La spesa sanitaria pubblica italiana ammonta a 127,8 miliardi di dollari, il 7,3% del Pil. Il 21,4% (27,3 miliardi) di questa cifra è originato dalle strutture private, i cui ricavi aggregati hanno raggiunto quota 8,8 miliardi di euro, in crescita del 15,2% sul 2020 e del 6,3% sul 2019. A farla da padrone sono Papiniano (holding del gruppo ospedaliero San Donato e Ospedale San Raffaele di Milano) e Humanitas, ma cinque gruppi su 24 sono in rosso. Sono alcuni dei dati che emergono dal report sui maggiori operatori sanitari privati in Italia dell’Area Studi Mediobanca che analizza i dati finanziari dei 24 principali gruppi con fatturato individuale superiore a 100 milioni.
La spesa sanitaria: il panorama internazionale e la collocazione dell’Italia
Per i Paesi OCSE la spesa sanitaria media pro-capite si è attestata a circa 4.350 dollari nel 2020 (9,8% sul PIL). Nel confronto, l’Italia si colloca invece sotto la media in termini pro-capite, con 3.700 dollari, mentre risulta allineata in rapporto al PIL (9,6%).
“Relativamente alla sola spesa sanitaria pubblica, il nostro Paese – con il 7,3% sul PIL nel 2020 – si posiziona in Europa dietro a Spagna (7,8%), Regno Unito (9,9%), Francia (10,3%) e Germania (10,9%)”, si legge nel report Mediobanca, che spiega come in valore assoluto, la spesa sanitaria pubblica italiana sia aumentata a prezzi correnti dai 78,5 miliardi di fine 2002 ai 127,8 miliardi di euro di fine 2021. La crescita media annua è stata del 6,4% nel periodo 2002-2006, dello 0,9% tra il 2012 e il 2019, per espandersi ulteriormente con la crisi sanitaria dell’ultimo biennio (+5,1%).
Andando avanti coi dati, nel 2021 il 78,6% (100,5 miliardi) del valore complessivo è originato dalle strutture pubbliche e il 21,4% (27,3 miliardi) da quelle accreditate. La spesa erogata da quest’ultime mostra una crescita (+3,2%) superiore a quella dei presidi pubblici (+2,4%) nell’arco temporale 2002-2021, con l’eccezione del periodo d’emergenza Covid, segnato da numerose misure di potenziamento del SSN.
Durante la pandemia, in particolare, la spesa delle strutture pubbliche è salita del 6%, rispetto al +2,1% di quelle accreditate. Se si includono le prestazioni in solvenza (aumentate dai 31,5 miliardi del 2012 ai 36,5 miliardi di dollari del 2021, +1,7% di crescita media annua) e la componente intermediata (cresciuta del 4,9% medio annuo a 4,5 miliardi nel 2021), la spesa sanitaria complessiva ha totalizzato 168,8 miliardi nel 2021 (+4,9% rispetto ai 160,9 del 2020).
L’incidenza delle dinamiche demografiche sulla spesa sanitaria
La domanda di servizi sanitari è determinata anche dalle dinamiche demografiche che evidenziano il costante invecchiamento della popolazione: nell’area OCSE, l’incidenza degli over 65 sul totale è passata dall’8,9% del 1960 al 17,8% del 2021, con previsione di raggiungere il 26,7% nel 2050. L’Italia, con il suo 23,5%, ha un valore ampiamente superiore alla media OCSE, alle spalle del solo Giappone (28,9%), atteso in rialzo al 33,7% entro il 2050. Parallelamente si è ampliata la speranza di vita, che nell’area Ocse ha guadagnato oltre 10 anni tra il 1970 e il 2021, risultando superiore agli 83 anni in otto Paesi. Anche in questo caso svetta il Giappone con 84,7 anni, seguito da Svizzera (84) e Corea del Sud (83,5). L’Italia è al nono posto (82,9 anni).
L’offerta sanitaria in Italia
In Italia nel 2021 operavano 28.980 nel 2021, il 57% delle quali private e il 43% pubbliche. Rispetto al 2010 ci sono 2.898 strutture in più, 2.519 delle quali private.
Il numero dei posti letto per degenza ordinaria a disposizione del SSN è diminuito dell’8,6% sul 2020, attestandosi a 216,3mila unità (oltre a 12.027 posti in day hospital e 8.132 in day surgery), dopo la contrazione del 12,6% tra il 2010 e il 2019 (da 217mila a 190mila unità).
La classifica dei maggiori operatori sanitari privati in Italia
Escludendo le società consortili, sono 28 i player privati attivi nell’assistenza ospedaliera e distrettuale con fatturato individuale superiori a 100 milioni di euro nel 2021. Tra questi, 19 sono specializzati nell’assistenza ospedaliera, tre nella gestione di RSA (KOS, Segesta e S.O. Holding), tre nella diagnostica medica (Cerba Healthcare Italia, Synlab e C.D.I.) e tre nella riabilitazione funzionale (Don Gnocchi, Istituti Clinici Scientifici Maugeri e il San Raffaele di Roma).
Sotto il profilo dei ricavi, al primo posto in classifica troviamo Papiniano (1, 633 miliardi holding del Gruppo Ospedaliero San Donato e Ospedale San Raffaele di Milano), al secondo e terzo ci sono rispettivamente Humanitas (1,084 miliardi) e GVM – Gruppo Villa Maria (798 milioni). Seguono Policlinico Universitario A. Gemelli (787 milioni) e KOS (660 milioni.
Per quanto riguarda la diversificazione geografica, KOS, S.O. Holding e Don Gnocchi sono presenti in almeno nove regioni italiane, seppur con maggiore radicamento al Nord. Tra le ospedaliere si distinguono GVM e Gruppo Garofalo con attività, rispettivamente, in nove e otto regioni. Papiniano e Humanitas sono invece concentrati in Lombardia, con il primo attivo anche in Emilia-Romagna, dove sviluppa il 5,1% dei ricavi, e il secondo presente anche in Piemonte e Sicilia dove genera il 21% circa del fatturato.
“La ripartizione delle attività tra regime d’accreditamento e solvenza evidenzia una situazione variegata tra gli operatori”, sottolina il report. Nel 2021 l’incidenza minima dell’accreditamento è segnata da C.D.I. I cui servizi di diagnostica sono in massima parte intermediati da fondi integrativi e assicurazioni (41,8% dei ricavi complessivi), da privati (22,4%) e da aziende (11,4%). Tra gli altri player le spese dei solventi registrano una maggiore incidenza per KOS (36%) e IEO (35,4%), mentre il San Raffaele di Roma genera il 94% dei ricavi in accreditamento.
Giro d’affari superiore ai livelli pre-pandemici, giù la redditività
Nel 2021 i ricavi aggregati dei 24 operatori analizzati sono stati pari a 8,8 miliardi di euro, in crescita del 15,2% sul 2020 e del 6,3% sul 2019. Queste variazioni seguono il calo annuo del 7,8% nel 2020, dipeso dalla sospensione parziale delle attività sanitarie e dal differimento delle ospedalizzazioni programmate non urgenti. Il superamento dei livelli pre-crisi non è stato tuttavia generalizzato: i ricavi sono saliti del 6,7% per gli operatori ospedalieri e del 44,1% per la diagnostica, mentre la ripresa non si è concretizzata per i player della riabilitazione (-0,3% sul 2019) e per i gestori di RSA (-0,2%).
In recupero anche la redditività, che tuttavia resta inferiore ai livelli pre-pandemici. “Le misure di contrasto all’epidemia hanno causato un sensibile aumento dei costi di produzione, solo in parte coperti dai ristori previsti da apposite normative emergenziali”; spiega l’Area Studi Mediobanca. L’ebit margin aggregato è così risultato negativo nel 2020 (-0,6%), ma l’intensa campagna vaccinale e la minor virulenza del Covid-19 hanno consentito il recupero dell’attività clinica e il miglioramento dell’ebit margin salito al 3,7% nel 2021, seppur ancora inferiore al 6,0% del 2019.
A livello di singola società, cinque gruppi chiudono in rosso il 2021, rispetto ai dieci nel 2020. Il ROE aggregato è in riduzione dal 7,2% del 2019 al 4,1% del 2021. I valori più elevati sono quelli di Humanitas (17,2%), della molisana Pro.Med (16,6%) e del San Raffaele di Roma (12,6%).
Le aspettative per il settore
“La fine dello stato di emergenza sanitaria nel marzo 2022 e la contestuale riduzione delle limitazioni che hanno contraddistinto il biennio 2020-2021 hanno comportato una progressiva ripresa delle attività del settore sanitario e il contestuale recupero delle liste d’attesa accumulate durante il periodo pandemico”, evidenzia il report, secondo cui le prime evidenze per il 2022 consentono di stimare una crescita del giro d’affari a livello aggregato dei maggiori operatori sanitari privati nell’ordine del 4% sul 2021, peraltro non generalizzabile a tutti i comparti: è il caso, per esempio, del settore delle residenze sanitarie assistite per le quali si stima un ritorno alla saturazione dei posti letto sui livelli pre-Covid non prima del 2025.