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Pagamenti digitali, Apsp: “Tutti i falsi miti su costi e sicurezza”

Intervista a Maurizio Pimpinella, presidente dell’Apsp, l’associazione di settore cui aderiscono gruppi come Cartasì e Banco Posta – “Le frodi riguardano lo 0,0011% delle transazioni. “I costi delle carte? La gestione dei contanti pesa molto di più” – “Nel 2016 i pagamenti contactless sono aumentati del 700%” – “L’arrivo di Apple Pay è importante, ma per colmare il gap con l’Europa resta molto da fare”

Pagamenti digitali, Apsp: “Tutti i falsi miti su costi e sicurezza”

Lo sbarco in Italia di Apple Pay ha riacceso i riflettori sul mercato dei pagamenti digitali. Intendiamoci, siamo ancora un popolo innamorato dei contanti: stando ai dati della Banca d’Italia, nel nostro Paese l’83% delle transazioni avviene in moneta sonante. La diffidenza nei confronti di carte, Pos e applicazioni per pagare via smartphone è legata soprattutto ai dubbi sui costi e sulla sicurezza di questi strumenti, eppure negli ultimi tempi qualcosa sta cambiando, aprendo delle prospettive impensabili fino a qualche anno fa. Ma a che punto siamo oggi e cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Pimpinella, presidente dell’Associazione prestatori di servizi di pagamento (Apsp), di cui fanno parte importanti gruppi del settore come Banco Posta, CartaSì, PayPal, Samsung e Sisal Pay.

Dottor Pimpinella, cosa risponde a chi evita i pagamenti digitali per timori legati alla sicurezza?

«Rispondo con degli interessantissimi dati: le frodi riguardano lo 0,0011% delle transazioni. Purtroppo, è ben più probabile subire un furto o una rapina per via del contante. Il denaro liquido implica la possibilità di smarrimenti, oltre ad episodi ben più tragici».

E a chi non li usa per i costi?

«Il contante costa all’Italia, e dunque agli italiani, circa 10 miliardi di euro l’anno. In questa cifra sono comprese le operazioni di movimentazione, messa in sicurezza e deposito: in poche parole tutti i costi di gestione. Non usando i pagamenti digitali, per presunti costi ad essi legati, si alimentano i costi legati al contante. Per non parlare dei rischi d’emissione di banconote false: ogni anno la Bce ne riconosce 387mila».

È vero che negli ultimi anni si è assistito a un boom in Italia? 

«Certamente. Nel 2016 i pagamenti con carta sono aumentati del 9% rispetto al 2015, costituendo un mercato da 190 miliardi di euro. I pagamenti contactless hanno invece registrato un’impennata del 700%, mentre il pagamento mobile ha segnato un +63%, arrivando a quota 3,9 miliardi di euro, stando ai dati dell’Osservatorio Mobile Payment PoliMi. È un anno significativo anche dal punto di vista normativo: l’operatività della Payment Service Directive II prevista per il 2018 ha innescato movimenti su tutti i mercati connessi a questo settore».

Come cambia lo scenario con l’arrivo di Apple Pay e, a breve, di Samsung Pay?

«L’approdo di Apple Pay dimostra che l’Italia si sta effettivamente digitalizzando. Tuttavia siamo agli inizi, e l’approccio è tipico della Mela di Cupertino: per il momento gli accordi sono stati presi esclusivamente con Unicredit, pertanto il servizio sarà limitato a pochissimi correntisti. Non sarà permesso da Apple Pay il passaggio del numero della carta al POS: dunque l’esercente non vedrà i dati del circuito, ma solo un codice univoco Apple. Apple intende entrare da protagonista nel mercato dei pagamenti, facendo concorrenza a PayPal ed Amazon Pay. Il prossimo arrivo di Samsung Pay è un fenomeno analogo, che va nella stessa direzione: il pagamento diventa l’ultimo miglio con cui entrare in contatto con i clienti».

Quali sono le prospettive per i prossimi anni?

«L’importanza strategica del comparto payment per le banche, anche se rappresenta solo il 10% delle attività, è fondamentale per lo sviluppo di altre linee: l’istanza del pagamento è diventata il vero terreno di sfida per entrare in contatto con il cliente. Ma oggi anche i player di settori più disparati hanno capito l’importanza dei digital payment: dall’eCommerce alla mobilità, dal turismo all’automotive, fino alla logistica. Una prospettiva verosimile è quella dei pagamenti “frictionless”, ad esempio le carte contactless, oppure l’autenticazione tramite impronta digitale al posto di un pin per le operazioni via mobile. E poi c’è la blockchain, un database distribuito che sfrutta la tecnologia peer-to-peer per registrare cronologicamente tutte le transazioni avvenute in criptovaluta (ad esempio i Bitcoin): l’Associazione che rappresento sta sviluppando partnership strategiche con primarie aziende del settore e poli universitari d’eccellenza per studiare attentamente questa tecnologia e le sue future applicazioni».

Come si posiziona l’Italia rispetto agli altri principali Paesi europei?

«Pur rimanendo ancora nelle ultime posizioni in Europa per diffusione ed utilizzo degli strumenti in questione, terzultimi esattamente se guardiamo i dati dell’ecommerce emersi da un’elaborazione di dati Eurostat ad opera di Centro Studi ImpresaLavoro, emergono segnali incoraggianti. Ciò detto, resta un problema di fondo, talvolta veicolato come dato positivo: in Italia si registra la più alta concentrazione di POS in Europa. A parità di transazioni, avere più POS significa sostenere costi maggiori di infrastruttura tecnologica».

Cosa si può fare per migliorare?

«L’Italia riuscirà veramente a riallinearsi alle medie europee solo quando investirà in educazione finanziaria e cultura dell’innovazione, entrambi obiettivi perseguiti, al momento, dagli Over The Top. Sono fondamentali appositi percorsi culturali per insegnare, passo dopo passo, non solo le tecniche per utilizzare i nuovi servizi, ma anche la sicurezza e la semplicità connesse con queste novità. È nota a tutti la survey di Standard & Poors che sanciva che in Italia solo il 37% degli adulti risponde correttamente a 3 domande su 5 riguardo a interesse semplice e composto, inflazione e diversificazione del rischio: non stupiamoci che le famiglie italiane detengano il 30% della propria ricchezza in contanti o depositi. Sul fronte giovani, bisogna intervenire attraverso i programmi scolastici, inserendo da subito competenze finanziarie e digitali. Insegnare come gestire il denaro implica dare ai giovani una percezione più ‘adulta’ delle proprie tasche».

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