Condividi

Poste Spa: Caio a New York scalda i motori della privatizzazione

L’Ad sarà oggi a New York e mercoledì a Londra per incontrare fondi e banche. Con lui il Cfo Luigi Ferraris – Di fatto è il fischio d’inizio della privatizzazione, fiore all’occhiello del governo Renzi, in vista dell’ok Consob al prospetto – Sbarco in Borsa previsto il 28 ottobre, sarà offerto il 40% del capitale – Il Mef punta ad incassare circa 4 miliardi

Poste Spa: Caio a New York scalda i motori della privatizzazione

La privatizzazione di Poste Italiane scalda i motori. E proprio stamattina Francesco Caio, amministratore delegato della Spa postale nazionale, incontra a New York fondi d’investimento e banchieri per presentare alla comunità finanziaria i punti di forza del progetto. Dopodomani, mercoledì, sarà a Londra e farà il bis. L’accoppiata dei due appuntamenti nelle due più importanti piazze finanziarie mondiali segna, se non nella forma visto che manca ancora il via libera della Consob al prospetto informativo, almeno nella sostanza, l’avvio del percorso per la messa in vendita del 40% del capitale.

IL D-DAY E LA BORSA

L’approdo è la quotazione in Borsa prevista per mercoledì 28 ottobre. A questa data si arriva considerando che la Consob ha tempo fino al 12 ottobre per dare il suo via libera al prospetto informativo presentato da Poste l’11 agosto. Non è detto che aspetti fino all’ultimo giorno e anzi l’attesa è che si pronunci entro il 9 ottobre. L’offerta delle azioni scatterebbe così il lunedì successivo, con una durata prevista di 2 settimane. Ogni slittamento o richiesta di ulteriori informazioni da parte di Consob, per ora non prevista, comporterebbe uno slittamento di massimo una settimana sul programma.

Questa è la tempistica più attendibile che andrà confermata ma che per ora non prevede scostamenti significativi: “Siamo entrati in un momento di maggiore volatilità ma il mercato guarda ai fondamentali della ripresa Ue e Usa come credibili, quindi manterremo la nostra tabella di marcia”, ha risposto Caio a Cernobbio a chi gli chiedeva se la frenata cinese poteva interferire con i programmi di quotazione. Un’operazione dalla quale il Tesoro punta ad incassare qualche miliardo, 4 secondo le stime circolate, e che costituirà il fiore all’occhiello delle privatizzazioni del governo Renzi.

IL MEETING CON I GRANDI FONDI

L’incontro a New York, in attesa dell’avvio del road show vero e proprio che accompagnerà il lancio dell’offerta, servirà intanto a tastare il polso della comunità finanziaria d’oltreoceano e confrontarsi anche sulla scelta delle date e la ripartizione delle quote di offerta. Francesco Caio sarà accompagnato dal Cfo Luigi Ferraris e dalle banche del consorzio per l’offerta pubblica (Banca Imi, Unicredit, Bank of America Merril Lynch, Citi e Mediobanca).

Premesso che Poste è sicuramente una delle Ipo più attese dal mercato, l’obiettivo è di misurare le intenzioni dei grandi fondi istituzionali, sovrani e fondi pensione, circa il loro impegno ad investire in Poste Spa. Si tratta di spiegare la complessa struttura del colosso Poste che poggia sui tre pilastri dei servizi postali, bancari e assicurativi e di illustrare il business plan messo a punto dal vertice. E di capire quale quota di Poste Spa sono interessati a coprire in modo di bilanciare al meglio l’ammontare di azioni da offrire agli istituzionali e quella da collocare presso il pubblico dei risparmiatori.

L’ARTICOLAZIONE DELL’OFFERTA

Collocando il 40% del capitale, secondo le indiscrezioni circolate, il ministero dell’Economia conta di incassare complessivamente, circa 4 miliardi. La forchetta delle stime sul valore complessivo di Poste oscilla infatti tra gli 8 e i 10 miliardi, il che corrisponde ad una forchetta di prezzo tra 5,5 e 7,5 euro.

Della quota offerta al mercato, il 30-40% dovrebbe andare al retail (inclusa l’eventuale quota riservata ai dipendenti) mentre agli istituzionali verrebbe offerto il restante 60-70%. Poste rappresenta un unicum sul mercato con 28,5 miliardi di fatturato, 212 milioni di utile, una presenza diffusa sul territorio italiano paragonabile solo a quella di commissariati e stazioni dei carabinieri, e 144.635 dipendenti.

Per non rinunciare a quotarla quest’anno e rendere compatibile la vendita con tempi accelerati (oltre che per non scatenare una guerra con i sindacati) il governo ha deciso di non scorporare le attività finanziarie (bancoposta e assicurazioni vita) come invece ha fatto Angela Merkel con Deutsche Post. O come ha deciso di fare il Giappone che ha preferito il percorso dello “spacchettamento” dei vari business e il 4 novembre presenterà in Borsa 3 Ipo (Japan Post holding, Japan Post Bank e Japan Post Insurance) con un’attesa di incassi di oltre 10 miliardi di euro (1.390 miliardi di Yen). 

Commenta