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Nba, Lin adesso è un caso politico: la Cina censura le sue prodezze

Non solo le vittorie con i suoi New York Knicks, il record di maglie vendute e l’entusiasmo dei tifosi di tutto il mondo: Jeremy Lin, astro nascente dell’Nba, tratti asiatici ma statunitense di nascita, ora è anche un caso politico – In Cina non tollerano le sue origini taiwanesi, la fede cristiana e l’affronto a Yao Ming, vero simbolo del regime di Pechino.

Nba, Lin adesso è un caso politico: la Cina censura le sue prodezze

Il web, la stampa e i tifosi: tutti pazzi per Jeremy Lin, l’astro nascente del basket Nba con la maglia numero 17 dei New York Knicks. Pazzi per le sue giocate, per la sua storia (tipica favola all’americana del talento che supera le avversità esplodendo appena gli viene data una chance), e per le sue origini: è il primo giocatore di origine cinese – taiwanese, per la precisione – ma di passaporto statunitense doc (nato in California) a calcare i parquet del campionato di pallacanestro più importante del mondo.

Tutto questo per ora accadeva solo da New York a San Francisco. Ovvero negli Stati Uniti, dove il ragazzo, figlio di un ingegnere di Silicon Valley, è nato, ha studiato (laurea ad Harvard) ed è cresciuto cestisticamente. Ma ora l’ondata di entusiasmo e curiosità ha raggiunto l’Europa e a macchia d’olio tutto il pianeta, affascinato da questo 23enne che in meno di una settimana ha sconvolto l’Nba. Già, ma dall’altra parte del mondo, nel luogo delle sue origini, che cosa ne pensano? Se l’è chiesto proprio il Financial Times, quotidiano finanziario inglese, non esattamente avvezzo a seguire vicende sportive d’Oltre-oceano. “In Cina la pagina Twitter di Lin ha superato il milione di fan, ma i media locali stentano ancora a celebrarlo. Il problema non è solo la loro proverbiale lentezza, ma il background taiwanese del ragazzo e la sua fede cristiana”.

Ed ecco qui che il caso, oltre che sportivo e – soprattutto – mediatico e commerciale, diventa anche politico. Già, perchè nella Cina comunista, legata ai valori del confucianesimo, del taoismo e del buddismo, e che soprattutto non riconosce lo Stato di Taiwan (definito impropriamente Repubblica di Cina per distinguerlo dalla Repubblica Popolare cinese), Jeremy Lin non riesce proprio ad essere considerato come il figliol prodigo che conquista gli Usa ed esporta il basket made in China. E anzi, scatta la censura.

Mercoledì mattina – scrive ancora il Financial Times – il canale sportivo dell’emittente nazionale China Central Television (CCTV) proponeva la differita della Champions League di calcio anzichè dare spazio all’ennesima superba prestazione (in diretta in quella fascia oraria) di “Yellow mamba” Lin, autore di 27 punti e della tripla decisiva nella vittoria dei Knicks su Sacramento.

Di lì è scattata la protesta di milioni di appassionati su vari forum e social network: perchè mai questa oscurazione? Forse perchè compaiono le bandiere di Taiwan sventolate dai suoi fans? Sicuramente c’è del vero, il governo di Pechino ha un rigetto per quella bandiera, che considera simbolo di secessione e ulteriore motivo di tensione proprio con gli Stati Uniti, da quando il Congresso americano si è formalmente impegnato a difendere l’isola (detta anche Formosa) in caso di attacco militare cinese. In questo caso, però, c’è anche dell’altro, come sottolinea lo stesso Ft nel ricordare che il mese scorso la stessa CCTV non ha censurato le elezioni taiwanesi, facendone apparire regolarmente in televisione la contestata bandiera.

In questo caso, c’è di più. Su Jeremy Lin c’è l’ombra lunga (lunghissima: 35 cm di differenza tra i due) dell’ex star dell’Nba – cinese doc, lui – Yao Ming, ritiratosi due anni fa dall’attività agonistica. La sua immagine leggendaria, lui che era il perfetto prodotto del made in China e della propaganda del regime, sta per essere troppo presto soppiantata da questo ragazzino che di cinese ha ben poco, se non le origini. Tra i due c’è anche un conto in sospeso, visto che Yao Ming, oltre che essere a capo di un organismo governativo di consulenza a Shanghai, è anche il propritetario della squadra di basket locale, e aveva invitato Lin a giocare nella sua franchigia prima dell’esplosione a New York. Il rifiuto (sacrosanto, visti i risultati) fu considerato un affronto: lesa maestà.

E poi, la questione religiosa, che proprio non riesce ad andare giù a Pechino, rinchiusa nel suo comunismo ateo e che riconosce solo alcuni culti. Il ragazzo, poi, ci mette anche del suo: ad ogni fine partita nelle interviste dichiara platealmente il suo amore per Dio, ringraziandolo per ciò che gli sta dando. Decisamente troppo. Ed eccola, di nuovo, la censura. Anche questa volta scovata dal Financial Times, che racconta: “Un giovane newyorchese, intervistato in tv su Lin, ha così risposto davanti alle telecamere: ‘Mi piace molto perchè loda sempre la sua squadra e Dio”. La traduzione dei sottotitoli alla tv cinese: “Mi piace molto perchè loda sempre la squadra”. Sparito Dio.

E a Taiwan, invece? Almeno lì, la Lin-mania è esplosa senza remore. I media dell’isola lo definiscono già “Orgoglio di Taiwan”, riconoscimento in precedenza attribuito soltanto al campione di baseball Wang Chien-ming e a Yanni Tseng, la golfista più forte del mondo.

Una cosa intanto è certa. Jeremy Lin è il caso più fulmineo di passaggio dall’anonimato alla celebrità: nel giro di una settimana è passato da perfetto sconosciuto a sportivo più chiacchierato del mondo.

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