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Manovra, troppe critiche con la testa rivolta al passato

Analizzare criticamente la manovra di bilancio è sacrosanto ma molti economisti non tengono conto dei cambiamenti avvenuti e in atto. Le misure del governo puntano a sfruttare appieno le quattro condizioni favorevoli che si sono create.

Manovra, troppe critiche con la testa rivolta al passato

Si narra che i generali combattono la nuova guerra con le strategie di quella passata. Si può dire lo stesso di molti economisti che hanno criticato la bozza di manovra inviata dal Governo a Bruxelles; critiche fondate su modelli e schemi che andavano di moda qualche anno fa e che non considerano quei cambiamenti negli assetti sociali e politici che le profonde ferite della crisi economica hanno provocato.  

Forse è per questo, come scrivono in Good Economics for Hard Times i coniugi Abhijit Banerjee ed Esther Duflo (premi Nobel 2019, assieme a Michael Kremer, per gli studi sulla povertà), che gli economisti hanno scarsissima credibilità presso l’opinione pubblica. 

Scrivono che la manovra non è coraggiosa perché non fa abbastanza per la crescita. Eppure consolidare la fiducia dei mercati e i bassi tassi di interesse è di per sé il più grande aiuto alla crescita che in questo momento si possa dare. 

Ammoniscono che occorreva aumentare l’Iva per avere le risorse necessarie a fare tutto quanto serve al Paese per accrescere il suo potenziale. Può darsi; anzi, sulla carta è senz’altro vero. Perché le imprese e il sistema Italia tutto competono sulla qualità, sull’innovazione, sulla rapidità di risposta alla domanda e sulla capacità di soddisfare le esigenze dei clienti con soluzioni su misura; e ciò richiede persone preparate e motivate, servizi pubblici efficienti, alta qualità della vita, università all’avanguardia nella ricerca, e così via. 

Ma se il solo annuncio dell’aumento dell’Iva facesse affossare quel poco di fiducia che ancora c’è tra le famiglie italiane, innescare la marcia indietro ai consumi e scendere reddito e occupazione ben più dello 0,4% stimato dai modelli econometrici? Possiamo permetterci di correre questo rischio? E quanti poveri in più comporta uno 0,4% in meno di Pil? Nel rispondere a quest’ultima domanda teniamo per favore conto che nel 2018 i poveri erano oltre 5 milioni, +107% rispetto al 2007. Infine, quanti voti avrebbe portato l’incremento dell’Iva alla Lega di Salvini?  

Questo non significa che questa manovra, come ogni altra, non possa e non debba essere analizzata. Sulle grandi linee e sulle misure singole. Queste ultime vanno scandagliate sui loro effetti reali sui comportamenti di famiglie e imprese; senza banalizzazioni, visioni preconcette o, peggio, di parte o per partito preso. Però, per farlo è bene attendere l’articolato della Legge di bilancio. 

Sulle grandi linee si può affermare con certezza che la manovra è leggermente espansiva: lo dice la variazione rispetto al 2019 del saldo al netto degli interessi, tenuto conto del livello dell’attività economica. Ancora, si deve sottolineare che sfrutta appieno le quattro condizioni favorevoli che il «fattore c» (o, se si preferisce, lo stellone italico) ha servito su un piatto d’argento, come emerge dallo scenario previsivo di REF ricerche che sarà diffuso la prossima settimana. 

Prima di tutto la riduzione dei tassi, che farà risparmiare una somma crescente sulla spesa per interessi, fino ai 16-17 miliardi nel 2022 (e questo si deve anche al harakiri della Lega: un sentito grazie!). In secondo luogo i risparmi per 2,5 miliardi (ma potrebbero rivelarsi più alti) su reddito di cittadinanza e quota 100, provvidamente messi nel salvadanaio. In terzo luogo l’emersione con la fatturazione elettronica obbligatoria di extra-gettito Iva: 3,5 miliardi secondo le ultime stime, di cui 2 già contabilizzati; nel tempo, e con la dovuta azione coordinata di Agenzia delle entrate e Inps, da quei 3,5 miliardi potrebbero arrivarne altri 9 di imposte dirette e contributi sociali, essendo quella sull’Iva la madre di tutte le evasioni. Infine, la maggiore benevolenza dell’Europa nel valutare i conti pubblici italiani, adesso che tutti si accorgono della gravità della frenata in corso e della difficoltà della politica monetaria a fronteggiarla da sola. 

Ai benpensanti pare ancora poco? Per fare meglio e di più e generare aspettative che guidino i comportamenti nella direzione voluta occorre il consenso popolare attorno a un programma politico. Un consenso da conquistare con una narrazione credibile. Qui e ora non ci sono né narrazione, né programma, né consenso. Si naviga a vista. Altrimenti, che tempi difficili sarebbero? 

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