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Matteo Renzi, tutte le ragioni di una sconfitta

Matteo Renzi ha perso il referendum perchè ha fatto tanti errori tattici, non ha saputo tessere le alleanze e ha rivelato difetti imperdonabili come quello di non saper ascoltare e di avere una squadra mediocre, ma l’Italia ha ancora bisogno di un leader che cerchi di fare le riforme per modernizzare il Paese: non si può buttare il bambino con l’acqua sporca

Matteo Renzi, tutte le ragioni di una sconfitta

Due anni fa Corrado Augias, giornalista raffinato e uomo di grande cultura, scrisse un libro bellissimo che avrebbe meritato di diventare un bestseller. Si intitola “Il disagio della libertà. Perché agli italiani piace avere un padrone”, è edito da Rizzoli e racconta, con dovizia di particolari, perché la storia e le lunghe dominazioni straniere hanno fatto del servilismo uno dei tratti più diffusi del carattere degli italiani. L’opportunismo e il trasformismo sono le naturali appendici di questo modo di essere che non ama la libertà di pensiero e nemmeno un po’ di sano anticonformismo.

Tutti pronti a salire sul carro del vincitore e tutti pronti a voltargli le spalle alla prima sconfitta. I voltagabbana non sono solo un genere letterario di successo. Ci sono sempre stati e quel che sta succedendo dopo il referendum e dopo la clamorosa sconfitta di Matteo Renzi testimonia che il veloce e disinvolto cambio di casacca è sempre uno sport nazionale molto in voga: chi non si vergognava di lucidare le scarpe del premier e non ha mai avuto il coraggio di evidenziarne i difetti in mezzo a tanti pregi è già pronto a servire nuovi padroni e non stupisce che il carro di Beppe Grillo stia diventando tra i più affollati.

Matteo Renzi è e resta un fuoriclasse della politica come ce ne sono pochi in Italia e ha avuto il grande merito di smuovere a colpi di riforme la morta gora della vita pubblica, ma ha compiuto errori tattici imperdonabili e ha messo in mostra difetti su cui farà bene a meditare e che dovrà correggere in fretta se non vorrà che la sua stella tramonti prima del previsto.

La personalizzazione del referendum sulla riforma costituzionale ha certamente influito sull’esito del voto e Renzi poteva risparmiarsela, ma il suo più grande errore non è stato questo, bensì il credere che la strategia delle riforme fosse un pranzo di gala dimenticando che, sia sul piano sociale che politico, l’area progressista è sempre stata ed è minoranza nel Paese e può vincere – come è spesso successo nel passato – solo attraverso un’intelligente politica delle alleanze.

Intendiamoci: le riforme o colpiscono posizioni di rendita e privilegi contrari agli interessi generali o non sono riforme. Nella giusta consapevolezza che l’Italia dovesse recuperare un immenso ritardo per raggiungere un indispensabile modernizzazione, Renzi ha messo molta carne al fuoco nei suoi mille giorni di governo, ma si è dimenticato di costruire gli scudi sociali e politici necessari a mettere in sicurezza le sue riforme e ha finito per aggregare tutte insieme le opposizioni offese dagli interessi colpiti, anziché disarticolarle poco alla volta e contrastarle con la forza delle energie premiate dalle riforme. Destra ed estrema sinistra, magistratura e burocrazia, Cgil e Regioni del Sud: impossibile resistere a un fronte contrario così esteso senza la forza di nuove alleanze e senza ricordare che il dividendo delle riforme non arriva mai subito.

Emblematico è quanto è successo nella scuola: il governo Renzi ha prosciugato la piaga del precariato che durava da decenni e ha assunto in un solo colpo la bellezza di centomila insegnanti, ma con il paradossale risultato di trovarsi contro l’endemico autolesionismo e corporativismo del mondo della scuola, coltivato per anni dai Cobas, dal sindacalismo autonomo e da una Cgil-scuola da tempo allo sbando.

Renzi, come un po’ troppo superficialmente scrive Galli della Loggia, potrà anche risultare antipatico, ma le vere ragioni del suo insuccesso referendario sono più profonde della sua immagine e della sua comunicazione e si annidano in gran parte (anche se non solo) in una politica delle alleanze del tutto inadeguata, che lo stesso editorialista del Corriere annota ma non come elemento centrale.

Ma da dove arrivano questi vistosi errori tattici di Renzi che si erano manifestati ben prima del referendum? Dal lato debole della sua leadership e della sua cultura di governo. Renzi è un leader che non ascolta e non cerca consiglieri o ne ascolta di improvvisati, che sono magari ottimi professionisti ma non conoscono nemmeno l’abc della politica, come i vari Andrea Guerra e Davide Serra che si sono via via affacciati a Palazzo Chigi. Il caso di Franco Bassanini che doveva essere uno dei suoi più esperti advisor ma non è mai diventato tale è a dir poco clamoroso, ma che dire di Veronica De Romanis, brillante economista prima presentata come new entry dello staff economico di Palazzo Chigi e poi persa per strada?

Il risultato è stato quello di circondarsi di una squadra mediocre sia a Palazzo Chigi (dove, al di là di Luca Lotti, di Claudio De Vincenti e di Filippo Sensi, che si sono sempre fatti in quattro, c’è il vuoto assoluto) sia nel Governo, dove troppi ministri (dalla Guidi alla Madia, da Poletti alla Giannini e a Orlando) hanno chiaramente dimostrato di non essere all’altezza del loro compito. Se dallo schiaffo del referendum Renzi non imparerà ad ascoltare chi cerca di evitargli trappole ed errori e non imparerà a fare gioco di squadra, sprecherà le sue indubbie capacità e il suo astro tramonterà presto, per la gioia dei tanti conservatori di destra, di centro e di sinistra (ma questo forse è un ossimoro) che affollano il Parlamento e il Paese. E questo sarebbe un peccato.

Per affrontare le vere ragioni della protesta che monta in tutto il Paese come in tutto l’Occidente e che ha le sue radici nella scarsa crescita economica e nelle crescenti diseguaglianze generazionali ancor più che tra classi sociali, l’Italia ha ancora bisogno di tante riforme e ha ancora bisogno del dinamismo di un  leader che punta a rendere l’Italia più semplice e più giusta. Rispetto alla prima stagione del governo Renzi occorre certamente aggiustare tiro, ma non nel senso controriformatore di cui oggi parla chi le riforme non le ha mai volute e ha sempre trovato mille scuse per boicottarle. Renzi deve trovare il coraggio dell’umiltà e dell’autocritica e farà bene a vivere i prossimi appuntamenti politici con il respiro del leader nazionale anziché con ossessivo spirito di rivincita, ma buttare il bambino con l’acqua sporca sarebbe davvero imperdonabile. 

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