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La rivista di Autostrade per l’Italia, Agorà, apre dibattito su infrastrutture: troppa ideologia

Il dibattito per la presentazione della nuova rivista di Autostrade per l’Italia, Agorà, cui hanno partecipato il presidente e l’ad della società, Cerchiai e Castellucci, e altre personalità, ha evidenziato la necessità di un confronto civile e chiaro sulle grandi opere: per capire se servono davvero e smascherare il gioco degli interessi.

La rivista di Autostrade per l’Italia, Agorà, apre dibattito su infrastrutture: troppa ideologia

Il dibattito sulle infrastrutture procede troppo spesso per luoghi comuni o per pregiudizi ideologici. Su questo terreno si mischiano differenti visioni di politica economica, divergenti idee sul tipo di sviluppo che il paese dovrebbe avere, diverse modalità di scelta delle infrastrutture da ritenere prioritarie, fino a contrastanti visioni sul ruolo da assegnare al dibattito pubblico necessario per ottenere il consenso delle popolazioni coinvolte nelle nuove opere.

Il dibattito per la presentazione della nuova rivista di Autostrade per l’Italia, Agorà, cui hanno partecipato il presidente e l’amministratore delegato della società, Cerchiai e Castellucci, i professori Senn e Boitani, il vice presidente di Confindustria Regina ed il vice ministro Ciaccia, è stato l’occasione per mettere in luce le profonde differenze, in primo luogo culturali, che esistono in Italia sul problema delle infrastrutture e che spiegano in gran parte sia i ritardi del nostro paese a dotarsi di certe infrastrutture sia gli sprechi di cui è accusato, spesso non a torto, lo stesso settore.

Tesi ed antitesi talmente divergenti che rendono impossibile un razionale investimento nelle opere infrastrutturali veramente utili e sulle quali ottenere il consenso della popolazione. Del resto la rivista Agorà nasce proprio per questo: per favorire un ampio confronto di opinioni, misurandosi anche con le migliori esperienze internazionali, sperando di favorire una sintesi positiva tra opinioni così contrastanti da determinare la paralisi degli investimenti oppure tempi lunghi e costi elevati di quelli che si fanno.

I contrasti partono proprio dalla impostazione di politica economica. Quali e quante infrastrutture servono al paese? E’ vero che le opere pubbliche favoriscono lo sviluppo? I costi delle infrastrutture sono un aumento del patrimonio del paese o semplicemente un debito che trasferiamo alle generazioni successive? Tutti hanno manifestato la necessità di selezionare le opere assegnando stringenti priorità, ma poi non sembra esserci vera sintonia sui criteri con i quali selezionare queste priorità. Ad esempio, contrariamente all’opinione comune, non sembra che in molti campi l’Italia sia carente di dotazioni infrastrutturali. Ad esempio abbiamo probabilmente troppi aereoporti, troppi porti, tronchi autostradali inutili, troppe Università, troppi piccoli tribunali e così via. Anche questi sono tutti esempi di spreco del denaro pubblico che hanno contribuito a gonfiare quel debito che oggi ci sta strozzando.

Castellucci ha sottolineato che oggi gli investimenti in infrastrutture non danno più quella spinta alla crescita che davano invece 30 o 40 anni fa. Quindi, se ne potrebbe dedurre che le mille opere di cui ad esempio parla il programma del Pd, ben difficilmente darebbero una spinta alla ripresa dell’economia e dell’occupazione, anzi, sottraendo preziose risorse finanziarie, potrebbero addirittura prolungare la recessione. Oggi quindi le opere infrastrutturali dovrebbero essere valutate non in base agli stimoli diretti che potrebbero avere sulla congiuntura ma sulla base di calcoli più complessi sui benefici indiretti che avrebbero sull’innalzamento della produttività complessiva del sistema.

Sulla base di questi criteri si dovrebbe quindi valutare la convenienza della singola opera. Ad esempio se è più conveniente fare nuove opere o potenziare quelle esistenti, oppure come ripartiamo il rischio tra pubblico e privato, o ancora se concentriamo gli sforzi sulle opere finanziabili dal mercato privato e su quali regole dobbiamo adottare perchè ciò sia reso appetibile per gli investitori.

Quanto al rispetto del territorio occorre certo adottare in maniera più estesa il criterio del dibattito pubblico che, sulla base delle poche esperienze fatte in Italia ha dato buoni frutti, anche se a monte occorre chiarire bene lo scopo di questo confronto e cioè se deve servire a decidere se fare o no l’opera oppure se deve concentrarsi sul “come” farla.

Grandi problemi sui quali un dibattito civile, ma più chiaro, è estremanente urgente, anche per smascherare il gioco dei tanti interessi che si aggrumano intorno a questo settore e che spesso spingono a fare un’opera perchè tanti ( forse troppi) guadagnano dalla progettazione e dall’esecuzione e poco si curano della sua effettiva utilità dalla quale però dipende il rientro dei capitali investiti pubblici o privati che siano.

Occorre quanto prima aprire un serio dibattito su questi temi anche perchè solo così si può fare una riflessione collettiva sui grandi nodi irrisolti del nostro paese e potremo darci una visione realistica e condivisa di cosa vogliamo diventare e di quale ruolo vogliamo giocare nel mondo.

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