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La partita del gas in Italia: tra le minacce di Putin e la corsa alla diversificazione energetica

Cosa può fare l’Italia nella partita del gas? Sono diverse le scelte possibili: dall’Africa agli Usa. E Federpetroli mette in guardia dalle mire espansionistiche della Turchia

La partita del gas in Italia: tra le minacce di Putin e la corsa alla diversificazione energetica

La ricerca del gas è il tema centrale delle strategie italiane ed europee degli ultimi tempi. L’aumento vertiginoso dei prezzi a partire dal secondo semestre del 2021, la guerra in Ucraina, insieme alle continue minacce di Mosca di pretendere dai “Paesi ostili” il pagamento delle forniture in rubli, ha messo in allerta tutta l’Europa, in primis l’Italia che ancora importa dalla Russia il 34% di gas. Ma cosa può fare l’Italia nella partita del gas? Il nostro paese ha due carte da poter giocare: Africa e Medio Oriente – anche se i problemi non mancano – mentre il gas liquefatto americano sembra un’alternativa possibile nel breve periodo, ma non sostenibile economicamente nel lungo. Lo ha detto Michele Marsiglia, Presidente di Federpetroli, in un’intervista a Il Sussidiario.net.

La partita del gas: l’Italia può contare su Algeria e Libia

In caso di uno stop improvviso dalla Russia, l’Algeria e la Libia rimangono le migliori possibilità per il nostro Paese. In questo scenario un ruolo importante lo gioca Eni, ottimo partner commerciale dei due Paesi. Il cane a sei zampe, come sottolinea Marsiglia, è diventata “una delle prime compagnie petrolifere a livello mondiale”, operando in più Paesi e, per quanto riguarda Medio Oriente e Africa, l’Italia è più coperta rispetto ad altri. Ben 9 miliardi di metri cubi in più arriveranno proprio dall’Algeria, attraverso il gasdotto che dalla Tunisia arriva a Mazara del Vallo. E la Libia sta tornando a livelli produttivi più stabilizzati.

Ma questo vorrebbe dire che l’Italia non ridurrebbe la sua dipendenza dall’estero. A differenza del gas che arriva dalla Russia o dall’Azerbaijan, però, il nostro paese (attraverso Eni) possiede pozzi in Africa e quindi, come sottolinea Marsiglia, abbiamo voce in capitolo sul prezzo di produzione. Inoltre, l’Italia può vantare “ottimi rapporti di cooperazione” con molti Paesi africani , perciò “possiamo essere favoriti nello sviluppo dei giacimenti, dei pozzi e delle relazioni politiche”, ha sottolineato il numero uno di Federpetroli. Ma serviranno comunque investimenti, non tanto per i gasdotti che ci sono quanto per i collegamenti fra i diversi Stati. Tuttavia, “si possono sviluppare delle reti di collegamento all’interno dei singoli Stati o forme diverse di trasporto logistico”. Poi Marsiglia porta l’esempio del progetto che Saipem sta sviluppando in Mozambico per il gnl: “il più grande al mondo che la Saipem abbia mai realizzato”.

Il gas dall’Azerbaijan: si può allora rafforzare il Tap?

L’importanza strategica del Gasdotto Trans-Adriatico entrato in funzione a fine 2020, molto contestato in passato, è ora elevata. Nella partita del gas può fornire un grande contributo, ma non risolvere il problema. Per quanto si possa aumentare l’approvvigionamento dei terminali di arrivo e la capacità di trasporto del gas, non si può rafforzare l’infrastruttura. Il gasdotto è concepito per portare più metano dei 10 miliardi di metri cubi all’anno, ma richiede in ogni caso una serie di interventi per aumentare la compressione del gas. E per questo ci vuole tempo. Secondo il presidente di Federpetroli almeno 5 anni.

Cos’è il Tap? Si tratta de l gasdotto che permette all’Europa di importare il gas naturale estratto in Azerbaijan – il cui capitale è in mano per il 20% all’italiana Snam e poi a BP (20%), Socar (20%), Fluxys (19%), Enagás (16%) e Axpo (5%) – ha una lunghezza di 878 km, di cui 550 in Grecia, 215 in Albania 105 sotto il Mare Adriatico e appena 8 in Puglia, dove si connette alla rete di distribuzione italiana del gas.

C’è sempre un problema. La Turchia “non rinuncerà sicuramente al passaggio di questo gas”. Poi Marsiglia mette in guardia dalle mire espansionistiche della Turchia nel Mediterraneo. “Erdogan sta attuando una politica di espansione petrolifera anche in Libia, dove ci ha sottratto alcuni appalti, e questo ci ha causato diversi problemi negli ultimi due anni, quando l’Italia è stata politicamente un po’ assente dalla Libia”. E che sta facendo lo stesso al largo di Cipro”.

Gnl americano: un cerotto per l’Europa, un affare per gli Usa

Nella partita del gas, l’aumento delle forniture di gnl è una delle strade percorse dal Vecchio continente per diversificare l’approvvigionamento energetico. In questo scenario, l’accordo raggiunto tra Usa e Ue per forniture aggiuntive di gas naturale liquefatto di 15 miliardi di metri cubi entro l’anno, con l’obiettivo di arrivare a 50 miliardi entro il 2030, può essere una soluzione temporanea “ma non è per nulla economico”, secondo Marsiglia. Innanzitutto, il gnl costa di più rispetto al gas trasportato via gasdotto (+15/20% secondo i dati di febbraio dell’Ue), poi sono necessari impianti di rigassificazione per riportare il gas dallo stato liquido a quello aeroforme e renderlo utilizzabile per gli usi comuni. Per non parlare del trasporto con le navi metanifere. Il costo del gas liquefatto è elemento primario da considerare che, nel caso di quello americano, deve attraversare tutto l’Atlantico con prezzi di produzione già molto alti. 

Come ha ricordato anche il New York Times, gli esportatori statunitensi operano già al massimo della loro capacità produttiva e hanno già contratti di fornitura con altri clienti, ai quali dovrebbero sottrarre alcune esportazioni per dirottarle verso il Vecchio continente. Come già è avvenuto nel 2021 con Paesi come Giappone e Corea del Sud che hanno accettato di ridurre le proprie importazioni di gas Usa: il 34% dell’export americano di gnl è arrivato in Europa.

Ma rimane un altro problema: il gnl è metano che viene liquefatto tramite raffreddamento e dunque esportato su apposite navi cisterna. Questo richiede terminal attrezzati adeguatamente sia per il carico delle cisterne sia per lo scarico, lo stoccaggio e la rigassificazione del gnl, per poterlo pompare nei gasdotti tradizionali. Costruire nuovi impianti richiederebbe troppo tempo e soldi.

Per questo la soluzione più rapida sono le navi Fsru (Floating Storage and Regasification Units), unità galleggianti che trasformano il gas naturale liquido riportandolo allo stato gassoso. Il problema è che ce ne sono davvero poche (meno di 50 in tutto il mondo) e la corsa per accaparrarsele è già iniziata. Alcuni paesi non ne hanno affatto, come la Germania, che si è mossa per recuperare, ma anche l’Italia che invece dispone di tre rigassificatori (La Spezia, Rovigo e Livorno, dove c’è già una nave Fsru) che coprono circa il 20% del fabbisogno nazionale, lo sta facendo. Il governo ha dato incarico a Snam di negoziare l’acquisto di altre due navi da rigassificazione. Per quel che riguarda i costi, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha parlato di centinaia di milioni per il noleggio. Difatti con la guerra ucraina le tariffe di noleggio per le Fsru sono aumentate almeno del 50 %.