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RENDITE FINANZIARIE – Tassare di più i titoli di Stato? Per la comunità finanziaria non è un tabù

Il Governo Renzi ha in mente di alzare al 23% le tasse sulle rendite finanziarie per sostenere l’indennità di disoccupazione ma per la comunità finanziaria non è più un tabù: a condizione che si tassino di più anche i titoli di Stato, che si tolga la Tobin tax e altri balzelli e che si favoriscano investimenti di lungo periodo e orientati alla crescita.

Addosso alle rendite. Il nuovo intervento sulla tassazione degli strumenti finanziari prospettato dal governo di Matteo Renzi ha risollevato il dibattito sul risparmio e il suo ruolo. Il consigliere economico di Renzi, Filippo Taddei, ha gettato acqua sul fuoco rassicurando che la tassazione sarà rimodulata ma con criterio e distinguendo tra le diverse fonti di risparmio. Ma il dibattito è nuovamente esploso. Perché la miccia su cui si accende è già intrisa di petrolio: nel recente passato c’è stato l’aumento al 20% dell’aliquota storica del 12,5% per gran parte delle attività finanziarie (tranne che per i titoli di stato), a cui si è aggiunta l’imposta di bollo e la Tobin tax. Ora si ipotizza un nuovo aumento al 23%, se non superiore. E i risparmiatori sono in agitazione. Tanto più che il beneficio economico per alcuni non è poi così evidente. Molto poi dipenderà da come verranno trattati i Titoli di Stato, i cui rendimenti come detto sono tassati ancora al 12,5% e non al 20. D’altra parte, l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie sarebbe un intervento che allineerebbe la tassazione a quella sul lavoro, andrebbe nell’ottica di trovare risorse per altre manovre di alleggerimento fiscale e armonizzerebbe la situazione italiana rispetto a quanto avviene in Europa.

Se al momento rimaniamo ancora nel campo delle ipotesi, quali sono le prime reazioni dei principali protagonisti del mercato? Dagli operatori di Piazza Affari arriva nel complesso un semaforo giallo: l’aumento della tassazione è percorribile solo se si accompagna ad altre misure di semplificazione e riorganizzazione complessiva della fiscalità e se si distingue tra le varie forme di risparmio in relazione alle esigenze di finanziamento della crescita del Paese.

IL RISPARMIO CHE FINANZIA LA CRESCITA

“La ricchezza finanziaria italiana è una risorsa importante da veicolare verso la crescita. Se andiamo a tassare le rendite dobbiamo allo stesso tempo trovare il modo di veicolare il risparmio verso le imprese. Il tema è farlo se necessario ma nella direzione che trovi il sistema per  canalizzate queste risorse verso la crescita. Qualsiasi provvedimento fiscale oggi deve essere collegato a questo e non deve portare a penalizzare il risparmiatore”, spiega a FIRSTonline Paolo Balice, presidente dell’Aiaf. Già perché ci sono rendite che si trasformano in consumi e che finanziano l’economia reale. C’è poi da capire tecnicamente come questo può essere fatto. La rimodulazione si può tradurre in incentivo su fondi comuni che investono nell’industria o fondi pensione che investono in minibond. “Si può ipotizzare – spiega Balice – per esempio esenzioni per quegli strumenti che possono essere particolarmente sensibili per catalizzare la crescita verso strumenti che aiutano a finanziare le imprese, per esempio i minibond.” In questo scenario anche l’aumento sulla tassazione dei titoli di Stato potrebbe essere accettato, nonostante i limiti sottolineati da molti (soprattutto relativamente al limitato impatto sugli investitori istituzionali che sono tassati sul bilancio complessivo e spesso sono esteri. Per alcuni il rischio è che il colpo sarebbe accusato soprattutto dai piccoli risparmiatori). “Bisogna capire quanto incide – dice Balice – Si tratta di una partita di giro, riguarderebbe solo le cedole e solo gli investitori residenti, non quelli che pagano le tasse all’estero. In ogni caso siccome siamo in una fase diversa credo che oggi l’emergenza non riguardi l’acquisto di titoli di Stato”. Quando qualche tempo fa si mise mano all’aumento al 20% della tassazione delle rendite finanziarie c’era l’emergenza spread e l’obiettivo era trovare risorse senza penalizzare i titoli di Stato. Oggi la situazione è cambiata.

SEMPLIFICAZIONE SENZA DISTORSIONE

“Secondo la mia personale opinione, sui titoli di Stato la questione è più complicata, non c’è motivo di tenerli fuori”, spiega a FIRSTonline Michele Calzolari, presidente Assosim che aggiunge: “È vero che la maggior parte sono investimenti di istituzionali che li mettono a bilancio, ma nell’ottica di avere imposte che distorcano il meno possibile non c’è motivo di tenerli fuori. Se si vuole fare l’aumento al 23% allora va fatto su tutto. Quello dei piccoli risparmiatori è un problema a prescindere, ma è necessario che le misure non siano distorsive”. Come la Tobin Tax che, rileva Calzolari, andrebbe tolta in Italia, perché “ha avuto danni significativi, ha diminuito le transazioni”, così come se introdotta a livello europeo “sarebbe un regalo agli inglesi”. Al momento gli unici due Paesi ad averla introdotta effettivamente sono l’Italia e la Francia mentre proprio recentemente Parigi e Berlino hanno rilanciato sul progetto che nel resto d’Europa ha accumulato ritardi a causa di disaccordi sui dettagli. In ogni caso, l’impatto di una rimodulazione della tassazione sulle rendite sarebbe a quello della Tobin Tax sulle transazioni, se non altro perché andrebbe nella direzione di allinearci ai livelli di tassazione del resto d’Europa. “Il punto vero –afferma Calzolari – è che va rivista la struttura generale della tassazione, non è possibile che ogni settimana venga fuori un intervento, bisogna farlo a livello complessivo guardando anche a quello che succede all’estero ed evitando effetti distorsivi. L’aumento della tassazione al 23% ci  può stare ma contemporaneamente dobbiamo togliere le varie mini imposte che fanno solo danni (come l’anticipo e l’aumento Ires una tantum per le banche e le Sim ndr), si deve studiare il problema e fare un  riordino complessivo, allora questa sarebbe una cosa innovativa”.

Sottolinea l’importanza di un intervento di semplificazione anche Stefano Sardelli, direttore generale Invest Banca che ritiene l’ipotesi di un aumento della tassazione “non peregrina se e solo se verrà accompagnata da una semplificazione totale in materia finanziaria e fiscale”. In particolare per Sardelli è indispensabile  che vengano eliminati tutti i “balzelli” che nel tempo si sono stratificati sulle rendite finanziarie creando una “babilonia” incredibile “che rende farraginoso il sistema e contribuisce giorno dopo giorno ad erodere la nostra industria finanziaria dalla quale tanti investitori sono usciti verso altre piazze finanziarie”. Anche qui il primo esempio va alla famigerata Tobin Tax.  “Oltre ad essere diventati lo “zimbello” delle altre piazze finanziarie – dice –  abbiamo registrato delle entrate ridicole rispetto a quanto atteso, con dei costi di adeguamento elevatissimi per l’industria di settore. Molti operatori ed investitori si sono orientati su altre piazze finanziarie ed il reddito complessivo del settore si è ridotto (e di conseguenza si è ridotto anche il gettito). Le mancate entrate non sono assolutamente compensate dalle “briciole” raccolte attraverso la Tobin Tax”.

IL GIUDIZIO ARRIVERÀ DALLE RIFORME PER LA CRESCITA

Per Giuseppe Attanà, presidente di Assiom Forex, il focus per giudicare questo intervento fiscale va messo sulle misure di sistema orientate crescita:  “Se un provvedimento simile – spiega a FIRSTonline – fosse parte di una serie di importanti altre riforme, aventi carattere strutturale e tese a rilanciare il Paese (lavoro, cuneo fiscale, legge elettorale, deburocratizzazione, taglio costi politica,  spending review, ecc.) e se il mercato le giudicasse realizzabili in quanto sostenute da una adeguata maggioranza politica, non credo vi sarebbero ripercussioni particolari per i nostri mercati, poiché il peso di una maggiore tassazione finanziaria sarebbe bilanciato da aspettative di crescita di valore delle attività sottostanti”. Negli paesi europei la tassazione delle rendite finanziarie risulta variegata e raggiunge in alcune casistiche percentuali attorno al 30%. “In Italia – continua Attanà  – dove i livelli di tassazione complessiva (sui redditi dichiarati) sono assai ben superiori a tale aliquota, non dovrebbe essere questo il problema principale, bensì quello della potenzialità e capacità di effettiva concreta crescita economica”.

DISTINGUERE TRA PROFESSIONISTI E PICCOLI RISPARMIATORI

Punta il dito sui contraccolpi per i piccoli risparmiatori Giovanni Daprà, co-fondatore e CEO di MoneyFarm, società indipendente di consulenza finanziaria che opera online, per il quale “l’idea di alzare l’aliquota sulle rendite finanziarie manca di un analisi pragmatica relativamente alla situazione in cui ci troviamo oggi” e si tratterebbe esclusivamente di un intervento “populista”. “Un ulteriore incremento dell’aliquota quindi sulle rendite finanziarie – spiega a FIRStonline -andrebbe a colpire tutti senza distinguere tra chi investe per professione (e per i quali un’assimilazione alla tassazione sul lavoro avrebbe senso) e chi ha come obiettivo proteggere il valore reale dei suoi soldi che è già tassato oltre il 50% per la produzione di quel reddito”. E aggiunge: “Vista in questi termini noi pensiamo che un aumento dell’aliquota può essere giustificato solo come un intervento populista, che si colloca in una generica caccia alle streghe che da qualche anno colpisce i risparmiatori grandi e piccoli e che non avrebbe altro effetto se non quello di disincentivare ulteriormente l’investimento dei risparmi tema su cui in Italia siamo già indietro anni luce rispetto al mondo anglosassone”. E lancia una controproposta: “La questione delle rendite finanziarie debba essere affrontata in modo più articolato. Si dovrebbero creare forme di incentivo al risparmio defiscalizzate per il piccolo risparmiatore che investe con un ottica di lungo periodo come gli ISA accounts anglosassoni e distinguere in modo chiaro chi fa l’investitore di mestiere e chi lo fa solo per proteggere il valore reale dei suoi soldi”. 

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