ed aziende. A partire dall’anno 2008 si è potuto così strutturare la banca dati CONSOC (Gestione della partecipazione di pubbliche amministrazioni a Consorzi e Società), che viene aggiornata di anno in anno.

Nel 2012, erano 39.997 le partecipazioni possedute da amministrazioni pubbliche in 7.712 organismi esterni. Il 62,7% delle partecipazioni sono in società, il 34,5% in consorzi e il 2,8% in fondazioni (Tabella A). La maggior parte delle partecipazioni delle PA sono inferiori o pari al 50% (37.635 su 39.997), 1.200 sono totalitarie e 1.159 sono superiori al 50%. Il maggior numero di partecipazioni è delle PA in Lombardia (7.496 partecipazioni) seguite da quelle in Piemonte (7.061), Veneto (4.123) e Toscana (3.606). In Basilicata (135) e in Molise (155) il minor numero di partecipazioni, in ragione anche della più piccola stazza economica.

L’onere complessivo sostenuto dalle pubbliche amministrazioni per il mantenimento di questi organismi è stato pari complessivamente a 22,7 miliardi, circa l’1,4% del PIL. Una cifra molto consistente. Le PA nel Lazio (che includono le PA centrali oltre a quelle locali) sostengono un onere di quasi 9,5 miliardi. In Lombardia poco più di 5,5 miliardi. La banca dati Consoc non consente di distinguere a che titolo siano stati versati tali oneri nelle casse degli organismi partecipati. In generale, essi sono legati ai contratti di servizio stipulati, alle spese per acquisire quote societarie, per coprire perdite, per aumentare il capitale, ai crediti concessi e ad altri trasferimenti correnti e in conto capitale.

L’ammontare degli oneri determinati dagli organismi partecipati a carico delle PA è molto più rilevante del risultato di bilancio, che può essere in utile o, in molti casi, in perdita. Perché sono gli oneri complessivi a costituire il vero costo di tali organismi per la collettività. Peraltro, indipendentemente dal saldo di bilancio e dal costo per la collettività, c’è una questione di confine dell’attività svolta: la produzione manifatturiera, giusto per fare un esempio, non pare esattamente il core business del settore pubblico.

La banca dati Consoc raccoglie informazioni su tutti gli organismi partecipati sia a livello locale sia a livello statale. Circa i due terzi degli oneri complessivi sono determinati da organismi partecipati da Regioni, Comuni, Province e altre autonomie locali. Il terzo restante deriva da organismi partecipati dallo Stato (Tabella B). Nell’ambito degli enti territoriali, le PA locali di Lombardia (5.499 milioni), Lazio (2.217 milioni) e Veneto (1.027 milioni) sono quelle che sopportano gli oneri complessivamente più elevati.

Gli organismi partecipati totalmente dalle PA sono quelli che costano di più: nel 2012, le 1.203 partecipazioni totalitarie hanno determinato oneri pari a 15,7 miliardi (Tabella C). Ciò è presumibilmente attribuibile al fatto che questi organismi sono quelli che si fanno maggiore carico della produzione ed erogazione di servizi pubblici di interesse generale.

PIU’ DELLA META’ NON PRODUCE SERVIZI PUBBLICI

È importante distinguere, inoltre, quali degli organismi partecipati dalle PA producono servizi di interesse generale e quali invece sono un improprio ampliamento dell’intervento pubblico nell’economia. Questi ultimi, infatti, potrebbero essere dismessi o anche se ne potrebbero azzerare i rispettivi costi, al fine di recuperare risorse, senza intaccare l’erogazione di servizi pubblici. Sulla base dei dati disponibili l’unico modo per capire l’attività svolta dagli organismi partecipati è fare riferimento al codice di attività svolta (secondo la classificazione Ateco).

Incrociando la banca dati Consoc con la banca dati Aida, è stato possibile associare alle partecipate i loro bilanci e il relativo codice Ateco. Tra i codici Ateco sono stati selezionati quelli che in prima approssimazione non si riferiscono a servizi di interesse generale. In ogni caso rimane un margine di errore dovuto alla possibile errata registrazione del codice Ateco da parte degli organismi partecipati (registrazione che è un obbligo di legge) e alla discrezionalità della selezione dei codici Ateco che individuano produzione di servizi pubblici. 

Sulla base di questo incrocio, è stato possibile esaminare 4.864 organismi partecipati su un totale di 7.712, cioè il 63,1% degli organismi registrati nella banca dati Consc. Ciò perché i restanti non sono inclusi nella banca dati Aida.

I dati mostrano che quasi i due terzi degli organismi esaminati (3.106 su 4.864) non svolgono attività di interesse generale pur assorbendo nel 2012 il 56,4% degli oneri sostenuti dalle PA: 8,6 miliardi sui 15,3 erogati ai soli organismi per cui è stato possibile ottenere il codice Ateco (Tabella D). Se si ipotizzasse che anche per gli organismi riportati nella banca dati Consoc di cui non è stato possibile ricostruire il codice Ateco il 56,4% degli oneri fosse erogato a quelli che non producono servizi di interesse generale, si quantificherebbero in 12,8 miliardi le risorse che potrebbero essere risparmiate azzerando i trasferimenti di risorse verso organismi che non svolgono servizi pubblici. 

Questa stima potrebbe persino essere per difetto, perché la banca dati Consoc non riporta tutti gli organismi partecipati dalle Pa. Per i soli Comuni è stato pubblicato il grado di copertura della rilevazione, che, nel 2012, è pari al 65% dell’universo2. Ciò significa che il 35% dei Comuni, oltre un terzo, non ha comunicato gli organismi cui partecipa. 

In conclusione, pur essendo un tentativo pioneristico date le limitate informazioni a disposizione, è evidente che il fenomeno delle partecipate è fuori controllo e dal riordino possono derivarne importanti risorse. Un intervento non è più rinviabile anche perché i nuovi criteri di redazione dei conti pubblici (Sec2010) che entreranno in vigore quest’anno, prevedono importanti novità al riguardo.

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