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Spagna, Fmi: per salvare le banche servono 40-80 miliardi

Alcuni funzionari hanno tuttavia precisato che a Bruxelles è stata esclusa l’ipotesi di garantire aiuti diretti alle banche – Intanto però, secondo il Financial Times, l’Europa sta valutando un programma di salvataggio che imponga solo “condizioni molto limitate” a Madrid.

Spagna, Fmi: per salvare le banche servono 40-80 miliardi

Per salvare le banche spagnole servono fra i 40 e gli 80 miliardi di euro. La stima è del Fondo monetario internazionale e sarà pubblicata lunedì nel prossimo rapporto dell’istituzione. Ad anticiparla è il giornale spagnolo Abc. 

Il Fmi traccia due scenari: il primo tiene conto della situazione attuale e prevede un fabbisogno di 40 miliardi destinati a 10 banche, tra cui Bankia, che lo Stato spagnolo intende salvare con un aiuto record di oltre 23 miliardi. 

Il secondo scenario parla di una forte recessione, che tuttavia le fonti sentite dal giornale giudicano “irreale”, e stima in 80 miliardi la somma necessaria per salvare il sistema finanziario spagnolo. Madrid entro una quindicina di giorni prenderà una decisione sulla ricapitalizzazione delle banche e un’eventuale richiesta di aiuto internazionale.

Alcuni funzionari hanno tuttavia precisato che a Bruxelles è stata esclusa l’ipotesi di garantire aiuti diretti alle banche, in violazione delle norme che regolano il funzionamento del fondo salva-Stati europeo, confermando quanto anticipato ieri da El Pais, su un possibile intervento europeo attraverso il Frob, il fondo di ristrutturazione bancaria del governo di Madrid.

Intanto però, secondo il Financial Times, l’Europa sta valutando un programma di salvataggio per la Spagna che aiuti il suo sistema bancario imponendo solo “condizioni molto limitate” a Madrid, in modo da vincere le resistenze opposte finora dalla Moncloa a un intervento di Bruxelles.

A differenza di quanto avvenuto per Grecia, Portogallo e Irlanda, il piano di salvataggio spagnolo dovrebbe prevedere poche misure di austerità, oltre alle riforme già concordate con l’Unione europea, e non richiederebbe lo stretto monitoraggio dei creditori internazionali, tanto contestato da Atene e Dublino.

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