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Le imprese familiari e il private equity: nozze che promettono sviluppo

E’ uscito nei giorni il libro “M&A per lo sviluppo”, volume collettaneo promosso dall’Aifi e edito da Guerini e goWare, di cui pubblichiamo un estratto che focalizza le nuove opportunità di sviluppo del capitalismo familiare in Italia, spina dorsale della nostra economia

Le imprese familiari e il private equity: nozze che promettono sviluppo

Quo vadis, impresa familiare?

È disponibile da pochi giorni un libro (anche in ebook) curato dalla Commissione M&A di AIFI, l’Associazione italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt. Il libro “M&A per lo sviluppo” (dove M&A sta per Merger & Acquisition) raccoglie 14 contributi di professionisti che quotidianamente operano nel campo dell’investment banking e della consulenza finanziaria e legale.

Si tratta di una vera e propria indagine sul campo, cioè nel corpo vivo dell’economia reale. La parte conclusiva del libro ospita, per esempio, l’intervento di 4 imprenditori italiani che hanno promosso l’ingresso di soci di minoranza nel capitale e nella governance delle loro imprese. Sono state tutte operazioni di successo che possono essere replicate su scala più larga e costituiscono una risposta cruciale alle sfide che l’imprenditoria italiana si trova a fronteggiare.

Come scrive Marco Ferrando, nell’introduzione al libro, quando un imprenditore decide di aprire il capitale della propria azienda, ricorre sempre più a un fondo piuttosto che tentare la via della quotazione in Borsa. Se c’è bisogno di capitali, come c’è, l’imprenditore guarda oltre la banca, spesso verso il private equity. Anche perché è in atto un’evoluzione nella filosofia operativa di quest’ultimo. Infatti, i fondi privati sono sempre più disponibili a valutare quote di minoranza nelle imprese e non solo il controllo. Si sta parlando di medie imprese con un fatturato tra i 100 e i 120 milioni di euro, quasi sempre a controllo familiare.

I fondi attivi

I fondi attivi sono più propensi di quelli passivi a parlare di investimenti, politiche industriali e assetto della governance. L’AIFI nel 2018 ha registrato operazioni di questo tipo per un valore di 10 miliardi di euro, che non è trascurabile anche se lontano dal dato di altre economie avanzate e dalla media europea.

Come è noto l’impresa familiare è il cuore dell’economia italiana. Questo tipo di impresa, per la sua stessa continuità e anche per il sistema paese, deve ricercare delle soluzioni efficienti a tre grandi questioni strategiche: il passaggio generazionale, il salto dimensionale, la managerializzazione degli aspetti operativi, e non solo di quelli.

A questo proposito abbiamo trovato molto interessante il contributo, di Dario Voltattorni, presente nel volume citato. Forte di importanti esperienze internazionali in campi differenti, Voltattorni è stato chiamato nel 2014 a dirigere l’Associazione Italiana delle Aziende Familiari. L’AIDAF è stata fondata nel 1997 da Alberto Falck, un capitano d’impresa con lo sguardo al futuro, insieme a un gruppo di imprenditori con una visione simile. Oggi l’AIDAF raggruppa 165 aziende familiari, che valgono il 15% del Pil italiano.

Siamo lieti di offrire ai nostri lettori il contributo di Dario Voltattorni, che ringraziamo, al volume collettaneo M&A per lo sviluppo, pubblicato da GueriniNext con goWare per la versione digitale. Buona lettura.

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Le imprese familiari in Italia e nel mondo

Le imprese familiari costituiscono la spina dorsale dell’economia italiana.

L’ultima edizione dell’Osservatorio Aub, promosso da Aidaf, da UniCredit, dalla «Cattedra Aidaf-Ey di Strategia delle Aziende Familiari» in memoria di Alberto Falck dell’Università Bocconi e dalla Camera di Commercio di Milano, restituisce la fotografia di un’economia italiana in cui le imprese familiari con un fatturato superiore a 20 milioni di euro rappresentano il 65% del totale delle imprese italiane, consolidando un fatturato complessivo di oltre 730 miliardi di euro e impiegando circa 2,4 milioni di lavoratori. Se allarghiamo la visuale alle imprese con un fatturato inferiore a 20 milioni di euro, si stima che la percentuale aumenti attorno all’85%.

Al tempo stesso, i dati dell’Osservatorio Aub confermano come le imprese a proprietà familiare creano occupazione (+20,1% negli ultimi sei anni, seguito dal +14,4% delle cooperative e consorzi, il +5,7% delle filiali di imprese estere, il +1,4% delle coalizioni, il –8,7% delle imprese controllate da fondi e il –12,3% delle imprese ed enti statali), crescono più delle altre tipologie di aziende (+47,2% negli ultimi dieci anni, contro il 37,8% delle altre imprese), registrano una redditività più alta (Roi del 2016 al 9,1% contro il 7,9% di altre forme societarie) e hanno un rapporto di indebitamento più basso.

Ampliando l’analisi al contesto internazionale, emerge come anche nelle principali economie mondiali le imprese familiari rappresentino il fulcro dello sviluppo economico e sociale. In un report dell’Economist, pubblicato nell’aprile del 2015 e dedicato interamente alle imprese familiari, si sottolinea come le imprese a controllo familiare rappresentino più del 90% di tutte le imprese attive nel mondo.

Il Global Family Business Index, realizzato dal Center for Family Business presso l’Università di San Gallo in Svizzera, in cooperazione con il Global Family Business Center of Excellence di Ey, analizza le prime 500 società a controllo familiare in tutto il mondo. I Paesi maggiormente rappresentati sono Stati Uniti (con 122 imprese presenti nell’elenco), Germania (79), Francia (28), Hong Kong (21), Svizzera (19) e India (17). L’Italia è al 7° posto con 17 imprese familiari.

La prima azienda italiana si trova al 4° posto ed è Exor; per scovare la seconda impresa italiana per dimensione di fatturato è necessario scendere fino alla 123a posizione, dove si colloca Edizione, la holding finanziaria della famiglia Benetton, con un fatturato 2017 complessivo di poco inferiore ai 12 miliardi di euro. Per la terza impresa familiare italiana è necessario scendere ancora, fino alla 156a posizione, dove si trova il gruppo Luxottica, azienda con un fatturato pari a 9 miliardi di euro, fondata ad Agordo nel 1961, un anno prima di quando è stata creata Walmart, che si trova al vertice di questa particolare classifica.

Le imprese familiari italiane sono, quindi, ben rappresentate ma mediamente molto più piccole delle imprese familiari di altri Paesi.

Da questo rapido, e necessariamente sintetico, confronto tra le imprese familiari italiane e le imprese familiari di altri Paesi, emerge forte l’impellenza che le famiglie imprenditoriali italiane affrontino un importante e storico passaggio che, diversamente da quanto si creda, è ancor più strategico e decisivo del più noto passaggio generazionale: il passaggio dimensionale.

Dal «passaggio generazionale» al «passaggio dimensionale»

Il passaggio generazionale è indubbiamente una delle principali sfide che le famiglie affrontano nel percorso della propria storia imprenditoriale.

Dal 2001 al 2014, le imprese familiari italiane con un fatturato superiore a 1 milione di euro che hanno portato a compimento il proprio passaggio generazionale sono pari al 2%, equivalente a circa 3.600 passaggi generazionali all’anno. Oggi esistono le competenze e le esperienze, a livello italiano e internazionale, per preparare le famiglie imprenditoriali, anche quelle più complesse, a gestire in maniera efficace e fluida il passaggio del controllo dell’impresa tra diverse generazioni. Numerose sono le realtà di consulenza e i professionisti che affiancano gli imprenditori in questo percorso, che è caratterizzato non soltanto da sfide manageriali e aspetti tecnico-giuridici, ma soprattutto da profonde riflessioni e ponderate analisi personali da parte dell’imprenditore.

Tuttavia, un passaggio generazionale condotto con successo è una condizione necessaria ma non sufficiente per la crescita dimensionale dell’impresa; per poter competere sui mercati internazionali è urgente che si inizi a pensare all’impresa di famiglia non solo come a un percorso che la traghetta da una generazione all’altra, ma come a una missione per condurla dalla dimensione attuale a una più grande. In altri termini, che da piccole aziende divengano medie aziende, da medie aziende a grandi aziende, da grandi aziende possano affrontare con maggiore fiducia e consapevolezza le sfide future e fungano da traino e da ispiratrici per le imprese più piccole.

Vi è la necessità, come disse J.F. Kennedy in un discorso dell’ottobre 1963, di una «rising tide that lifts all the boats», un’onda che sollevi tutte le barche, e che le faccia salire, le faccia saltare nella categoria dimensionale superiore.

Realizzare il passaggio dimensionale non vuol dire solo aumentare il fatturato dell’azienda, ma vuol dire aprirsi al contesto e alla competizione internazionali, essere connessi a una rete di qualità composta da università, centri di ricerca e talenti, start-up e interlocutori finanziari, istituzioni locali e globali. Altresì, il passaggio dimensionale che le imprese familiari italiane devono affrontare passa attraverso la creazione di valore per gli azionisti, per l’impresa stessa e per tutti coloro che ruotano e dipendono da essa.

Un prerequisito per il «passaggio dimensionale»

Un importante prerequisito per affrontare, con coraggio e disciplina, il passaggio dimensionale è la definizione di un sistema di regole sia all’interno della famiglia che all’interno dell’impresa; un complesso equilibrato ed armonioso di Corporate & Family Governance che, da un lato, definisca i comportamenti e le responsabilità per ciascun attore coinvolto — direttamente o indirettamente — nella gestione dell’azienda e, d’altro lato, istituisca un punto di riferimento indispensabile per tutti gli attori esterni che lavorano e si confrontano con l’azienda.

Questo comporta un’assunzione di responsabilità da parte degli attori che possono decretare il successo dell’impresa. Per l’amministratore delegato, che sia un componente della famiglia o un manager esterno alla famiglia, vuol dire immaginare, disegnare e preparare l’organizzazione a operare su più mercati, su più settori e su più progetti contemporaneamente, attraverso un team di manager di talento, con una visione e un’esperienza internazionale, coeso su sfide e obiettivi chiari e condivisi. Per la famiglia proprietaria significa sentirsi e divenire padroni del proprio destino, riconoscersi e unirsi su valori comuni ed esprimere una forte leadership imprenditoriale. Infine, per il leader della famiglia significa unire la curiosità alla tenacia, il salvifico e persistente dubbio alla pervicacia nel perseguimento di uno scopo, la capacità di coinvolgimento e di coesione alla durezza del compiere delle scelte, non semplici, di selezionare le persone migliori per effettuare un viaggio per il quale, giorno dopo giorno, occorre disegnare la mappa.

Aidaf, la Cattedra Aidaf-Ey e lo Studio Notarile Marchetti hanno raccolto all’interno del Codice di Autodisciplina per le Società a Controllo Familiare Non Quotate, redatto nel 2017 ed entrato in vigore nel 2018, un insieme di indicazioni ed avvertenze per tutte quelle famiglie imprenditoriali che, consapevoli delle sfide che dovranno affrontare, vogliono essere padrone del proprio destino.

La finalità primaria di questo Codice è di supportare le imprese nella definizione di una governance fondata su criteri stabili, oggettivi e condivisi, equilibrati ma non rigidi e che permetta una crescita e uno sviluppo dell’azienda e della famiglia proprietaria coerentemente con una concezione moderna di imprenditorialità sana e responsabile.

Gli strumenti per lo sviluppo delle imprese familiari

I pilastri più importanti per realizzare un passaggio dimensionale efficace sono tre.

Il primo è la managerializzazione dell’impresa familiare. La creazione di una struttura organizzativa e di una cultura che attragga i manager migliori e respinga la mediocrità; un’organizzazione in cui la meritocrazia e la competenza siano più importanti dell’appartenenza. Se questi elementi distintivi non sono chiari anche all’esterno dell’azienda, difficilmente verranno affascinati quei talenti che l’Italia ha la grande capacità di educare e formare ma limitata forza di trattenere.

Il secondo pilastro è l’internazionalizzazione, intesa come capacità di progettare e realizzare un percorso di espansione sui mercati mondiali che sia, da un lato, rapido nello sviluppo e, d’altro lato, efficace nei risultati. La qualità maggiormente riconosciuta alle imprese familiari è la grande flessibilità e rapidità nel prendere decisioni, anche difficili; questa qualità, talvolta, sembra venir meno nell’affrontare i mercati internazionali. Le sfide che aspettano le imprese richiedono una visione di lungo periodo ed un coraggio nel breve periodo; crediamo siano questi i due componenti primordiali di ogni imprenditore che ha nella crescita la propria ragion d’essere.

Il terzo pilastro è rappresentato dall’evoluzione della struttura del capitale dell’impresa familiare che dovrà prepararsi a valutare le diverse opportunità che i mercati finanziari offrono loro — dai fondi di private equity, alle operazioni di M&A, alla quotazione in Borsa — con l’obiettivo di crescere, competere e perdurare nel tempo. Questo terzo stadio del passaggio dimensionale è certamente il più complesso e dibattuto all’interno delle imprese di famiglia.

In particolare, le operazioni di M&A rappresentano un fondamentale acceleratore per la crescita dell’impresa, con particolare attenzione sui mercati internazionali.

Come ha evidenziato Stefano Caselli, prorettore dell’Università Bocconi, in un recente articolo sul Corriere della Sera, «in un momento in cui il Paese è bloccato e ha bisogno di creare ricchezza e

occupazione, la contrapposizione deve essere superata; la possibilità di crescita, anche con fusioni e acquisizioni, e l’internazionalizzazione devono diventare elementi caratteristici del Paese, che si trova a competere con economie che fanno del gigantismo la base della competizione».

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