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New York Times nel panico: abbandonato dalla social media editor non sa come sostituirla

GIORNALISMO WEB – Liz Heron passa al Wall Street Journal portandosi dietro 320mila sottoscrittori alla sua pagina Facebook e il New York Times non sa più come rimpiazzarla, perchè tra i suoi redattori non se n’è trovato uno solo adatto al nuovo compito: anche questa è una svolta

New York Times nel panico: abbandonato dalla social media editor non sa come sostituirla

Liz Heron, responsabile dei social media al “New York Times”, ha dato le dimissioni ed è passata al “Wall Street Journal”. Cose del genere accadono spesso, e non ci sarebbero ragioni per occuparsene troppo. Ma il fatto è che il “New York Times” sta facendo fatica a trovare al proprio interno, tra 1000 giornalisti in organico, un sostituto. Lo sta cercando dunque all’esterno, tra migliaia di brillanti giovani che sanno tutto di Twitter e Facebook, ma non sono giornalisti.

Nel suo piccolo, anche questa è una svolta. Tra i redattori del “Times” che sembravano adatti al ruolo non se ne è trovato uno che lo accettasse: un po’ perché la qualifica di Social Media Editor non fa ancora abbastanza bella figura sul biglietto da visita, ma soprattutto perché nessuno ha voglia di passare ore a dare retta alle chiacchiere della gente quando c’è tanto lavoro serio da fare in redazione.

Liz Heron ha cercato per mesi di inculcare nei settori una nuova cultura, che tenesse conto delle enormi possibilità offerte a un giornale tradizionale da migliaia di persone disposte a raccontare storie (non sempre solo la loro) e a testimoniare avvenimenti. Ma ha avuto poco successo e ha deciso di andare dove a queste cose credono di più: il “Wall Street Journal” di Rupert Murdoch ha una sezione di Social Media più numerosa e sta pensando di incrementare ulteriormente gli organici. Nel mondo della carta stampata, quando un giornalista davvero bravo lascia un giornale per un altro, si porta sempre dietro una manciata di lettori.

Nel mondo dei social network le cose vanno diversamente: Heron ha un 320 mila sottoscrittori alla sua pagina Facebook, che ora la seguiranno al “Wall Street Journal”, con risvolti interessanti per chi studia le trasmigrazioni dei lettori nell’era di Internet.

Il mondo cambia e anche i giornalisti del “New York Times” fanno fatica ad accorgersene. Sognano ancora di essere mandati come inviati magari in Africa e non badano al fatto che, nel tempo che ci hanno messo a preparare la valigia, il video dell’associazione di volontariato Invisible Children sull’esercito di bambini del signore della guerra ugandese Joseph Kony è stato visto da 90 milioni di persone su Youtube, scatenando un’ondata di indignazione globale che nessun giornale sarebbe riuscito da solo a provocare. D’accordo, non è la stessa cosa e non bisogna credere a tutto quello che si vede o si legge online. Ma da un settore di Social Media bene organizzato, guidato da persone motivate e in perenne contatto con la redazione non può venire che del bene per il futuro dei giornali.

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