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Quarta dose, Pandolfi: “Dobbiamo vaccinare i sessantenni perché l’età è un fattore di rischio”

Il direttore della sanità pubblica dell’Ausl di Bologna: “Il vaccino è vecchio? Anche il prossimo lo sarà. Chiamiamo Omicron un virus diverso. Tra i sanitari sono aumentati i contagi”

Quarta dose, Pandolfi: “Dobbiamo vaccinare i sessantenni perché l’età è un fattore di rischio”

Con gli ottantenni non ha avuto molto successo, ma i sessantenni stanno rispondendo con maggior convinzione all’appello emanato in questi giorni per la quarta dose di vaccino anti-Covid 19. Questa classe di età, giovanile e dinamica, a quanto pare non ha voglia di farsi stendere dal virus durante le vacanze, eppure i dubbi che circolano sull’opportunità della somministrazione sono tanti, anche tra gli esperti. Per capire meglio rischi e opportunità del nuovo richiamo, FIRSTonline ha intervistato Paolo Pandolfi, direttore della sanità pubblica dell’Ausl di Bologna, una realtà formata da 45 Comuni e 900mila persone circa.

La quarta dose del vaccino secondo Pandolfi: l’intervista

Professor Pandolfi, partiamo da qui: perché un sessantenne in buona salute dovrebbe immunizzarsi con un vaccino “vecchio”, pensato per il virus di Wuhan, invece di aspettare quello nuovo in programma per ottobre-novembre?

«Purtroppo anche i medici sono divisi e a volte creano confusione, cercherò quindi di fare chiarezza. La vaccinazione è vivamente consigliata a un sessantenne, perché la terza dose ha ormai esaurito in gran parte i suoi effetti e i contagi aumentano quotidianamente. L’argomento che il vaccino è vecchio non regge, perché anche la variante Omicron che circola non è quella dell’atteso nuovo vaccino. Noi la chiamiamo Omicron, ma dovremmo ribattezzarla diversamente, perché sotto la stessa insegna mettiamo virus diversi.

La realtà è che non saremo mai in grado di stare al passo con questo virus, che si trasforma continuamente. Per esempio si sta monitorando anche Centaurus, variante che viene dall’India. In ogni caso sappiamo che il vaccino che abbiamo a disposizione, quello contro il coronavirus di Wuhan per capirci, non protegge molto dall’infezione, ma offre un’ottima copertura dalle conseguenze gravi della malattia. È vero che l’infezione prevalente, in questo momento, colpisce soprattutto le vie aeree superiori e provoca meno ricoveri, però non è una malattia leggera. Nel nostro territorio i ricoverati, pochi giorni fa, erano 300 e ora sono già 400, si tratta di una progressione importante».

Perché si è stabilito di estendere subito la quarta dose ai sessantenni, anche se sono in buona salute?

«Perché l’età è un fattore di rischio e si somma alle altre patologie che un sessantenne, anche in buona forma fisica, ha quasi sempre. I problemi di invecchiamento cominciano in genere dopo i 40 anni, quando si riducono le capacità dell’organismo di reagire. La persona può apparire giovane, i sessantenni del 2022 non sono quelli di 30 anni fa, ma il loro corpo ha già in sé degli elementi che lo rendono più vecchio. Noi, a Bologna, facciamo studi sulla fragilità e siamo in grado di prevedere in modo preciso, nel corso dell’anno, come cresce il rischio di morte in relazione all’età. La situazione progredisce a 75 anni, quando la persona diventa veramente anziana e a quel punto gli eventi avversi sono più difficilmente reversibili, poiché l’organismo è meno efficiente.

Non è un caso che prima EMA e poi AIFA abbiano dato l’indicazione di vaccinare gli ultrasessantenni. Una persona che desidera andare in vacanza e condurre una vita un po’ più libera deve proteggersi. Io credo che bisognerebbe vaccinare anche gli operatori sanitari, tra i quali è aumentata la quota di soggetti contagiati. Nella nostra azienda, in questi giorni, abbiamo circa 200 persone in malattia, molti medici e infermieri, ma anche addetti alle vaccinazioni. È un numero importante. D’altra parte i contagi giornalieri ci dimostrano quanto l’infezione stia correndo».

È vero che chi fa il vaccino in questo periodo non potrà ripetere la vaccinazione a ottobre, per non mandare in tilt il sistema immunitario? Vale la pena di passare in coda?

«I tempi tra una vaccinazione e l’altra devono essere generalmente di quattro mesi, quindi chi si vaccina può fare un’altra dose a fine novembre oppure a dicembre. Si tratta di un momento perfetto per fare anche il vaccino dell’influenza e si potrebbero cumulare le due protezioni».

La quarta dose che protezione maggiore offre rispetto alla terza dose?

«Una protezione importante. In genere gli anticorpi calano in misura considerevole dopo sei mesi dalla terza somministrazione. A quel punto resta una protezione dagli eventi avversi intorno 30-40% circa. Con il nuovo richiamo si può riportare la protezione dalla malattia grave al 70-80%, la quarta dose offre quindi questo 40% in più di tutela, poiché fa ripartire la risposta anticorpale. L’azione del sistema immunitario messa in moto in questo modo evita la diffusione del virus al corpo. La protezione dal contagio è invece molto più bassa, intorno al 50%».

Quanto pesa su questo invito ai sessantenni il fatto che scadono moltissime dosi di vaccini?

«Ci può essere anche un aspetto di questo genere, ma non è determinante. Noi, ad esempio, abbiamo acquistato 2,5 milioni di dosi di vaccini, anche se ne scadono 10mila o ventimila la quota non utilizzata è minima. Si cerca sempre di stare larghi per rispondere al meglio alla possibile richiesta e purtroppo qualche spreco è inevitabile. Non è certo questo il vero motivo dell’invito a proteggersi».

In questi mesi si è sentito un po’ di tutto, chi dice che bisogna lasciar correre il virus, chi vuole evitare restrizioni agli asintomatici: queste affermazioni hanno senso?

«Far correre il virus è un errore madornale, perché c’è sempre qualcuno che in questa roulette si fa davvero male. Sicuramente l’attenzione deve restare alta sui sintomatici, per i quali ci vuole l’isolamento. Gli asintomatici invece sono il punto debole di ogni prevenzione, perché chi non sa di essere positivo fa circolare virus o batteri. Se una persona invece è consapevole di essere positiva al coronavirus e fa una vita senza restrizioni è irresponsabile e viola anche la legge. Abbiamo un dovere morale e legale verso chi ci sta vicino, figli, coniuge, genitori, nonni e colleghi».

Alla luce del dilagare dei contagi, secondo lei, ha avuto senso togliere l’obbligo delle mascherine?

«Assolutamente no, secondo me è stato un grave errore. Ci sono precauzioni basilari per mitigare la diffusione delle malattie contagiose come le mascherine, il distanziamento e il lavaggio delle mani. Negli ultimi tempi invece abbiamo abbassato la guardia su tutti i fronti e i risultati si vedono. Sa quanti contagi ci sono da pausa caffè? Perché è vero che se mangiamo il virus non ci ammaliamo, ma è anche vero che con le mani magari ci tocchiamo la congiuntiva (importante via d’accesso del virus) oppure ci mettiamo le dita nel naso e anche così il guaio è fatto. Quindi disinfettiamo le mani il più spesso possibile. La mascherina nei luoghi chiusi andrebbe sempre usata e ci protegge anche da altre malattie come morbillo, meningite, asma. Non è una barriera che copre al 100%, ma è molto utile. Purtroppo ci sono molti medici che la sottovalutano, probabilmente perché non tengono conto dell’insegnamento della storia della medicina, che da secoli conosce l’utilità delle mascherine e dell’igiene».

Dal suo osservatorio lei può valutare anche la diffusione di altre malattie infettive come il vaiolo delle scimmie o la dengue e la febbre del Nilo. Il mondo sta diventando un posto sempre più pericoloso per l’uomo?

«Le malattie infettive ci sono sempre state. Per quanto riguarda il vaiolo delle scimmie, al momento, non è un problema importante di sanità pubblica. Per ora siamo in una fase di sorveglianza. Purtroppo questo virus è uscito dal suo bacino naturale che è l’Africa ed è approdato anche da noi, ma per ora resta limitato a piccole quote di persone. È meno preoccupante però del morbillo, della difterite, della pertosse o dell’epatite. A Bologna abbiamo molti casi, ben oltre le dita di due mani, ma non si tratta di veri focolai perché i contagi non hanno un’origine comune.

Il vaccino che veniva usato tanti anni fa per il vaiolo umano sembra efficace, ma chi è nato negli anni ’90 non lo ha mai fatto; infatti, la malattia è diffusa soprattutto tra gli uomini giovani. La situazione viene monitorata a livello europeo e in caso di crescita si potrà riesumare il vaccino per il vaiolo umano per proteggere la popolazione non immunizzata. Nella nostra area sono diffuse anche altre malattie su cui operiamo una sorveglianza come la Leishmaniosi, che viene diffusa da pappataci, la West Nile, veicolata dalle zanzare comuni, la Chikungunya e la Dengue dovute alla zanzara tigre. La prevenzione consiste nella difesa dalle punture degli insetti e dal trattamento delle larve delle zanzare. Nel caso di focolai si fa un trattamento importante anche degli insetti vivi nell’area interessata, cercando di allontanare le persone. Non si può abusare di questi insetticidi però perché sono spesso cancerogeni e dannosi per l’uomo».

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