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Lanzillotta: “Contro le riforme c’è un blocco corporativo ma non è invincibile”

INTERVISTA a LINDA LANZILLOTTA, ex ministro e vicepresidente del Senato – Nel suo libro “Il paese delle mezze riforme” Lanzillotta non nasconde gli errori dei riformisti ma sostiene che in Italia c’è un blocco – in settori della magistratura, dei sindacati e della burocrazia – che si oppone alle riforme, che però non può essere considerato invincibile e va sfidato nel modo giusto

Lanzillotta: “Contro le riforme c’è un blocco corporativo ma non è invincibile”

“Nel 1993, dopo il crollo del muro di Berlino e la trasformazione del PCI in una formazione di sinistra non antisistema, i cittadini italiani hanno chiesto con i referendum una discontinuità con il dopoguerra, un sistema politico maggioritario ed un rinnovamento profondo dell’apparato amministrativo. Insomma delle vere riforme di tipo efficientistico. Questo tentativo di rinnovamento è riuscito solo in piccola parte e l’esperienza si è conclusa con la bocciatura della riforma costituzionale nel referendum del dicembre 2016. Ed ora le posizioni si sono radicalizzate e siamo finiti nelle mani dei populisti e dei sovranisti”. Linda Lanzillotta ha avuto una lunga esperienza istituzionale, come funzionaria dello Stato al ministero del Tesoro, alla Camera e alla Presidenza del Consiglio, e politica sia in qualità di assessore al Comune di Roma nella Giunta Rutelli, sia come Ministro e poi parlamentare fino a diventare nella passata legislatura vice presidente del Senato.

Una serie di passaggi in gangli vitali della vita del nostro sistema che le hanno consentito di vedere da vicino il percorso intrapreso dal nostro Paese per rimanere agganciato al carro occidentale che, con le scelte effettuate nel dopoguerra (non senza aspre battaglie), ci aveva comunque condotto ad un livello di benessere mai raggiunto prima. Il racconto di quello che è avvenuto a partire dagli anni settanta, getta una luce sulle ragioni di fondo che hanno frenato la marcia dell’Italia relegandola ad essere il vagone di coda del treno europeo. Linda Lanzillotta ha scritto un libro autobiografico (“Il paese delle mezze riforme”, Passigli Editore) in cui racconta la sua esperienza personale, ma essendo stata coprotagonista di tante scelte compiute in quegli anni, il libro costituisce una importante fonte per l’analisi storica di quanto è avvenuto, permettendo l’individuazione degli errori commessi e delle responsabilità dei gruppi politici e sociali protagonisti delle tentate “svolte” o degli insuccessi delle riforme.

Il carattere di Lanzillotta emerge nel racconto di alcuni gustosi episodi di vita privata. Fra tutti il più significativo mi sembra quello di quando, dovendo diventare assessore al Comune di Roma, volevano collocarla in quota PDS. Il suo compagno e futuro marito, Franco Bassanini, allora parlamentare di quel partito, si sentì in dovere di avvisare i suoi dirigenti che, dato il carattere di Linda e le sue convinzioni economiche e politiche, non ci si poteva aspettare da lei una accondiscendenza ai desiderata del partito. Di conseguenza divenne assessore senza etichette di partito.

Lanzillotta, cercando di trarre una conclusione generale dal percorso seguito negli ultimi quarant’anni da questo Paese, quali sono le regioni del fallimento dei tentativi riformisti? Si è trattato per lo più di errori commessi da chi voleva riformare il Paese o le resistenze, magari inaspettate, sono state così forti da vanificare gli sforzi che si andavano facendo? 

“Dopo il crollo della prima Repubblica c’è stato un tentativo di varare molte riforme nella direzione di quella discontinuità con l’assetto istituzionale ed amministrativo che dopo la guerra era stato lasciato largamente immutato rispetto ai periodi precedenti. Da un lato i riformatori hanno avuto il torto di essere prevalentemente legati ad una cultura giuridica in base alla quale una volta fatta la legge il compito del politico è sostanzialmente finito. Ed invece è allora che inizia il lavoro. Bisogna seguire l’applicazione delle norme, superare gli ostacoli burocratici, illustrare ai cittadini i vantaggi dei nuovi sistemi, cambiare insomma la cultura di fondo di un sistema, che del resto è il vero scopo delle riforme. Dall’altro lato si è via via formato un blocco sempre più forte di oppositori a qualsiasi cambiamento. Di questo blocco fanno parte settori della magistratura, molti sindacati che stentano ad abbandonare il vecchio antagonismo, la difesa corporativa di prerogative burocratiche o di gruppi al riparo dalla concorrenza. Una coalizione formidabile che spesso ha ritardato o distorto le riforme fatte, così che la loro efficacia non si è manifestata e le attese dei cittadini sono andate deluse. In altri casi, come nel referendum sulla riforma costituzionale di Renzi, si è formata una coalizione così larga, anche se disomogenea, di oppositori, che è riuscita addirittura a porre la parola fine alla missione riformista del ’93, ed alle speranze suscitate dal crollo della prima Repubblica”.

Ed infatti oggi il Governo giallo-verde sembra orientato a ritornare al passato. La volontà è quella di smantellare quanto di buono è stato fatto negli ultimi anni, in particolare dai governi Renzi e Gentiloni. Ma anche Renzi ha fatto diversi errori, e soprattutto sembra che ormai non ci sia più un vero consenso per continuare nella politica di riforme. 

“Certo Renzi ha probabilmente messo troppa carne al fuoco, ha parlato di rottamazione prima di aver messo a punto e varato le riforme del sistema istituzionale che avrebbero dato una maggiore efficienza alla nostra democrazia. Il risultato è stato che si è creata una vasta alleanza di tutte le razze di conservatori, aiutati da tanti intellettuali più o meno consapevoli, per bloccarlo. E ci sono riusciti, ma attenzione, al referendum si è manifestata una robusta minoranza, circa il 40% degli elettori che votando SI si è dimostrata consapevole della necessità delle riforme. Ed ora si dovrebbe ripartire per una azione di contrasto all’attuale Governo, dalla possibilità di riaggregare questo popolo oggi senza chiari punti di riferimento. Oggi quelle riforme sono ancora indispensabili, anche perché bisogna affrontare un effettivo cambiamento della amministrazione senza il quale nulla si potrà fare. Molte riforme sono fallite sia per motivi politici, in quanto i partiti cercano in consenso immediato e non hanno la possibilità di aspettare anni per il pieno dispiegarsi degli effetti delle riforme, sia anche perché l’amministrazione non le ha sapute gestire o non ha voluto assumersi la responsabilità di portarle avanti”.

A questo proposito c’è nel libro un forte attacco al modo di operare della Corte dei Conti che di fatto sta paralizzando i dirigenti della PA i quali cercano di non assumersi alcuna responsabilità o se proprio costretti, richiedono la copertura di tali e tanti pareri legali e politici da perdere anni per ogni decisione. 

“Si, critico a fondo il modo di operare della Corte dei Conti e credo che sarebbe opportuno rivedere i compiti che le sono stati attribuiti per rendere più penetranti i controlli, entrando nel merito delle cose per badare ai risultati ottenuti e non solo al percorso di legittimità. Ma per farlo occorrono anche persone qualificate a fare valutazioni economiche e non solo giuridiche. In generale è tutta l’amministrazione che deve essere indirizzata in modo da raggiungere più alti livelli di trasparenza, responsabilità e meritocrazia. Il problema fondamentale è che bisogna ricostruire una forza politica capace di vincere la resistenza alle innovazioni, lo scetticismo diffuso, l’inerzia rispetto alle vecchie abitudini. Bisognerà tener conto delle paure degli italiani, di quelle antiche e di quelle sorte in questi anni a causa della crisi dell’ economia e dell’ immigrazione”.

Un progetto complesso che, da un lato passa per un recupero di valori culturali di impegno e solidarietà che sembrano essersi smarriti e dall’altro da un cambiamento anche della governance e della filosofia dell’Europa, che deve andare avanti e fornire risposte anche alle nuove esigenze delle popolazioni del vecchio continente. 

“Certo, la sinistra ad esempio ha grandi responsabilità per il degrado culturale che ormai si avverte in larga parte degli strati sociali. Aver lasciato andare la scuola sottoponendola ai prevalenti interessi degli insegnanti invece che a quelli dei giovani, è stato un errore gravissimo. Poi bisogna valorizzare veramente le donne che sono sicuramente un punto di forza delle società moderne (ma occorre che anche le donne si facciano avanti con più determinazione). Infine l’Europa. Pensare di uscirne è pura idiozia. Tuttavia la UE deve arricchirsi di altri temi rispetto a quelli della sua fondazione, la pace ed i diritti individuali, che ormai si danno per scontati. Occorre costruire una agenda basata anche sugli interessi collettivi, quali l’ambiente, la sicurezza, la più equa distribuzione del reddito, e soprattutto mettere al centro dell’ attenzione i giovani e le loro speranze e non solo i pensionati che hanno avuto molto dalla società negli ultimi quarant’anni e che oggi devono mostrare anche una maggiore solidarietà”.

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