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Racconto della domenica: “Il viaggio” di Gianfranco Sorge

La prima volta che la vide, era solo un ragazzo. Ma da quel momento, il suo richiamo da sirena ne ha occupato la mente. E il cuore. Perché nemmeno l’amore, anzi gli amori sono riusciti a tenerlo lontano dalle sue curve pericolose. Allora, diventato uomo insoddisfatto, il protagonista cerca il suo desiderio più grande. Ma è davvero l’unione a cui è destinato? E se, prima di affondare nelle braccia di questa maliarda, conoscesse un’altra donna, una che potrebbe cambiare tutto? Un racconto, come sempre fuori dal coro, da un autore che tramite gli eccessi cerca di affrescare l’animo umano.

Racconto della domenica: “Il viaggio” di Gianfranco Sorge

Era da tempo che sognavo di fare quel viaggio. Sì, un lungo viaggio alla ricerca di lei, sì proprio lei. L’avevo intravista da ragazzo – credo avessi diciannove anni – avvolta in un attillato abito nero che ne metteva in evidenza la sinuosità delle sue forme seducenti. Indeciso, non avevo avuto il coraggio di afferrarla, di farla mia. Le mie insicurezze e la paura, allora, mi avevano bloccato. Ma qualche traccia di lei, il bisogno di lei, l’aroma che emanava da lei erano sempre rimasti profondamente dentro di me, nascosti sì, ma mai cancellati del tutto.  

Per distrarmi da lei mi ero immerso con successo negli studi universitari, avevo anche avuto più storie con coetanee che al suo confronto erano scialbe e incolori. Nessuna, infatti, neanche lontanamente, riusciva a incarnare il suo carisma né possedeva la sua imparzialità. Nei momenti di crisi però riaffiorava prepotente il ricordo di lei. Poi la laurea in Scienze politiche e il lavoro in ambasciata. Lì avevo conosciuto Eleonora. Dapprima solo attrazione fisica, tramutatasi in seguito in una passione travolgente al punto da farmi dimenticare di lei. Dopo sei mesi avevamo messo su casa progettando il nostro futuro insieme, ma, poco dopo, una maledetta sciagura aveva posto fine alla nostra storia. L’elicottero a bordo del quale si trovava Eleonora, durante una missione in Indonesia, era precipitato non lasciando scampo a nessuno dei suoi occupanti. All’inizio avevo rifiutato di credere che fosse vero, poi pian piano mi ero rassegnato ad accettare la realtà, e avevo ripreso il lavoro mostrando una forza d’animo che lasciava stupiti i miei colleghi. Ma dentro di me poco alla volta era affiorato ancora una volta il bisogno di lei, del mio primo amore, come se solo attraverso l’incontro con lei avrei potuto superare il dolore della perdita di Eleonora dando uno scopo alla mia esistenza.  

Ci avevo pensato a lungo e ora avevo deciso di andarla a trovare, costasse quel che costasse. Più che mai desideravo ardentemente precipitarmi da lei, volare da lei, abbandonarmi in lei. Quello ormai lo consideravo l’unico scopo della mia vita. 

Nella mia città avevo più volte visitato la villa monumentale dove spesso lei tornava a portare alcuni suoi ospiti. Tre grandi cancelli incastonati in una superba architettura gotica la delimitavano e, quando era possibile accedervi, rimanevo sempre preso dalla strana, arcana sensazione di entrare quasi in contatto con lei attraverso le marmoree sculture e le puntute conifere che troneggiavano nell’ampio parco.  

A bordo della mia elegante autovettura nera metallizzata, mi misi in viaggio al primo albeggiare di un lunedì di novembre. Il tempo non era dei migliori, una nebbiolina rada combatteva, aiutata da un vento ululante, contro i primi raggi di un sole pallido che stentava a sorgere. 

Percorsi chilometri e ancora chilometri, centinaia di chilometri. Attraversando un ampio viadotto sulla strada che da Roma porta a L’Aquila mi sembrò di scorgere le sue tracce. Mi sbagliai e proseguii a divorare il gelido asfalto del litorale adriatico. Giunto a Venezia sterzai a sinistra per arrivare dapprima in Liguria, poi in Costa Azzurra e infine in Spagna.  

Stanco e affamato continuavo a guidare imperterrito. Alla fine, stremato, fui a un tratto preso dalle note di un bolero che echeggiava in lontananza. Sì, sì, lei doveva essere nelle vicinanze e, dopo aver svoltato, la vidi in fondo a quella strada panoramica a strapiombo sul mare.  

Finalmente l’avevo trovata!  

Un simpatico muretto sgretolato proprio là, nel tratto in cui la strada piegava a destra, me la faceva ammirare in tutto il suo splendore. 

Quella stupenda curva da cui precipitarmi con la mia vettura l’avevo finalmente rintracciata! Non c’erano odiosi guardrail a proteggerla da chi, come me, desiderava ardentemente raggiungerla. 

Percorrevo la strada lentamente assaporando i pochi attimi che mi restavano prima dell’incontro con lei. Quell’incontro che da anni alimentavo ossessivamente con stupende fantasie.  

Già mi vedevo andarle dritto incontro, volteggiare come una variopinta farfalla nell’aria, in quel volo, in quel tuffo carpiato che mi avrebbe portato da lei.  

Avevo disattivato l’airbag, ma la cintura l’avevo ben stretta intorno al torace, non volevo sfracellarmi del tutto. È unica la possibilità che si ha nella vita di trapassare in lei e quindi l’idea di restare agonizzante per qualche istante o più mi eccitava. Avrei maggiormente assaporato la fusione con lei.  

Un ultimo colpo sull’acceleratore e via verso quel balzo nell’oscurità avvolgente che iniziava già a pervadermi.  

Mah… Diavolo! Che succede? 

La benzina è finita, le ruote anteriori sono in bilico, l’auto ondeggia ma non cade.  

Penso di scendere dalla macchina, dare una piccola spinta e poi, una volta rientrato, agitarmi sul sedile come se stessi copulando con lei, per sbilanciare la vettura e precipitare finalmente giù.  

Scendo, spingo, ma poi mi vien voglia di guardare sotto. È una giornata di sole, il mare è di un vellutato colore smeraldo. Cammina sulla spiaggia una splendida donna bionda, la vedo sorridermi, mi dice: «Resta! Combatti! Perché vuoi lasciarmi?», mentre un delicato profumo che m’inebria si diffonde da lei.  

D’un tratto quell’altra lei, desiderata allo spasimo per anni, si tramuta in una strega obbrobriosa. Percepisco di essere intrappolato in un perfido incantesimo che mi ha privato di quella soave fanciulla di cui solo ora avverto il richiamo vitale.  

Scorgo sulla spiaggia degli stracci neri, un fetore putrescente m’invade mentre prende corpo quella lurida puttana che, non risparmiando nessuno, va con tutti. 

«No, non mi avrai morte maledetta!» le urlo e finalmente riesco a piangere e con le lacrime va via anche quella insana voglia di lei. 

Riaffiora la speranza mentre gusto il caldo abbraccio di quella bionda. Sì, mentre lei mi avvolge sperimento la gioia dell’esistere.  

L’autore

Gianfranco Sorge  è nato a Catania, è medico chirurgo, dirigente psichiatra dell’azienda sanitaria catanese e docente di Psicopatologia presso la scuola di specializzazione dell’Istituto Italiano di Psicoanalisi di Gruppo (IIPG). I suoi racconti hanno ricevuto importanti menzioni in vari premi letterari nazionali. Con goWare ha pubblicato la raccolta È solo nella tua mente ed è reale (2015) e due romanzi: Squatter! (2018) e Perturbanti congiungimenti (2019).

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