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Racconto della domenica: “Piccoli equivoci” di Pierluigi Porazzi

Al ritorno dal lavoro, un uomo sbaglia porta di casa. Anzi, la porta è quella giusta. È la vita sbagliata che gli va incontro, oltre il solito cancelletto familiare. Ma che male può fare essere qualcun altro per una sera, solo una? Accettare l’invito della nuova “moglie” e incontrare per la prima volta i propri “figli”. O forse accetta più di una strana, semplice serata fuori dalla routine di tutti i giorni? Pierluigi Porazzi firma un racconto che, tra le righe, parla di quotidianità e cambiamento.

Racconto della domenica: “Piccoli equivoci” di Pierluigi Porazzi

Una sera d’inverno come tante. Stanco dopo un’intensa giornata di lavoro, parcheggiò l’auto, scese dall’abitacolo, la richiuse, infilò le chiavi in tasca e si avviò verso il portoncino della sua villetta a schiera, acquistata da appena un anno. Suonò il campanello. Uno scatto metallico. Spinse il cancelletto e se lo richiuse alle spalle, entrando nel piccolo giardino. La porta di casa si stava aprendo. Si trovò di fronte una donna che non aveva mai visto in tutta la sua vita. 

“Cazzo” pensò, “lo sapevo che prima o poi mi sarebbe successo. Queste villette a schiera sono tutte uguali. Ho suonato alla porta sbagliata.” 

«Mi scusi, ma…» 

«Amore, ciao!» La donna, sorridente, si gettò verso di lui abbracciandolo. 

«Ma guardi che…» 

«È arrivato il papà, ragazzi.» 

Lui non aveva figli. Avevano deciso di aspettare, proprio per essere sicuri di riuscire a pagare le rate del mutuo prima di allargare la famiglia. 

«Ciao, papà!» 

«Ciao!» 

Due bambini, un maschio e una femmina, gli erano venuti incontro. 

«Cosa ci hai portato stasera?» 

«Ma… lasciatelo almeno entrare, povero paparino, con questo freddo! Su, caro, dammi il cappotto.» 

«No, no, guardi che io…» 

La donna gli sfilò il giaccone e lo appese all’attaccapanni. L’uomo si guardò intorno. La casa era arredata con gusto, ma non era la sua. La struttura era identica, tutte le villette a schiera di quella via erano uguali, ma per il resto era chiarissimo che non era la sua. E poi, diamine, sarà stato anche stanco, ma sua moglie era ancora in grado di riconoscerla! Si avviò con passo deciso verso l’attaccapanni per riprendere il cappotto e uscire da quella situazione, che stava diventando piuttosto imbarazzante. 

«Tesoro, ma cosa fai?» lo bloccò la donna. «Ma i bambini scherzavano, non devi mica portargli qualcosa ogni sera, altrimenti li vizi». 

«Signora, io…» 

«Cosa fai, mi dai del lei, adesso? Vuoi fare il giochino dei due sconosciuti?» disse la donna strusciandosi contro di lui. «Aspetta almeno che mettiamo a letto i bambini, porcellone!» 

Però non era male, anzi. Sulla trentina, il corpo ancora sodo nonostante le due gravidanze, un seno florido, come piaceva a lui, la bocca sensuale. No, non era affatto male. 

«Papà, papà, guarda cosa ho fatto oggi a scuola.» 

«Papà, vieni a giocare con la Playstation!» 

«Niente da fare, adesso si va tutti a tavola! Non voglio sentire discussioni» ordinò la madre con autorità. 

“Beh, le parlerò dopo. Anche se resto a cena qua non muore nessuno” pensò l’uomo sedendosi a tavola. 

Dopo cena non seppe resistere alle effusioni della donna. Pensava di andarsene subito dopo ma si addormentò. 

L’indomani mattina si svegliò alle sei, come sempre. 

«I tuoi vestiti sono già pronti nello sgabuzzino» sussurrò la donna accanto a lui, ancora insonnolita. Lo baciò appassionatamente. «Ieri sera è stato fantastico, come se non lo avessimo fatto da anni». 

Nello sgabuzzino trovò un completo grigio, con camicia e cravatta. Era della sua misura. Uscì di casa alle sette, parcheggiò l’auto in stazione e prese il treno. 

Quella sera tornò a casa alla solita ora. Parcheggiò l’auto, scese dall’abitacolo, la richiuse, infilò le chiavi in tasca e si avviò verso il portoncino della sua villetta a schiera. Stavolta controllò il numero civico: 36. Era il suo numero. Leggermente più rilassato suonò il campanello. 

All’improvviso si raggelò. Da dietro la porta ancora chiusa aveva udito le grida di due bambini. 

L’autore

Pierluigi Porazzi è nato nel 1966 e ha iniziato a scrivere da adolescente racconti brevi, spesso brevissimi, di genere simbolico-esistenziale. Ha conseguito il titolo di avvocato. Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati raccolti da Campanotto Editore nel volume La sindrome dello scorpione. Il suo primo romanzo, L’ombra del falco, è entrato tra i finalisti del Premio Tedeschi del 2009 e pubblicato nel 2010 da Marsilio Editori, con una seconda edizione un mese dopo l’uscita. La sua ultima opera edita è La ragazza che chiedeva vendetta (La Corte Editore, 2018). 

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