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La Calce (Fideuram Investimenti): da Internet la sfida al private banking è già partita

INTERVISTA A GIANLUCA LA CALCE (FIDEURAM INVESTIMENTI SGR): Negli Usa si stanno sviluppando piattaforme che permettono non solo l’operatività base ma la gestione dell’investimento con modelli tipici del wealth management – Con i big data ora entrano in gioco i colossi di internet

Dopo Alibaba, che ha creato il fondo comune a maggior crescita di sempre, ora Google potrebbe entrare nelle gestioni patrimoniali. Già perché la tecnologia sta rivoluzionando il risparmio gestito e  l’avanzata dei colossi high tech potrebbe essere solo questione di tempo. “Perché Google non dovrebbe guardare a un’industria caratterizzata da alti livelli di fedeltà dei clienti e da forti margini?”, si chiede Kpmg nello studio “Investing in the future” dove traccia i mega trend destinati a cambiare la fisionomia dell’industria: dalle dinamiche demografiche, agli sviluppi tecnologici, dalle questioni ambientali ai comportamenti etici. In questo quadro, sottolinea Kpmg, la rapida crescita della tecnologia e delle società retail che offrono piattaforme online e di social media metteranno a rischio la struttura tradizionale dell’industria degli investimenti. Firstonline ha parlato delle sfide per l’industria e degli scenari futuri con Gianluca La Calce, ad di Fideuram Investimenti Sgr.

Come rileva il report di Kpmg, la tecnologia è destinata ad avere un ruolo dirompente del modo in cui l’industria dell’asset management lavora. A che cambiamenti dobbiamo prepararci?

Nell’industria dell’asset management l’accesso ai dati, la capacità di elaborazione dei dati e il ruolo delle nuove tecnologie hanno sempre giocato un ruolo rilevante. Ora la novità è che la tecnologia diventerà un tema anche per il lato della distribuzione. In altri termini, acquisterà rilevanza non solo nella fase di gestione degli investimenti, ma anche nell’analisi di mercato e dei clienti, nella proposizione di soluzioni agli investitori; ambiti in cui fino a oggi l’uso della tecnologia è stato sicuramente più lento e recente ma prenderà forza in futuro. Così come prenderà piede un percorso legato alla digitalizzazione che negli Usa si sta già sviluppando, mentre in Europa e in Italia è meno visibile.

Di che fenomeno stiamo parlando al di là dell’Oceano?

Negli Usa la digitalizzazione in ambito finanziario per attività non riconducibili esclusivamente al banking e all’attività di trading presenta ancora numeri contenuti ma dal ritmo di crescita importante. Si stanno sviluppando piattaforme che permettono non solo l’operatività base ma la gestione dell’investimento con modelli tipici del wealth management, entrando quindi nello stadio più elevato delle attività di gestione del risparmio. Anche in Europa ci sono alcune di queste piattaforme e in Italia un paio. Sono piattaforme che mirano alla disintermediazione dei modelli distributivi tradizionali con un target non rappresentato esclusivamente dal fai da te classico ma da soggetti più digitalizzati che vogliono gestire gli investimenti in modo strutturato ricorrendo però a nuovi canali di investimento.

E’ immaginabile che favoriranno molto la raccolta e la sistematizzazione dei dati su larga scala.

Nel lungo periodo la diffusione di nuove modalità di azione da parte degli investitori favorirà il fenomeno big data, rendendo più ricche, accessibili ed aggregabili le informazioni e aprendo all’applicazione di strumenti tipici del marketing e dei beni di consumo. E qui entrano in campo i Google vari.

Lo sbarco di Google e dei colossi hightech è qualcosa che i vertici dei grossi gruppi mondiali di asset management stanno monitorando con circospezione e preoccupazione. In Italia il dibattito è aperto tra i maggiori player?

Sicuramente ne abbiamo cominciato a parlare ma non credo che la riflessione sia ancora matura. In Fideuram il tema è oggetto di approfondimenti da tempo ed abbiamo già avviato progetti per noi molto rilevanti

La sensazione è che in Italia quando si parla di tecnologia, l’approccio prevalente sia quello legato alle “semplici” strategie social ma non si ragioni in termini di rivoluzione del modo di fare business.

In media il nostro mercato è ancora arretrato sulla tecnologia e questo lo si vede nella cultura generale. Non dimentichiamoci poi che oggi la digitalizzazione è più indietro anche per il ritardo nelle infrastrutture. A questo si aggiunge un mercato sulla distribuzione dei fondi che è ancora molto vischioso, in cui gli schemi tradizionali sono forti e dove la tecnologia è concepita più come strumento per la comunicazione e di efficientamento dell’attività bancaria e non come strumento per modalità di distribuzione diversa.

Un modello che può lasciare aperti varchi ai nuovi entranti. Sempre Kpmg si chiede infatti perché Google non dovrebbe guardare a un’industria caratterizzata da alti livelli di fedeltà dei clienti e da forti margini, quale quella dell’asset management.

Il tema è che l’industria finanziaria in ambito retail ha modelli mediamente tradizionali perché si tratta di un servizio ad alto contenuto umano, legato al sistema di distribuzione tradizionale. Questo fatto stesso ha contribuito al mantenimento di margini elevati. La presenza di margini ancora consistenti e l’avvio di un cambiamento indotto dalla tecnologia favorisce sicuramente l’ingresso di nuovi player. Per i colossi globali della tecnologia le potenzialità di cross selling sono molto grandi ed essendo, per definizione, player globali possono puntare su una clientela target enorme con possibilità di ripagare gli investimenti molto più velocemente. In scala più piccola abbiamo già visto un fenomeno simile nell’industria dell’asset management per sua natura globale e dipendente dal fattore “scala dimensionale”. Il mercato italiano ha infatti visto una crescita importante della quota di mercato dei grandi player internazionali che forti di brand già affermati in altri paesi hanno potuto collocare in modo commercialmente efficace ed efficiente i loro prodotti su mercati diversi. Tornando a Google non conosco i loro piani ma è evidente che ha dei punti di forza nella tecnologia di utilizzo dei dati, nella diffusione e nel brand.

Proprio per questo, non c’è il rischio di un impatto dirompente se colossi come Google e Facebook iniziassero veramente a entrare nel settore? Dopotutto Alibaba in Cina ha spopolato con il suo prodotto di risparmio online.

Bisogna domandarsi con che tempi e fino a dove si potrà spingere questo fenomeno? Arriverà a rappresentare il 20% o l’80% del mercato? In altri termini, è un fenomeno di nicchia o è qualcosa che diventerà una componente importante della distribuzione finanziaria in tempi brevi? Teniamo presente che ci sarà un momento in cui i nativi digitali diventeranno la maggioranza. Tutte domande che comunque vanno messe in relazione con il proprio target di clientela e modello distributivo. In ogni caso, fino a poco tempo fa si riteneva la digitalizzazione un fenomeno di nicchia, che si sarebbe affermato con difficoltà sul private banking, ossia la parte più alta del risparmio gestito. Ora invece negli Usa si vedono le piattaforme digitali di cui abbiamo parlato che stanno facendo i primi tentativi di ingresso in aree che potevano sembrare tabù come quella del private banking. Personalmente ritengo che sia un fenomeno concreto che prenderà via via velocità, ma su un orizzonte temporale strategico di anni. Ritengo comunque che nel private banking la componente umana rimarrà centrale ma deve evolvere nella modalità di interazione con i clienti. Noi riteniamo che il promotore rimarrà il momento centrale del servizio al cliente ma svolgerà la propria azione con modalità e strumenti che faranno tesoro delle opportunità aperte dal digitale.

Che ruolo si immagina per Google nell’industria? Solo distributore o asset manager a tutto tondo?

Penso che l’idea che Google possa diventare produttore di fondi sia poco probabile; credo che i trend di mercato non spingano in quella direzione ma ritengo più probabile che si possa dotare comunque di una intelligenza finanziaria per orientare e guidare le scelte di investimento dei propri clienti.

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