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Italia: dall’intelligenza artificiale 228 miliardi entro il 2030

Dall’innovazione potrebbe arrivare una cifra pari al 13% del PIL – Lo stima l’istituto di ricerca economica McKinsey Global Institute (MGI).

Italia: dall’intelligenza artificiale 228 miliardi entro il 2030

Duecentoventotto miliardi di euro, una cifra che corrisponde al 13% del PIL Italiano. Questi i soldi che potrebbero arrivare da qui al 2030 alla nostra economia grazie all’innovazione e soprattutto all’intelligenza artificiale. 

Lo stimano la società di consulenza manageriale McKinsey & Company e il suo istituto di ricerca economica McKinsey Global Institute (MGI). I dati sono stati forniti nel corso dell’evento The Future Is Now, tenutosi il 9 ottobre al Palazzo del Ghiaccio di Milano in occasione dei 50 anni della società di consulenza in Italia. 

A livello europeo l’impatto dell’intelligenza artificiale calcolato dai consulenti della società newyorkese è ancora più impressionante: 2.700 miliardi di euro al 2030, il 19% del PIL. 

“L’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità unica per la competitività e la crescita del nostro Continente. L’Europa, e con essa l’Italia, possono contare su diversi punti di forza: un settore industriale all’avanguardia; un ampio bacino di talenti nella ricerca e nel tech; un numero di startup in continua crescita. Sarebbe quindi un peccato perdere questa occasione. Non si tratta infatti di un tema astratto, ma di ricchezza concreta, che per l’Europa potrebbe valere 2.700 miliardi di euro”, ha affermato Massimo Giordano, Managing Partner McKinsey Mediterraneo. 

Per cercare di monetizzare al meglio il potenziale dell’innovazione, secondo lo studio del McKinsey Global Institute, l’Europa dovrebbe e concentrarsi per riconquistare competitività a livello mondiale e colmare il divario accumulato, in particolare con Stati Uniti e Cina. 

Come? Sviluppando iniziative a favore dell’istruzione, della formazione e dell’attrazione dei talenti allo scopo di incentivare e migliorare le competenze tecnologiche dei lavoratori che nei prossimi 11 anni occuperanno una fetta sempre più importante del tempo lavorativo: +40% per le skill avanzate e +65% per quelle di base.

“Da un lato, l’offerta formativa per i giovani dovrà continuamente aggiornarsi per essere in linea con la domanda; dall’altro la riqualificazione professionale delle persone che già lavorano è cruciale per assicurare una transizione efficace nell’era digitale”, sottolinea il report.

Ad oggi l’Europa può contare su una comunità di ricercatori più ampia di quella di Usa e Cina, mentre il numero di programmatori software europei è cresciuto del 4-5% negli ultimi due anni e oggi raggiunge 5,7 milioni (negli USA sono 4,4 milioni). “Ciononostante, la concorrenza per i talenti tech è mondiale e l’Europa deve tornare a essere un polo di attrazione, richiamando i suoi cervelli in fuga e attraendo le migliori menti dalle altre parti del mondo”, continua lo studio.

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