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Lingua italiana in movimento, ecco come sta cambiando: la pronuncia della “s” intervocalica

Il glottologo Daniele Vitali racconta come la lingua italiana cambia mentre noi parliamo: la pronuncia della “s” tra vocali sta sempre di più assumendo una cadenza settentrionale. E non è l’unico caso di cambiamento

Lingua italiana in movimento, ecco come sta cambiando: la pronuncia della “s” intervocalica

Il linguaggio cambia, e anche in fretta. Il glottologo Daniele Vitali discute alcuni aspetti che connotano l’evoluzione della lingua italiana che, come le altre lingue vive, è sempre in movimento spinta dalla forza cinetica dell’uso e del cambiamento. Il primo aspetto che Vitali riguarda la classica incertezza dell’italiano su come pronunciare “s” intervocalica che si sta risolvendo a favore della pronuncia settentrionale.

La lingua cambia sotto i nostri occhi

Mentre noi parliamo, l’italiano si modifica. La pronuncia della “s” tra vocali, ad esempio, è cambiata e sta cambiando nel corso della nostra vita. Non tempi biblici, dunque, ma un continuo mutamento dovuto a diversi fattori, tra cui il prestigio percepito di una pronuncia rispetto a un’altra.

La lingua si evolve, e qui prima era tutta campagna

“La lingua si evolve” è una frase ricorrente nelle conversazioni su lingue e dialetti, ma non tutti sono in grado di fornire esempi concreti di questa indubbia verità. Tuttalpiù, qualcuno citerà il continuo ingresso di anglicismi in italiano, argomento che abbiamo già trattato ampiamente.

Cerchiamo allora di fare qualche esempio diverso, che possa risultare interessante e, soprattutto, che aiuti a chiarire secondo quali regole generali si evolve il linguaggio.

Il doppio suono della s

Cominciamo da una questione fonetica, ossia la pronuncia di s intervocalica. È noto che alla lettera s corrispondono in italiano due suoni diversi, vale a dire la s di “stanco” e la s di “sbarco”. 

La prima, indicata dall’Alfabeto Fonetico Internazionale con /s/, è un suono “sordo”, cioè si produce senza vibrazione delle corde vocali. La seconda, indicata con /z/, non è ovviamente una zeta, ma il corrispondente “sonoro” di /s/, ossia la lingua si mette nello stesso punto della bocca, solo che stavolta c’è vibrazione delle corde vocali: /s’tanko/ vs /z’barko/.

Nei due esempi dati, la distribuzione è automatica: in “stanco” si ha /s/ sorda perché /t/ è sorda, in “sbarco” si ha /z/ sonora perché /b/ è sonora.

Tra vocali però ci può essere l’una o l’altra, con anche qualche rara “coppia minima”, ossia coppie di parole che si distinguono solo per la scelta dell’uno o dell’altro di questi due suoni. 

Abbiamo così “fuso” che significa “strumento per filare” se pronunciato /’fuso/, ma è il participio passato di “fondere” se pronunciato /’fuzo/. Ancora, “cosetta” /ko’setta/ è una cosa da nulla, mentre “Cosetta” /ko’zetta/ è un nome femminile di vago sapore retrò. 

Suoni diversi

I suoni [s] e [z], essendo in opposizione di significato, rappresentano insomma due fonemi diversi.

Tutto ciò in una dizione italiana classica improntata alla vecchia pronuncia toscana, dove la scelta di /s/ o di /z/ in posizione intervocalica dipende dalla singola parola: abbiamo così “casa, mese, naso” /’kasa, ‘mese, ‘naso/ ma “caso, rosa, vaso” /’kazo, ‘rɔza, ‘vazo/.

Come la Toscana si comporta qualche pezzo attiguo di Italia Centrale, mentre il resto del paese si è sempre regolato secondo la classica opposizione Nord-Sud: al Nord tutte le s intervocaliche sono sonore, per cui /’kaza, ‘rɔza/; al Sud invece sono tutte sorde, per cui /’kasa, ‘rɔsa/.

Ma come e ma perché

“Ma come”, obietteranno alcuni, “io sono del Nord eppure dico ‘affittasi, disegno, dinosauro’ con /s/”. Altri invece obietteranno: “Io sono del Sud ma dico ‘casa, rosa” con /z/”. Certo, perché la lingua si evolve!

Chiariamo meglio. Anche al Nord, i casi di composizione sentita ancora come tale manterrebbero la /s/ sorda, che è quella normale in inizio di parola davanti a vocale. In pratica, “affittasi” con /s/ perché viene da “si affitta”. Allo stesso modo, “risoluzione, risentimento” con /s/ perché da “soluzione, sentimento”.

La composizione però non è chiara a tutti, anzi quasi a nessuno, ed è più una questione di “come lo si è sentito la prima volta”: da settentrionale, io dico “risentimento” con /s/ ma “presentimento” con /z/ perché, da bambino, ho imparato così.

Sempre da bambino, mi ero accorto che, ove pronunciavo “disegno, dinosauro” con /z/, altri bolognesi pronunciavano quelle stesse parole con /s/. Tutti dicevamo comunque “affittasi” con /s/, anche se da adulto ho sentito con sorpresa altri italiani che lo dicono con /z/.

Col tempo, poi, /z/ in posizione intervocalica ha guadagnato terreno dappertutto: al Nord riducendo di numero le eccezioni per composizione, in Toscana conquistando parole come “casa, mese, naso” che nella pronuncia classica volevano /s/.

Intendiamoci: se si ascoltano dei fiorentini anziani e di estrazione popolare, certamente /s/ si sentirà ancora. Però, scendendo di età e salendo nella scala sociale, la frequenza di /z/ aumenterà notevolmente, dal momento che tale pronuncia è sentita come “più prestigiosa”.

Un fatto storico che si ripete

Senza che i parlanti lo sappiano, si sta riproducendo un fatto storico.

In toscano infatti, e quindi pure in italiano che come noto viene dal fiorentino trecentesco, /p, t, k/ latini intervocalici (o tra vocale e /r/) sono in genere conservati: così, da CAPRA(M), CEPULLA(M), DIGITU(M), ROTA(M), AMICU(M), URTICA(M) si è avuto “capra, cipolla, dito, ruota, amico, ortica”, mentre nei dialetti settentrionali queste stesse parole hanno sonorizzato le consonanti in /v, d, g/, dando ad es. cavra, si(v)ola, de(d)o, roda, amigo, ontriga nel Veneto.

Ebbene, alcune parole toscane e italiane hanno però sonorizzato, ad es. lat. PAUPERU(M), SCUTU(M), STRATA(M), ACU(M), LACU(M) hanno dato “povero, scudo, strada, ago, lago” come nei dialetti settentrionali, cfr. pò(v)aro, scudo, strada, ago, lago dei dialetti veneti. Invece, nei dialetti meridionali abbiamo pòperu, scuto, strata, aco, laco con /p, t, k/ conservate.

Una posizione intermedia

Fra gli storici della lingua e i dialettologi c’è stato un lungo dibattito sul perché la Toscana abbia questa posizione intermedia, di tendenziale conservazione di /p, t, k/ come al Sud ma con frequenti eccezioni che sonorizzano in /v, d, g/ come al Nord.

Si sono invocati, sembra proprio a giusto titolo, dei complessi procedimenti interni allo sviluppo storico del sistema toscano, ma riconoscendo anche un ruolo alla posizione geograficamente intermedia fra Nord e Sud che hanno la Toscana e il resto dell’Italia Centrale (come dice il nome stesso).

In pratica, prima che Firenze assumesse il ruolo che sappiamo nella storia della lingua italiana, quando era ancora una città di secondaria importanza, si trovò sotto l’influsso della pronuncia sonorizzante del Nord, allora più prestigiosa.

Lo stesso fenomeno che rese il fiorentino incerto tra /p, t, k/ e /v, d, g/ si ebbe per s, così che in alcune parole si mantenne /s/ e in altre si prese a dire /z/. Ecco il perché dell’ambigua sistemazione dell’italiano parlato secondo la pronuncia tradizionale: si scrive sempre s ma si pronuncia in due modi diversi a seconda delle parole.

Ora, quando nel corso del Novecento la popolazione del nostro paese ha progressivamente imparato l’italiano, lo ha fatto soprattutto tramite la filiera scritta e scolastica, dal momento che in casa si parlavano i dialetti. Non fu un problema distinguere fra /p/ e /v/, ben diversi anche nell’ortografia, mentre era impossibile seguire lo standard italiano per s, dato che si usava la stessa lettera per due suoni diversi.

Così ecco che i settentrionali hanno adottato il suono sonoro /z/, e i meridionali quello sordo /s/, orientandosi sui rispettivi dialetti.

Il prestigio della pronuncia non è dovuto a cause linguistiche

Poiché la pronuncia che la s aveva al Nord è risultata più prestigiosa in quanto tipica della parte più ricca del paese, i toscani vi si sono avvicinati, cominciando a generalizzare /z/ in posizione intervocalica, al punto che, anche in italiano standard, alla pronuncia tradizionale che distingueva fra “casa” e “rosa” se n’è affiancata una più moderna in cui entrambe le parole si pronunciano allo stesso modo, ossia “ca/z/a” come “ro/z/a”.

Questa era la situazione fino a qualche anno fa. Intanto però /z/ ha continuato la sua avanzata: oltre a farsi sempre più frequente in Toscana, sembra essere percepita ormai come la pronuncia “giusta” anche nel resto del paese, così che sento sempre più spesso pronunciare “ca/z/a” pure da romani e meridionali.

Parlando di evoluzione della lingua non si deve pensare a tempi biblici: le cose succedono proprio sotto i nostri occhi.

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Daniele Vitali, bolognese, è stato per anni traduttore alla Commissione europea. Ha al suo attivo vari lavori di glottologia su lingue e dialetti, fra cui “Ritratti linguistici: il romeno” (Inter@lia 2002), “Parlate italo-lussemburghese? Appunti sulla lingua degli italiani di Lussemburgo” (Inter@lia 2009), “Pronuncia russa per italiani” (con Luciano Canepari, Aracne 2013), nonché il grande “Dizionario Bolognese-Italiano Italiano-Bolognese” (Pendragon 2007 e 2009, con Luigi Lepri), “Dialetti emiliani e dialetti toscani. Le interazioni linguistiche fra Emilia-Romagna e Toscana” (Pendragon 2020) e “Mé a dscårr in bulgnaiṡ. Manuale per imparare il dialetto bolognese” (Pendragon 2022).

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