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Referendum o plebiscito? Attenzione alle chiavi di lettura dell’esito

Il prirmo problema da superare sarà quello del raggiungimento (molto difficile) del quorum. Ma soprattutto sarà interessante come verranno letti i risultati e le eventuali sconfitte

Referendum o plebiscito? Attenzione alle chiavi di lettura dell’esito


Quando quest’articolo verrà pubblicato saranno ancora in corso le votazioni per i cinque referendum sul lavoro e sulla cittadinanza. Io avrò già votato: sicuramente Sì nel quesito sulla cittadinanza (anche se Riccardo Magi, a mio avviso, non se lo meriterebbe perché ha sbagliato a mettersi in società con Maurizio Landini), non avrò sicuramente ritirato le schede dei primi tre quesiti sul lavoro; mentre scrivo non ho ancora deciso che cosa farò sul quarto quesito sulla sicurezza perché non mi convince l’idea che il problema principale in materia di infortuni sia quello di caricare di responsabilità l’appaltante, ma nello stesso tempo penso che la vittoria del Sì in questo referendum non porterebbe – come negli altri tre – veri e propri svantaggi per i lavoratori, il che rappresentata ciò che più mi offende in questa brutta operazione della confraternita Landini&Schlein perché non si può arrivare al punto di danneggiare i lavoratori pur di promuovere (copyright Paolo Gentiloni) ‘’una resa dei conti nel nostro album di famiglia”.

Quorum o non quorum? Questo è il problema

Chi avrà la cortesia di leggere questo scritto sarà già in grado sicuramente di prevedere l’esito del voto sulla questione decisiva del quorum. Se il numero dei votanti sarà lontano dalla maggioranza (50% + 1) la votazione sarà stata inutile; in caso contrario andrà messa in conto una marcata vittoria della sinistra che si sentirà liberata delle colpe accumulate in dieci anni di governo e avrà seppellito del tutto la stagione renziana.

Le previsioni propendono in generale per il mancato raggiungimento del quorum e quindi della nullità dei referendum. In questo caso la sinistra politica e sindacale ammetterà la sconfitta? Oppure si è data una soglia raggiunta la quale si attribuirà una vittoria, ancorchè monca? Landini non è nuovo ad inventarsi le cose e a fare i conti a modo suo. In occasione dell’ultimo sciopero generale arrivò a sostenere che la maggioranza del Paese era con lui e con Bombardieri perché la Cgil e la Uil avevano portato nelle piazze d’Italia 500mila persone. Landini poi ha brevettato una teoria: in considerazione dell’alto astensionismo nelle elezioni politiche il governo Meloni non rappresenterebbe una maggioranza effettiva dell’elettorato e quindi non sarebbe legittimato a governare.

Chi sarà il vincitore pur nella sconfitta?

Quale sarà la narrazione del segretario della Cgil questa volta? Ricordo che 40 anni orsono proprio in questi giorni (9 e 10 giugno del 1985) si svolse il referendum sulla scala mobile promosso dal Pci contro il decreto varato dal governo Craxi il 14 febbraio del 1984. Poiché il Sì all’abolizione avrebbe determinato un guadagno economico immediato era convinzione diffusa che non ci fosse gara. Invece – inaspettatamente – prevalse nettamente il No. Allora io era segretario generale (socialista) della Cgil dell’Emilia Romagna e trascorsi due anni da ‘’separato in casa’’ con i comunisti che costituivano la maggioranza della Confederazione e che avevano contestato dapprima il decreto poi promosso un referendum per abrogarlo, mentre noi socialisti eravamo sulla posizione opposta.

I comunisti erano persone serie diverse dagli scappati di casa che ora guidano le formazioni di sinistra. Con loro conducemmo un confronto duro, ma corretto, con grande rispetto delle reciproche scelte e con il comune proposito di non mandare tutto a gambe all’aria. La vittoria dei No fu una sorpresa. Il segretario del Pci bolognese Ugo Mazza (un’ottima persona) aveva prenotato per la serata del 10 (lunedì) piazza Maggiore per celebrare la vittoria. Il destino cinico e baro costrinse i comunisti bolognesi a celebrare quello che Mazza definì ‘’un successo non vittorioso’’.

Corre voce che la sinistra, stavolta, abbia ridisegnato la strategia in caso di sconfitta alla ricerca del ‘’successo non vittorioso’’ (una definizione che somiglia molto al commento di Pier Luigi Bersani sul risultato del Pd nelle elezioni politiche del 2013). Il ragionamento è peregrino e complesso.

La lente deformata sugli eventuali 12,4 milioni di votanti

L’obiettivo è quello a portare a votare 12, 4 milioni di cittadini ai seggi. Non si raggiungerebbe il quorum, ma il numero dei votanti sarebbe uguale a quello con cui il centro destra ha vinto le elezioni. Risulterebbe così secondo gli strateghi dem (e dintorni) che la maggioranza non sarebbe più tale. Secondo Francesco Boccia, presidente dei senatori dem ‘’se al referendum andassero a votare 12 milioni e 400 persone, sarebbe un avviso di sfratto alla presidente del consiglio”. Come possa il presidente dei senatori dem arrivare a queste conclusioni è difficile da comprendere: la sinistra non è autorizzata ad attribuirsi il voto di quanti si recheranno ai seggi per i referendum. Poi ogni consultazione elettorale fa storia a sé anche per le motivazioni che inducono a votare, per quale partito e quale programma. Nelle ultime legislature abbiamo visto delle vere e proprie migrazioni di milioni di elettori da uno schieramento all’altro.

Del resto in questa competizione la sinistra ha tentato di barare più volte a partire dalla pagliacciata del dovere civico di votare allo scopo di chiamare i causa Giorgia Meloni e il suo governo che giustamente si sono tenuti fuori da questa competizione. Questa pretesa è stata smontata in un colloquio con il Foglio da Cesare Salvi, ex Pci, ex parlamentare ex ministro del Lavoro: Non c’è nulla di illegittimo nell’astensione; si è sempre fatto dal Cardinale Ruini a Sergio Cofferati. E non so quanti altri’’. Poi Salvi sgombra il campo dai giochetti di Boccia affermando che se non si raggiungerà il quorum non sarà un ‘’successo non vittorioso’’, ma una sconfitta.

In molti hanno posto il problema di una revisione delle regole del referendum sostenendo che il livello del quorum non tiene conto del ‘’desencanto’’ della partecipazione e che dovrebbe essere abbassato e ragguagliato al numero dei votanti nelle elezioni politiche, magari aumentando il numero delle firme richieste per i quesiti. Il ragionamento è fondato, ma bisogna fare attenzione a non mettere il Paese e la sua attività legislativa nelle mani di minoranze. Poi ci sono altri problemi: fino a che punto con la pratica del taglia e cuci può essere consentito a un quesito di manipolare una norma fino a rovesciarne il contenuto?

Quando il referendum è letto come fosse un plebiscito

Per non parlare di un altro aspetto che è palese anche in questa tornata referendaria. C’è una deformazione dell’istituto referendario (un importante strumento di democrazia diretta) che viene definita: effetto plebiscito che si riferisce a un fenomeno in cui un referendum, anziché essere un semplice strumento per votare su una specifica legge o norma, si trasforma in una consultazione sulla fiducia dell’elettorato nei confronti di un partito o di una leadership politica, come se fosse un plebiscito sulla loro validità. In sostanza, quando si parla di effetto plebiscito in un referendum, si intende che il referendum viene interpretato non solo come una votazione su un tema specifico, ma come un’occasione per l’elettorato di esprimere la propria fiducia o sfiducia nei confronti di una determinata figura politica o partito.

Questo tipo di effetto può verificarsi in diverse situazioni, ad esempio quando un referendum si svolge in un momento di crisi politica, quando il partito al governo è sotto pressione o quando la questione oggetto del referendum è strettamente legata alle posizioni del governo.

L’effetto plebiscito può avere diverse conseguenze, come ad esempio:
• Una maggiore partecipazione elettorale: L’elettorato può essere più motivato a votare per dare un segnale chiaro alla leadership politica.
• Un risultato più polarizzato: L’elettorato può essere più diviso, con un maggior numero di persone che si schierano a favore o contro il governo.
• Una maggiore incidenza sul futuro politico: Il risultato del referendum può avere un impatto significativo sulla stabilità del governo e sul suo futuro politico.
In definitiva, l’effetto plebiscito nei referendum è un fenomeno complesso che può avere un impatto significativo sulla politica e sulla vita pubblica di un paese.
Le opposizioni, senza riuscirci, hanno tentato di usare il referendum a questi fini, falsando la discussione. Perché quando si mettono in campo slogan propagandistici come ‘’maggiore tutela nei licenziamenti’, ‘’lotta alla precarietà’’, ‘’maggiore sicurezza nel lavoro’’ si costringe quanti intendono replicare a svolgere vere e proprie lezioni complesse di diritto del lavoro, perché non è sufficiente smentire senza mettere in campo argomenti. E’ una posizione di svantaggio difficilmente recuperabile, tanto da raccomandare la scelta dell’astensione. Chi vuole può fare mente locale ai quesiti su cui si vota e a come sono stati presentati e accorgersi di quanti argomenti – tutti corretti – per smentirli. C’è poi la debordante passione italica per i referendum (78) che non trova riscontro in altri paesi e che ha contribuito a delegittimare un istituto fondamentale per la democrazia.

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