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Mercati emergenti 2014: un entry point inframmezzato da preoccupazioni elettorali?

Il 2014 è tra le annate elettorali più affollate per i mercati emergenti – Si avviano alle urne gli elettori di oltre 40 Paesi che rappresentano il 20% della produzione mondiale globale.

Mercati emergenti 2014: un entry point inframmezzato da preoccupazioni elettorali?

Elezioni e direzioni
Spesso è la politica pubblica a definire le potenzialità economiche e di investimento di un mercato emergente. Prendiamo il caso della penisola coreana – una sessantina di anni fa, un unico paese è stato diviso in due. Il Nord ha adottato un sistema politico ed economico di impronta strettamente comunista, mentre il Sud ha scelto un modello all’insegna dell’educareesportare- integrare. Due generazioni più tardi, il Sud ha una ricchezza pro-capite quasi 17 volte superiore rispetto al Nord e il cittadino medio sudcoreano vive ben 10 anni in più della sua controparte del Nord. Inoltre, la Corea del Sud vanta la percentuale più elevata al mondo di laureati.

Gli indirizzi politici discendono direttamente dal contesto politico, e il 2014 è tra le annate elettorali più affollate per i mercati emergenti: si avviano alle urne gli elettori di oltre 40 paesi che rappresentano il 20% della produzione mondiale globale. Tra i mercati chiave su cui puntare l’attenzione rientrano Turchia (marzo), Sudafrica (aprile-luglio), India (maggio), Indonesia (luglio) e Brasile (ottobre). In totale, questi paesi rappresentano circa il 40% degli indici obbligazionari dei mercati emergenti e oltre il 25% degli indici azionari.

Ciò che rende importanti queste elezioni è che nella generale indolenza dell’economia globale possiamo intravedere cambiamenti politici potenzialmente forieri di indizi circa le tendenze future. Rispetto a una decina di anni fa, attualmente sulla maggior parte dei paesi imperversano venti contrari in campo economico: il Pil è sceso, in generale, di circa il 40% dai picchi raggiunti prima del 2008. A fronte dell’aumento dei tassi di interesse statunitensi – attualmente superiori di circa 80-100 pb rispetto a minimi – l’ambiente esterno sta diventando meno favorevole e gli investitori esteri hanno preso le distanze dai mercati emergenti. Di fatto, gli spread del credito sovrano e corporate sono aumentati di circa 100 pb rispetto ai minimi post-crisi. Sul fronte azionario, il sentiment di molti investitori istituzionali sulle azioni dei mercati emergenti ha cambiato rapidamente direzione. Durante lo scorso anno gli afflussi verso i mercati azionari emergenti hanno registrato un’inversione di rotta: i sondaggi tra gli investitori condotti da Bank of America Merrill Lynch rivelano che la tendenza decennale (2003-2012) a favore di posizioni sovrappesate negli azionari dei mercati emergenti si è bruscamente interrotta nel 2013.

I politici di questi paesi si trovano tra l’incudine e il martello: da un lato, gli investitori esteri (che il più delle volte dettano il ritmo dei rendimenti dei mercati emergenti) chiedono riforme spesso inadeguate per contenere l’inflazione e stimolare la crescita, mentre dall’altro le nascenti classi medie locali premono per ottenere servizi pubblici più numerosi e di migliore qualità. Pressioni locali, queste, che sono esacerbate dalle mega-forze provenienti dalle due principali economie mondiali, Stati Uniti e Cina. L’impazienza cresce, dato che i fattori esterni – principalmente il rallentamento della crescita cinese e il tapering della Federal Reserve statunitense – hanno indotto molti investitori a notare le fragilità strutturali di alcuni paesi che non hanno saputo attuare riforme significative negli anni buoni prima del 2008.

Molto rumore per nulla?
È interessante notare che per il 2014 la maggior parte degli analisti ritiene che circa due terzi dei politici attualmente al potere vinceranno le principali sfide elettorali nei mercati emergenti. Tuttavia, molti dei rieletti avranno un secondo mandato più debole, segnato dai venti contrari che soffiano sull’economia. Passino le promesse di crescita in campagna elettorale, ma i vincitori potrebbero trovarsi a disporre di risorse fiscali limitate per rispondere alle richieste degli investitori locali ed esteri – il che rende molto difficile attuare le grandi riforme. Inoltre, nonostante i recenti episodi di sell-off e le tensioni politiche affiorate nel 2014, nessuno dei principali mercati emergenti è prossimo alle crisi di solvibilità osservate a metà degli anni 90. Pertanto è possibile che molti politici non avvertano l’urgenza di attuare riforme in tempi rapidi, e gli investitori potrebbero quindi non assistere a una significativa virata degli indirizzi politici.

Mercati Emergenti: è il momento di comprare?
Nel frattempo, alle valutazioni attuali gli asset dei mercati emergenti risultano interessanti. Sul fronte del credito e delle valute, questi mercati sembrano offrire più rendimento a fronte di un credito migliore rispetto a quello statunitense, che appare relativamente costoso a metà marzo.

JP Morgan segnala che le obbligazioni BB dei mercati emergenti di fatto pagano più degli industriali Usa con rating singola B, mentre le obbligazioni investment grade dei mercati emergenti attualmente pagano circa il doppio rispetto a quanto si guadagnerebbe investendo in obbligazioni industriali statunitensi con rating analogo – circa 260 pb sopra i Treasury Usa contro 130 pb.

Sul fronte azionario, i titoli dei mercati emergenti attualmente passano di mano con uno sconto sul P/E che non si vedeva dal 2004-2005: mentre negli Stati Uniti e in Europa il P/E del mercato è prossimo a 16, i mercati emergenti sono scesi a circa 10, ovvero meno dei 2/3.

Al di là dei titoli in prima pagina
Finora il 2014 ha portato solo notizie negative per i mercati emergenti: il rallentamento improvviso della crescita cinese, il diffondersi delle proteste in Egitto, Turchia, Tailandia e la crisi in Ucraina/Crimea. Il calendario elettorale non fa che rafforzare questo clima, con il risultato che gli investitori faticano a distinguere il segnale dal rumore. Ma si tenga presente che i fondamentali di questi mercati sono molti diversi rispetto a dieci o vent’anni fa. Con un tasso di inflazione relativamente basso, una forza lavoro più produttiva, 8 trilioni di dollari di riserve di valuta forte e tassi di crescita tuttora più elevati di Stati Uniti ed Europa, la maggior parte dei mercati emergenti si trova in una posizione migliore, rispetto al passato, per far fronte al contesto economico stagnante. Gli investitori che accumulano asset rischiosi, quali i titoli dei mercati emergenti, nei periodi in cui risultano sfavoriti spesso sono ben ripagati nel corso del tempo quando il sentiment cede il passo a fondamentali e valutazioni. Quest’anno può essere dunque un anno interessante per incrementare gli investimenti in questi attivi.

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