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Obbligazioni, cosa accadrà quando le banche centrali chiuderanno i rubinetti

ANALISI DI LOMBARD ODIER INVESTMENT MANAGERS – L’obiettivo degli istituti centrali è mantenere una politica espansiva fintantoché la crescita resterà molto debole, ma quando invertiranno la rotta inizierà una drammatica fuga dal mercato obbligazionario.

Obbligazioni, cosa accadrà quando le banche centrali chiuderanno i rubinetti

Al culmine della bolla dei subprime, il responsabile di Citigroup, Chuck Prince, ha notoriamente dichiarato: “Quando la musica si fermerà, la situazione sarà complicata in termini di liquidità. Ma finché l’orchestra suona, bisogna alzarsi e ballare. E noi stiamo ancora ballando”. Sei anni dopo, le banche centrali di tutto il mondo suonano un motivo diverso, in un contesto di politiche monetarie accomodanti e tassi d’interesse bassissimi. A loro volta, gli investitori obbligazionari, a caccia di rendimenti, sono impegnati in una danza più frenetica; ma cosa succederà quando la musica – com’è destino che sia – sifermerà?

Non fatevi ingannare dall’attuale bassa volatilità introdotta artificialmente. Si tratta di un elemento che cambia le regole del gioco del mercato obbligazionario. Oggi i gestori sul reddito fisso consapevoli dei rischi devono essere flessibili e dotati di una gamma completa di strumenti per gestire i rischi legati alla maturity, al credito e all’inflazione. Gli investitori obbligazionari sprovvisti invece di questa capacità si espongono a possibili pericoli.

L’obiettivo degli istituti centrali è mantenere una politica espansiva fintantoché la crescita resterà molto debole, e questo induce a credere che dovrà trascorrere ancora del tempo prima che sia interrotto il flusso di liquidità e che i tassi d’interesse risalgano a livelli normali. Oggi, nel reddito fisso, la bilancia tra rischi e rendimenti pende dalla parte del rischio. Gli investitori dovrebbero quindi concentrarsi meno sulla possibile tempistica, ma più su quello che accadrà quando i tassi saliranno, sicuramente prima dell’inevitabile fuga dal mercato obbligazionario che si innescherà quando le autorità monetarie cominceranno a mutare il loro orientamento.

L’asimmetria del profilo di rischio/rendimento, che deriva dalla possibilità di errori di politica monetaria in un quadro di bassa crescita e di indici sul debito elevati e in aumento nelle economie avanzate, sta a significare che il tradizionale approccio obbligazionario long-only esporrà gli investitori a forti perdite quando verranno menole ingenti iniezioni di liquidità delle banche centrali. Un approccio Total Rate of Return (TRR) può invece trarre vantaggio dai rally garantendo, al tempo stesso, che all’aumentare dei tassi il portafoglio continui a offrire un rendimento positivo.

Potrebbe significare un’esposizione a obbligazioni quinquennali con fondamentali solidi, dove il rischio di una scadenza più breve è coperto da swap; oppure essere esposti alla domanda crescente di obbligazioni societarie a maggiore rendimento ma con rating più bassi; o ancora, disporre di un’ampia copertura contro il carovita creando obbligazioni sintetiche indicizzate all’inflazione laddove non siano disponibili, come ad esempio nei Paesi Bassi. È possibile utilizzare tali tecniche, così come i future su tassi d’interesse, i titoli a tasso variabile o i credit default swap, per modificare la sensibilità di un portafoglio ai tassi e al credito, generando un rendimento positivo decorrelato dal ciclo d’investimento sottostante.

Prima o poi le banche centrali metteranno un freno agli stimoli forniti tramite politiche monetarie non convenzionali. Ma bisogna considerare che a seguito di questa situazione gli istituti centrali si ritrovano con bilanci estremamente ampi e con quote enormi di debito pubblico. Non esistono precedenti storici relativamente alla reazione che avranno i mercati obbligazionari a fronte del ritiro delle politiche accomodanti, soprattutto considerato che in certi casi le banche centrali detengono la maggior parte delle obbligazioni in circolazione per alcune emissioni a più lunga scadenza.

Il rischio di un errore di politica monetaria è quindi molto più alto. Consideriamo quanto accadde nel Regno Unito all’inizio del 2013. Le voci riguardo alla possibilità che la Bank of England potesse adottare la crescita del il Pil nominale come obiettivo sono state interpretate come un passo avanti verso l’abbandono dell’attuale obiettivo di inflazione massima del 2%. I conseguenti cali dei prezzi dei titoli di Stato britannici e della sterlina nel breve periodo hanno sottolineato i rischi insiti in un’inadeguata comunicazione da parte delle banche centrali. La preoccupazione per una possibile impennata delle aspettative inflazionistiche non riguarda solo il Regno Unito.

Primi segnali d’inflazione emergono già negli Stati Uniti, dove i prezzi delle case stanno crescendo a un tasso annualizzato di oltre il 9%,il livello più alto dal 2006.E’ evidente che non vi sono prospettive favorevoli per i mercati obbligazionari. Così come gli eserciti tendono a essere perfettamente equipaggiati per combattere una guerra appena terminata, ma terribilmente impreparati a combattere quella successiva, allo stesso modo gli investitori obbligazionari hanno bisogno di adottare un approccio nuovo, meno tradizionale.

Un approccio, quindi, studiato per essere svincolato dalla configurazione della curva e dalla tempistica del ciclo dei tassi d’interesse, ma in grado di generare rendimenti superiori alla liquidità grazie alla capacità di assumere posizioni corte, nonché di concentrarsi sulle opportunità di valore relativo derivanti dalle inefficienze e anomalie di prezzo dei mercati.

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