Condividi

Luiss: “Subito progetti concreti per il Paese, non litigi ideologici”

INCALZANTE REPORT DELLA SCHOOL OF EUROPEAN POLITICAL ECONOMY DELLA LUISS – Lo scontro politico rischia di avere sull’economia italiana effetti peggiori del Coronavirus malgrado l’Italia abbia già le risorse per fronteggiare la crisi sanitaria e per una graduale ripresa dell’attività produttiva – Ma servono progetti concreti e non inutili diatribe ideologiche

Luiss: “Subito progetti concreti per il Paese, non litigi ideologici”

I soldi non mancano, adesso bisogna agire, senza alibi. Secondo un report della “School of European political Economy” della Luiss, l’Italia non dovrebbe perdere un minuto per utilizzare le risorse finanziarie messe a disposizione dall’Unione europea per affrontare l’emergenza sanitaria in corso e per impostare il riavvio dell’attività economica. Ciò che rischia invece di frenare la ripresa e il rilancio del nostro Paese è il scontro politico tra Stato e Regioni, ma soprattutto tra Stato ed Europa.

È esattamente questa la tesi del paper “Le risorse per ripartire ci sono: subito progetti per il paese, anziché litigi ideologici”, firmato da nomi noti del panorama economico, come Carlo Bastanin, Lorenzo Bini Smaghi, Marcello Messori, Stefano Micossi, Pier Carlo Padoan, Franco Passacantando e Gianni Toniolo.

Inizialmente, la reazione degli italiani dinanzi l’emergenza Coronavirus è stata abbastanza coesa. Un rapporto quasi idilliaco che, però, è durato ben poco. Nelle ultime settimane il confronto politico si è acceso nuovamente, non solo all’interno del Paese, ma anche al di fuori dei confini nazionali.

In entrambi i casi, il dibattito ha assunto toni di contrapposizione talmente forti che una riconciliazione sembra difficile, andando a minare non solo l’unità del Paese ma anche i rapporti con le istituzioni europee.

Per capire la posizione e i risultati a cui i 7 economisti sono arrivati nel report, bisogna fare un passo indietro. Sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, il Governo italiano ha adottato una serie di interventi per contrastare i primi colpi subiti dall’economia a seguito della pandemia. Soprattutto per quanto riguarda il sistema sanitario e i redditi dei lavoratori dipendenti e autonomi.

Tuttavia, come sottolineato dal governo stesso, le prime misure si sono rivelate insufficienti soprattutto per i settori maggiormente colpiti dal virus, come turismo, trasporti e commercio. Per non parlare del mancato sfruttamento del Temporary framework europeo, rischiando di impedire alle imprese italiane di avvalersi di uno degli interventi europei più rilevanti per contrastare la crisi pandemica.

Si tratta dei rifinanziamenti bancari offerti dalla BCE fino a 3000 miliardi di euro entro giugno 2021, rafforzata dall’allentamento delle regole rispetto ai collaterali che la stessa accetta dalle banche per rifinanziarle.

Inoltre, la Commissione europea ha rimosso il vincolo di cofinanziamento nazionale per i Fondi di coesione, rinunciando anche a chiederne la restituzione e consentendo una certa flessibilità rispetto alla destinazione dei fondi strutturali ancora non utilizzati. Queste manovre consentirebbero al nostro Paese di attingere a circa 32 miliardi di euro.

Un secondo blocco di interventi – si legge nel paper – saranno sottoposte al Consiglio europeo il prossimo 23 aprile. La prima fonte di finanziamento è incentrata sul MES, alla sola condizione che le spese sostengano direttamente o indirettamente il sistema sanitario. La seconda invece è data dai fondi europei SURE destinati ai lavoratori in difficoltà, attraverso la concessione di prestiti a condizioni favorevoli. Infine, la terza fonte consiste nell’incremento del potenziale di prestito della Banca Europea di Investimento per attivare e rafforzare investimenti nazionali nei sistemi sanitari e nelle infrastrutture.

Grazie a questo secondo blocco di interventi, l’Italia potrebbe usufruire di finanziamenti europei pari a 80 miliardi di euro. Sommati ai precedenti, l’ammontare totale arriverebbe a superare i 110 miliardi di euro. Una somma che permetterebbe di coprire il maggior disavanzo pubblico stimato dal governo italiano. Tuttavia, “non sempre le decisioni politiche si traducono in risultati concreti”.

Come sappiamo, il Governo italiano è diviso sull’uso del MES, approvato nel 2011 con il consenso dei partiti che oggi sono all’opposizione, perché – sostengono erroneamente – imporrebbe “condizionalità draconiane”. 

“Tale motivazione – si legge nel testo dei 7 economisti – è smentita non solo dall’esperienza della Spagna che ha fatto ricordo al MES per uno scopo specifico, ma anche dalla disponibilità di nuove linee di credito precauzionali di cui anche altri Paesi potrebbero aver bisogno. Di fatto, la posizione italiana contraria al MES appare isolata, anche rispetto agli altri paesi del Sud Europa”.

Piuttosto, secondo gli economisti, il governo dovrebbe impegnarsi a chiedere l’allungamento delle scadenze (dai due anni previsti ai 30-40 anni ritenuti necessari).

Per quanto riguarda il tema Eurobond, la fonte europea di finanziamento irrinunciabile secondo il Governo, potrebbe non essere “la cura” miracolosa dell’economia italiana. In realtà i fondi ricavati dall’emissione di questi titoli “non possono essere utilizzati per finanziare il bilancio pubblico italiano”.

Il Governo dovrebbe invece concentrarsi a livello nazionale su altri aspetti: come i tempi di mobilizzazione delle risorse già potenzialmente disponibili, la loro destinazione per garantire la ripresa delle attività produttive e, infine, il disegno complessivo, ovvero come utilizzare queste risorse per orientare la ricostruzione economica italiana.

Con riferimento ai tempi nell’erogazione dei prestiti alle famiglie e imprese, bisogna snellire l’iter burocratico perché rischia di rallentare la concessione di tali garanzie. Ad esempio quelle erogate dalla SACE prevedono almeno 4 passaggi di verifica, mentre un protocollo per questi crediti elaborato dalle banche attraverso l’ABI avrebbe accelerato il processo operativo.

Bisogna poi, definire un’infrastruttura adeguata per consentire la ripartenza economica. Si tratta di una serie di interventi per contenere una possibile diffusione del virus: da un sistema in grado di identificare le persone contagiate alla modalità di riapertura in sicurezza delle attività produttive, fino ad un programma articolato di ripresa graduale delle altre attività per settori e aree geografiche che consenta di accelerare la ripartenza.

Per far sì che il sistema economico italiano sia in grado di uscire dall’attuale lockdown e una ripresa graduale delle attività in sicurezza, non basta che le risorse siano ingenti e accessibili nel breve termine. Devono esserci anche le condizioni per un effettivo ed efficace utilizzo delle stesse.

Ciò significa che la ripartenza dell’economia italiana deve avvenire strategicamente, puntare sulla trasformazione digitale e sugli investimenti ambientali, in modo che il nostro Paese recuperi terreno in termini di competitività internazionale. Il tutto cercando di evitare una seconda ondata di contagi. E per far questo è necessario un maggior dialogo tra le parti in gioco.

La storia dovrebbe insegnare e, invece, rischiamo che le polemiche ci facciano ricadere in un circolo vizioso: “instabilità economica-instabilità politica”, rendendo improbabile un recupero che, al contrario, è possibile.

Commenta