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L’Inpgi è sull’orlo del fallimento

Con un rapporto iscritti-pensionati falciato dalla crisi dell’editoria e uno squilibrio crescente tra contributi e prestazioni, il futuro dell’ente di previdenza dei giornalisti è segnato. Occorrono risparmi severi sui costi di gestione, tagli alle misure assistenziali e il recepimento in toto della riforma Fornero. Inevitabile un contributo di solidarietà. Ma cosa si aspetta ad agire?

L’Inpgi è sull’orlo del fallimento

L’ente previdenziale e di assistenza dei giornalisti italiani è sull’orlo del fallimento. Per la prima volta con grande chiarezza il rapporto della Corte dei Conti sul bilancio del 2015 e sull’evoluzione della situazione in questi primi mesi dell’anno, afferma senza mezzi termini che “il saldo previdenziale rimarrà presumibilmente negativo fino al 2045 mentre il patrimonio si azzererà già nel 2030. Quindi il giudizio dell’esperto attuariale indipendente è, nella vigente regolamentazione, di non solvibilità dell’Inpgi”.

L’analisi del bilancio dell’istituto condotta con accuratezza dalla Corte dei Conti è molto dettagliata e complessa. Tuttavia risulta evidente che c’è uno squilibrio di fondo e crescente tra i contributi incassati e le erogazioni per previdenza ed assistenza tanto che il saldo sale da un – 81,6 milioni del 2014 ad un meno 111,9 milioni dello scorso anno. Il numero di iscritti continua a calare (- 5% circa) attestandosi a poco più di 15300 giornalisti con un rapporto tra iscritti e pensionati che scende dall’1,97 all’1,77.

E pensare che dieci anni fa era di quasi un pensionato ogni tre attivi. L’ammontare delle riserve, rispetto alle pensioni in essere scende da 4,03 annualità a 3,93. Per coprire questo enorme buco dei conti l’Istituto cerca di aumentare la redditività del proprio patrimonio sia mobiliare che immobiliare. Tuttavia anche se dalle cifre lorde risulta un forte incremento della redditività degli investimenti mobiliari, cioè in titoli azionari e obbligazionari, depurando tale dato da plus e minus non esplicitate in bilancio il rendimento si colloca sull’1,70% mentre quello delle attività immobiliari è pari all’1,42%.

A mettere a posto i conti facendo chiudere il bilancio complessivo con un apparentemente rassicurante attivo di 21 milioni, è una plusvalenza di circa 90 milioni dovuta dal passaggio di numerosi immobili dal patrimonio diretto dell’Ente ad una società di gestione ad un prezzo ricavato da perizie superiore a quello di carico. Insomma una plusvalenza cartacea che data la crisi del settore immobiliare che non accenna a concludersi, speriamo corrisponda ai valori reali del mercato.

Per essere un po’ sintetici appare evidente che l’Inpgi soffre di una gestione corrente gravemente deficitaria e che questi deficit vengono coperti, come già avvenuto negli anni passati, facendo ricorso al patrimonio. Ma così facendo prima o poi, in assenza di una inversione di tendenza nella crisi che l’informazione sta attraversando, o in mancanza di drastiche misure di razionalizzazione delle prestazioni, in destino dell’Ente appare segnato.

I rimedi finora adottati non sembrano sufficienti ed inoltre sono stati approvati solo in parte all’inizio del 2016 dai ministeri vigilanti. Per esempio il contributo di solidarietà su tutte le pensioni in essere non è stato approvato. Quello che sembra assente è però una diffusa consapevolezza sia nella categoria dei giornalisti che soprattutto nei nuovi vertici appena eletti, della situazione di grave pericolo in cui si trova l’istituto e della necessità di agire in profondità se si vuole raddrizzare veramente i conti.

In primo luogo sono necessari risparmi severi su tutte le voci di costo di gestione dove figurano anche voci non ben chiare come i 2,41 milioni di contributi alle associazioni stampa, il costo degli organi (presidenza e Consiglio) e lo stesso personale. Anche se le cifre che in questo modo si potranno reperire non saranno certo sufficienti a coprire i fabbisogni, si tratta di un’opera preliminare per rendere credibili ed accettabili le misure da varare sulle prestazioni.

Bisognerà ridurre drasticamente le misure assistenziali, sia la Cassa integrazione che i contratti di solidarietà. Questi ultimi sono passati dai 2,1 milioni nel 2010 a ben 17,5 milioni nel 2015. Soprattutto bisognerà recepire in toto la riforma Fornero sia per l’età pensionabile, sia per il calcolo della pensione per coloro che ci andranno dai prossimi mesi. In questo caso, e solo in un quadro complessivo di riforme, sarebbe anche logico ripristinare un piccolo contributo di solidarietà per i pensionati già in essere, dato che appare equo chiedere sacrifici a tutti pur di tenere in piedi la baracca.

Quello che è certo è che non si potrà andare avanti a lungo con trucchi contabili o mangiandosi il patrimonio. La nuova presidente, Marina Macelloni, che venendo da Il Sole 24 Ore, dovrebbe avere famigliarità con i bilanci, cosa aspetta a fare chiarezza?

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