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Npl e Utp, Bossi: “Calendar provisioning da cambiare in fretta”

Secondo l’Ad di Cherry 106, Giovanni Bossi, le nuove norme europee sui crediti difficili sono “inutili e dannose” e rischiano di stravolgere il modello di business delle banche: per questo vanno modificate al più presto o, per lo meno, rinviate subito

Il calendar provisioning in vigore è una norma sbagliata, non perché impone alle banche classificazione a deteriorato ma perché impone alle banche valutazioni su crediti Utp e Npl talmente penalizzanti da deformare il loro modello di business, costringendole – se vogliono continuare a erogare finanza all’economia reale – ad aumenti di capitale. 

In particolare, il calendar provisioning:

a) richiede alle banche di trattare nello stesso modo (cioè di considerare perdite progressive importanti) gli incagli (ora si chiamano Utp, unlikely to pay) e le sofferenze. Questo è concettualmente sbagliato e deriva dalla diffidenza del legislatore che ipotizza che le banche preferirebbero tenere i crediti ad incaglio anziché a sofferenza, per accantonare meno. C’è una presunzione di malafede in questo che si scontra con la capacità del regolatore di vedere nel dettaglio ciò che banche fanno con sistematicità. Insomma, è inutile e dannoso partire dalla cultura del sospetto se hai tutti gli elementi per valutare. 

b) richiede alle banche di azzerare i crediti deteriorati dopo un periodo (3 anni per i non garantiti, da 7 a 9 anni per i garantiti) quando sappiamo che i recuperi sono certamente più elevati dello zero che richiede il calendar provisioning. Azzerare automaticamente incagli e sofferenze è un errore valutativo e gestionale gravissimo. Di nuovo, questo spinge le banche a vendere i crediti con perdite maggiori di quelle che registrerebbero se gestissero il credito deteriorato. Ciò cambia il modello di business perché le banche tendono a non dare più finanziamenti a chi è più debole (ovvero a chi ne ha più bisogno), temendo il deterioramento e quindi di dover cedere la posizione con perdite ingenti. 

Insomma, il calendar provisioning modifica i modelli di business delle banche inducendole a non erogare credito ai più deboli. Ma siamo sicuri che è ciò che politicamente ci pare più sensato? Questo era un grande interrogativo pre-Covid (secondo me un errore). Con la pandemia, il regolatore con una mano agevola le banche perché non assumano atteggiamenti “prociclici” – cioè stringano di più le maglie ora che l’economia reale ha più bisogno – e con l’altra lascia correre il calendar provisioning, che va nella direzione diametralmente opposta. Serve trovare il consenso per cambiare questa normativa che era sbagliata prima e lo è mille volte di più in tempi di Covid.

Ma bisogna fare in fretta. Quantomeno, il calendar provisioning dovrebbe essere posticipato e nel frattempo rivisto. Sia nelle definizioni di sofferenze e Utp, sia nelle valutazioni del valore di questi crediti. E convocando al tavolo di discussione regolatore, banche ma anche imprese.

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