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Scuola, il primo problema non è l’orario ma la mortificazione della qualità e del merito

Più che la durata dell’orario il problema della scuola di oggi è quello della professionalità dell’insegnante e dell’efficacia di un sistema mortificato dalla bassa qualità e dall’assenza di meritocrazia – La lezione della ricerca della Pearson – L’Italia oscilla tra il 24° e il 27° posto in classifica.

Scuola, il primo problema non è l’orario ma la mortificazione della qualità e del merito

Per quante ore lavorano i professori? L’interrogativo è rimbalzato dalle proteste di piazza alla rete, dai giornali all’opinione pubblica, Il puntiglioso conteggio di due insegnanti di scuola media milanesi è arrivato addirittura alla cifra record di 1756 ore annue, pari a circa 40 ore settimanali. In un liceo di Arona è stata inscenata una nuova forma di protesta, una specie di sciopero alla rovescia, che ha condotto in classe professori e alunni anche di pomeriggio per discutere e approfondire gli argomenti trattati di mattina senza fare compiti a casa. La slow school di Arona è un atto dimostrativo, limitato a un giorno alla settimana fino a Natale, ma ripropone modelli virtuosi come quello suggerito dall’amministrazione Obama nel progetto pilota di riforma dell’anno scolastico che sarà adottato da alcune scuole di cinque Stati americani e che prevede 300 ore di lezioni in più all’anno. E perché non ricordare che già nel 2006 un’indagine della Provincia di Bolzano metteva in evidenza che il lavoro effettivo di un docente oscilla tra le 36 e le 38 ore settimanali?

Il problema vero però è un altro: non quello dell’orario ma quello della professionalità dell’insegnante e dell’efficacia del sistema scolastico. Entrambe le questioni sono ritornate prepotentemente di attualità dopo la presentazione della ricerca The Learning Curve, condotta dalla Pearson, la più grande casa editrice britannica, e dalla “Intelligence Unit” dell’Economist. Una ricerca ampia sullo stato dell’istruzione e dei suoi addetti nel mondo, che ha messo in correlazione numerose variabili, offrendo uno strumento di analisi prezioso per gli specialisti del settore, difficilmente riducibile alla vulgata che ne è stata data dai media.

Il nodo centrale resta comunque la collocazione dei valori relativi ai risultati degli studenti italiani e al prestigio della professione docente, poste rispettivamente al 27° e al 24 posto. Certo, la lettura iniziale di alcuni dati della ricerca ha portato anche alla improvvisata stesura di libri dei sogni sulla scuola italiana, equamente distribuiti tra chi dichiara – come il Sole24ore – che ci vorrebbero più investimenti e chi si auspica futuribili – e forse superflue – riforme.

La realtà è più semplice e più sconfortante e si può riassumere così: un contratto fermo nella sua sostanza a 40 anni fa insieme alle norme sull’autogoverno delle scuole, una visione tayloristica della professione, irrigidita nella difesa oltranzistica delle 18 ore di lezione della scuola superiore, una viscerale opposizione a qualsiasi forma di valutazione e di meritocrazia tra i docenti ma, a ben vedere, anche nei confronti degli studenti, data l’autoreferenzialità delle scuole e l’assenza di una valutazione “terza”, un vischioso intreccio di burocrazia e vuoto tecnicismo. Questi sono i veri ostacoli allo sviluppo di un sistema di istruzione e formazione che possa rendere la nostra scuola moderna e competitiva.

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