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Messori (Luiss): “Banche, cambiare il business model per superare le debolezze”

INTERVISTA A MARCELLO MESSORI, Direttore dalla Luiss School of European Political Economy – “Le autorità istituzionali dovrebbero agevolare la trasformazione del business model delle banche, con l’occhio alla dimensione e alla governance, per sostenere meglio e di più le economie del Vecchio continente”

Messori (Luiss): “Banche, cambiare il business model per superare le debolezze”

L’ economia italiana non ha ancora recuperato i livelli di reddito di prima della crisi del 2008. È un caso unico tra i Paesi europei, che pure si sono mossi nel complesso in maniera meno brillante rispetto agli Stati Uniti. È probabile che la minore dinamica delle economie europee dipenda anche dal meno rapido processo di risanamento del sistema bancario che, specie in Italia ed in Germania, soffre ancora per i postumi della grande crisi di dieci anni fa. Non sarebbe certo una cattiva idea se le autorità di Bruxelles ed i vari governi, mettendo al bando la demagogia dei populisti che vedono il diavolo dentro le banche, riuscissero a formulare un progetto coordinato per rilanciare il comparto bancario ed il mercato finanziario, dare sicurezza ai risparmiatori e finanziare più agevolmente le imprese.  

Sullo stato di salute del sistema bancario italiano ed europeo e sulle politiche necessarie ad un suo ulteriore rafforzamento FIRSTonline ha intervistato l’economista Marcello Messori, Direttore della Luiss School of European Political Economy, che oltre ad essere un profondo conoscitore del settore creditizio è anche un esperto dei problemi europei, cosa fondamentale dato che molte questioni fanno riferimento oggi a normative europee così come la vigilanza sulle banche maggiori è devoluta alle autorità monetarie comunitarie.

Il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nella sua relazione all’assemblea della Banca il 31 maggio ha detto che il periodo più acuto della crisi delle banche è stato superato, ma che permangono ancora notevoli problemi specie per le banche minori, le popolari e le cooperative, che rendono il sistema ancora abbastanza fragile. Che cosa ne pensa?

“In effetti con la seconda crisi recessiva che l’Italia ha subito nel 2012-2013, sono emersi i gravi problemi di debolezza del nostro sistema. Fino ad allora non si erano visti dato che la crisi americana originata dalla finanza strutturata, aveva avuto un impatto modesto sulle nostre aziende di credito ancorate alle modalità più tradizionali di fare banca. Si tratta di quattro elementi: 1) l’ammontare dei crediti in sofferenza; 2) la composizione dell’attivo cioè degli impieghi indirizzati prevalentemente verso aziende medio piccole e verso i titoli di Stato; 3) il venir meno di una fonte di raccolta importante quali le obbligazioni bancarie; 4) l’emergere di un problema di bassa redditività che rende difficili le ricapitalizzazioni dato che ancora oggi il costo del capitale è superiore alla redditività.

In sostanza è emerso che le banche italiane, specie quelle medie che operano su base territoriale ristretta, avevano fatto troppo credito e per di più allocato male. Naturalmente la gravità della recessione italiana, ben più profonda di quella di quasi tutti gli altri paesi europei, ha fatto emergere con forza questi problemi”.

Diverse di queste debolezze sono state avviate a soluzione eppure il sistema appare ancora fragile. Al di là degli specifici casi di crisi ancora aperte, un po’ tutto il sistema sembra malfermo sulle gambe tanto che la capitalizzazione di borsa delle banche quotate è quasi sempre molto al di sotto del valore del patrimonio netto.

“Dalla soluzione della crisi delle banche venete nel 2017 è iniziata una nuova stagione. Sono stati fatti progressi importanti per lo smaltimento degli NPL, che ora sono scesi ai livelli vicini a quelli previsti dalla Vigilanza; sono state fatte importanti ristrutturazioni e riduzioni di costi; rimane invece una forte incidenza degli impieghi in titoli di Stato che vengono acquistati dalle banche sia per il loro alto rendimento, sia perché altri impieghi appaiono ancora troppo rischiosi. Di conseguenza il rialzo dello spread ha provocato riduzione del valore dei titoli in portafoglio. E questo spiega in parte la volatilità delle quotazioni di Borsa dei titoli bancari. C’è poi la questione della raccolta attraverso le obbligazioni che peraltro sono state vendute soprattutto ai risparmiatori, e che ora sono diventate assai più rischiose perché sottoposte al bail in. Tra la fine di quest’anno ed il 2020 verranno a scadenza circa 70 miliardi di obbligazioni, per cui le banche dovranno provvedere al rinnovo o a sostituirle con altre forme di raccolta. È chiaro quindi che aumenterà il costo della loro raccolta”. 

Ma come accelerare l’opera di risanamento, e cosa manca per ridare al settore bancario la capacità di essere un motore propulsivo per l’intero sistema? 

“Effettivamente la carenza maggiore mi pare quella dell’attuale governance, cioè dell’assetto di gestione che non consente in molti casi, un radicale cambio di strategia e di organizzazione in modo da completare il risanamento e tornare a livelli di redditività che consentano al settore bancario di attirare capitali, se necessario, e di sostenere meglio l’economia. Oggi la banca guadagna poco nella sua tradizionale attività di concedere prestiti. Guadagna poco nel risparmio gestito che ormai diventa una fabbrica che ha bisogno di grossi volumi. Non rimane che espandere il settore dei servizi per rilanciare il mercato dei capitali che certo, in prospettiva, può essere un concorrente della banca tradizionale, ma che per molti anni a venire potrà essere una fonte di profitto”.

Anche nel resto dell’Europa le banche hanno problemi simili a quelli italiani? 

“Negli Usa la crisi bancaria è stata risolta con rapidità promuovendo fusioni tra banche d’investimento e banche commerciali in modo da bilanciare i rischi ed avere una ampia base di possibili guadagni. In Europa in generale, le scorie della crisi sono state smaltite con minore rapidità e soprattutto è rimasta la distinzione tra banche d’investimento e banche commerciali, mentre manca, a differenza degli USA, un vasto ed articolato mercato finanziario che serve a ridurre e gestire meglio i rischi. La Francia è l’unico paese che ha un mercato finanziario più articolato e banche grandi che fanno vari mestieri mantenendo così un certo livello di redditività. La Germania ha un sistema fragile: Deutsche Bank è una banca d’investimento che ancora non ha smaltito i titoli tossici che aveva in pancia, mentre a livello locale ci sono banche i crisi per aver fatto prestiti ad imprese che poi sono andate male”.

Il Governatore Visco ha indicato alcuni problemi cruciali che riguardano sia l’Europa sia la necessaria riorganizzazione interna del nostro sistema. In particolare, ha espresso la sua contrarietà a misure coercitive per ridurre il volume dei titoli di Stato posseduti dalle banche, ha sostenuto che le regole di risoluzione delle crisi valgono solo per le grandi e che per le piccole è necessario ampliare la possibilità di usare i fondi di tutela dei depositi per affrontare eventuali crisi, ed infine che le norme sugli aiuti di Stato devono seguire un criterio di proporzionalità. Qual è il suo parere?

“Certamente è giusto affermare che la riduzione dei rischi deve procedere di pari passo con la condivisione dei rischi e non venire prima come vorrebbero alcuni esperti  e molti politici dei paesi del Nord Europa. Per questo sarebbe importante se l’ESM potesse emettere titoli risk free da scambiare con i titoli sovrani in portafoglio delle banche nazionali. Non si tratterebbe di condivisione del rischio ma di uno strumento tecnico capace di diversificare il portafoglio delle banche senza creare turbolenze come invece si creerebbero con misure coercitive per arrivare ad una rapida riduzione del volume dei titoli di Stato posseduti fa banche e assicurazioni. Così come per le banche minori occorrerebbe usare i fondi di assicurazione dei depositi, ma in un quadro di armonizzazione delle normative di gestione dei fallimenti in tutti i paesi evitando difformità stridenti. Anche per gli aiuti di Stato mi limito ad osservare che nella maggior parte dei casi essi sono già consentiti quando si è disposti a dichiarare che la crisi di alcune banche potrebbe portare a crisi sistemiche. In Italia poi dobbiamo proseguire con la messa in sicurezza delle popolari e con la sistemazione di alcuni residui focolai di crisi tipo Carige. Per Mps, nonostante il buon lavoro finora fatto, occorre individuare una strategia che faccia uscire la banca dal suo tradizionale ambito territoriale ormai troppo ristretto. E del resto il Tesoro dovrebbe uscire dall’azionariato tra non molto”.

Questi mi sembrano dei buoni suggerimenti per aiutare il nostro governo a formulare proposte concrete con le quali andare in Europa a trattare per arrivare ad un vero avanzamento della UE in campo finanziario, essenziale per qualsiasi altro progresso si voglia impostare sulla politica fiscale e sul funzionamento del mercato unico. Bisogna smetterla di usare le banche come capro espiatorio di colpe che risiedono altrove e che i populisti non vogliono vedere. Altro che Commissione parlamentare d’inchiesta. Bisogna fare una politica, proprio nell’interesse generale del Paese, capace di rafforzare le aziende di credito. Non crede?

“Sicuramente le autorità si devono porre il problema di agevolare la trasformazione del business model del sistema bancario italiano, ma anche europeo, puntando là dove necessario sulla crescita della dimensione delle aziende di credito ed in generale sulla modifica della governance che è indispensabile per ridisegnare il futuro del sistema bancario e con esso delle economie del Vecchio Continente”. 

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