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Roma, Musei Capitolini: “L’Età dell’Angoscia. Da Commodo a Diocleziano (180-305 d.C.)”

Dal 28 gennaio al 4 ottobre 2015 i Musei Capitolini ospitano la mostra l’Età dell’angoscia – Attraverso le opere più significative del III secolo dopo Cristo si sviluppa un percorso sulla crisi dell’impero romano, da Commodo a Diocleziano.

Roma, Musei Capitolini: “L’Età dell’Angoscia. Da Commodo a Diocleziano (180-305 d.C.)”

La mostra l’Età dell’Angoscia si sofferma sui profondi cambiamenti che segnarono il III secolo d.C., secolo ritenuto tradizionalmente di “crisi” dell’impero, ma in realtà contenente in nuce alcuni dei germogli più fecondi destinati a mutare per sempre le età successive e ad aprire le porte verso la società tardo-antica.

Il titolo della mostra trae spunto da un’opera di Eric Dodds intitolata “Pagani e cristiani in un’epoca di angoscia” , edita nel 1965, dedicata nello specifico proprio al III secolo d.C. Dodds era amico del poeta anglo-americano W.H. Auden, che nel ‘47 aveva pubblicato The Age of Anxiety, poema capace di mettere in luce il vuoto dell’esistenza nel periodo della seconda mondiale, caratterizzato dalla conversione o ritorno al Cristianesimo e dalla volontà di aderire a un credo religioso, da un «salto nella fede». 

La mostra aperta dal 28 gennaio al 4 ottobre 2015 racconta la diffusa crisi spirituale e religiosa che in un clima di ansia generalizzata portò a un abbandono delle religioni tradizionali e all’adesione sempre più massiccia al culto di divinità provenienti dall’Oriente: Iside, Cibele, Mithra, Sabazio. Oltre a loro, naturalmente, Cristo. L’ansia derivava da alcuni problemi concreti e materiali: guerre civili, crisi finanziarie ed economiche, carestie, epidemie (come quelle nel corso dei principati di Marco Aurelio e Gallieno) e la perenne pressione dei barbari ai confini. Ad astrologi, indovini ed oracoli gli uomini e le donne del tempo ripetevano frequentemente le stesse domande: “mi ridurrò a mendicare?”, “avrò il mio salario?”, “sarò venduto schiavo?”. La speranza di un futuro più sicuro era talmente diffusa e pressante da alimentare in chiunque quella che gli storici dell’antichità chiamano un’aspettativa di salvezza, legata in primo luogo alla figura dell’imperatore, in teoria garante della giustizia, della sicurezza militare dell’impero e anche suprema autorità religiosa.

Il collasso dei sistemi di riferimento sociali ed economici hanno sempre avuto come effetto principale quello di compromettere la quotidianità della vita delle persone, che in modo progressivo e rapido, si trovano ad affrontare l’angoscia del reale. Nella recente storia mondiale due eventi hanno avuto per la prima volta la capacità di modificare e accomunare gli esseri umani su scala globale: il primo conflitto mondiale e il crollo di Wall Street del ’29 anche detta “la grande depressione”. In entrambi i casi, per la prima volta l’uomo è stato testimone di fenomeni i cui effetti non erano più esclusivamente legati ai propri confini Nazionali, ma avevano la capacità di compromettere e modificare geografie economiche e sociali su scala mondiale. La percezione che gli sconvolgimenti economici, finanziari e sociali avessero risonanze globali amplificò incredibilmente l’angoscia, compromettendo e modificando il sentire collettivo.

Non ultime, le crisi dei bond Argentini del 2001/2002 e dei mutui subprime negli Stati Uniti nel 2006, propagatesi poi in tutto il mondo dell’economia e della finanza, hanno determinato fenomeni imprevedibili in cui piazze, strade e palazzi dello Stato divengono luoghi in cui i popoli si barricano per esorcizzare, arginare e combattere l’angoscia del fallimento di sistemi culturali inadeguati. La presenza della parola crisi diventa permanente. A chiusura del 2008, nel tradizionale discorso di fine anno, il Presidente Napolitano la evoca ben 13 volte, nel 2010 nel discorso natalizio alla Curia romana, il pontefice Benedetto XVI, ripercorrendo l’anno passato, evidenzia il disfacimento degli ordinamenti e dei valori morali attuali con una frase emblematica “Viviamo la crisi che fu dell’impero Romano”.

Insomma è forse sempre stato tempo di crisi: se cerchiamo l’etimo Crisi, di derivazione greca, il termine originariamente indicava “separazione”, provenendo dal verbo greco “separare”. Il significato venne traslato in “scelta”, “decisione”, “discernimento”. Oggi potremmo dire che necessariamente si lega al cambiamento e che la storia dell’impero romano è un paradigma eccellente che sviluppa per intero il ciclo della vita di un popolo dalla sua nascita fino alla sua estinzione, attraverso continue crisi o cambiamenti.

La mostra L’età dell’Angoscia intende approfondire la conoscenza dei grandi cambiamenti che segnarono l’età compresa tra i regni di Commodo (180 – 192 d.C.) e Diocleziano (284 – 305 d.C.): fase definita già dagli storici del tempo come “il passaggio dall’impero d’oro (quello di Marco Aurelio) a uno di ferro arrugginito”. In poco meno di centocinquanta anni infatti l’Impero cambiò la propria fisionomia, arrivando all’instaurazione della Tetrarchia e alla perdita del ruolo di capitale della città di Roma. In questo lasso di tempo le cronache evidenziano alcuni elementi che ancora una volta richiamano, seppur con le dovute differenze, la nostra attualità, quali: l’aumento delle pressione di popoli sui confini dell’impero, le spinte secessioniste (si pensi all’Impero delle Gallie e al Regno di Palmira), i disordini interni (che comportarono riforme strutturali della tradizionale unità militare romana, la legione), la crisi del tradizionale sistema economico, l’inflazione e la conseguente necessità di aggiornare continuamente la moneta, e soprattutto, la grave instabilità politica.

Determinante fu la fine della trasmissione del potere su base esclusivamente dinastica e il conseguente potere che andò a concentrarsi nelle mani dell’esercito, capace di imporre gli imperatori e di eliminarli. È un mondo che muta definitivamente la propria struttura sociale, con lo sfaldamento delle istituzioni e il parallelo emergere di nuove forze sociali. Le graduali tappe di queste trasformazioni si riflettono sui modelli figurativi e del linguaggio formale della scultura, che si carica di un nuovo e forte accento patetico.

Tra le opere più significative di questa epoca si segnalano il “ritratto colossale di Probo” o il “busto di Decio” dei Musei Capitolini, la straordinaria “statua bronzea di Treboniano Gallo” del Metropolitan Museum of Art di New York, le statue di privati come filosofi dalla Villa di Dioniso a Dion. Eccezionale il prestito di tre statue maschili a figura intera, dal Seicento ospitate nel Casino del Bel Respiro della Villa Doria Pamphilj a Roma ( “Statua di togato”, “Statua di cacciatore” e “Statua in nudità”). Nella ritrattistica privata continua la moda dell’abbinamento di ritratti di privati cittadini o imperatori in corpi ideali, che ricordano divinità femminili come Venere, Demetra, Fortuna, come nella “statua di Onfale” o eroi come Ercole, che permettono una chiara esaltazione delle qualità e delle gesta del defunto grazie all’assimilazione delle loro virtù eroiche: si vedano il “busto di Commodo come Ercole” o la “statua di privato come Marte (cd. Decio)”. Semidei come Ercole, i Castori o Dioniso furono in tal senso particolarmente prediletti anche dall’imagerie imperiale, proprio per la loro natura di mortali divenuti Dei grazie alle straordinarie qualità delle imprese compiute.

L’Età dell’Angoscia, quarto appuntamento del progetto di cinque mostre “I giorni di Roma” che abbraccia un arco temporale di quattrocento anni, è un’iniziativa promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, organizzata da Zètema Progetto Cultura e MondoMostre, con la cura di Eugenio La Rocca, Claudio Parisi Presicce e Annalisa Lo Monaco.

Il progetto coinvolge prestigiosi musei internazionali come il Metropolitan Museum of Art di New York, il Landesmuseum e il Zentralmuseum di Magonza, il Landesmuseum di Treviri, la Glypthotek e il Museo dell’Università di Monaco di Baviera, il Louvre di Parigi e il Museo Archeologico Nazionale e il Museo dell’Acropoli di Atene, e musei che per la prima volta prestano le loro opere come il Museo Archeologico di Dion e il Museo Archeologico di Astros. Oltre ai Musei Capitolini, partecipano all’esposizione con importanti prestiti musei nazionali come il Museo Archeologico di Aquileia, i Musei Civici di Brescia e il Museo Archeologico di Bologna, la Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo, i Musei Vaticani, i Musei afferenti alla Soprintendenza Speciale di Roma e importanti collezioni private. Le opere esposte per la prima volta insieme, di straordinario livello artistico, ammontano a circa duecento. Imponenti statue in marmo e bronzo, a grandezza naturale, in alcuni casi di misura colossale, busti e ritratti, rilievi in marmo, sarcofagi e urne, mosaici pavimentali e decorazioni pittoriche parietali, e ancora preziosi argenti da mensa, elementi architettonici figurati e altari permetteranno di apprezzare da vicino il gusto di un’intera epoca, di riflettere sui cambiamenti formali e sui temi figurativi presentati da oggetti che decoravano gli spazi urbani e quelli privati (case e tombe).

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