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Iraq, Silvestri (Iai): “Guerra mondiale no, ma cresce il rischio di guerra nel M.O.”

INTERVISTA A STEFANO SILVESTRI, consigliere scientifico dello Iai e grande esperto di politica internazionale – “Trump voleva essere il presidente del disimpegno militare americano ma i fatti dicono il contrario. Nel conflitto con gli Usa chi ha più da perdere è l’Iran. Europa e Italia rischiano di essere tagliate fuori dalla Libia”

Iraq, Silvestri (Iai): “Guerra mondiale no, ma cresce il rischio di guerra nel M.O.”

“Una terza guerra mondiale? Non esageriamo. Siamo ancora lontani da quello scenario, e all’Iran non conviene andare oltre”. A commentare con FIRSTonline l’altissima tensione esplosa tra Usa e Iran dopo il raid americano all’aeroporto di Baghdad nel quale gli americani, su ordine di Trump, hanno ucciso il generale Suleimani, è il professor Stefano Silvestri, già presidente e oggi consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali (dal 2001 al 2013) nonchè consulente per la politica estera sotto diversi governi. “La domanda casomai è: rischiamo una guerra in Medio Oriente? Secondo me non ancora. Siamo in una fase di transizione e lo stallo potrebbe durare a lungo”.

Professore, sui media circola l’ipotesi di un grande conflitto mondiale dopo i fatti di Bagdad. Perché non è d’accordo con questa lettura?

“Secondo me non siamo ancora a quel punto. Se l’Iran, come credo, si concentrerà su Iraq, Siria e forse Libano, la situazione continuerà ad essere critica ma gestibile. I problemi seri arriverebbero solo in caso di azioni più significative di Teheran nel Golfo, come ad esempio il blocco della navigazione, ma sarebbe proprio l’Iran ad avere più da perdere”.

Perché?

“Perché è chiaro che ormai l’Iran dipende dalle esportazioni di petrolio, e non gli conviene innescare una guerra navale e aerea sulla principale rotta commerciale, che è il Golfo. Inoltre, si esporrebbe a risposte potenzialmente devastanti da parte di Usa, Arabia Saudita, Israele. Gli Stati Uniti non hanno intenzione di invadere l’Iran, ma potrebbero bombardare, quello sì”.

Perché il presidente americano Donald Trump ha fatto questa mossa?

“Si era creata una situazione simile a quella della crisi di Bengasi, in Libia, nel 2012, quando l’allora segretario di Stato Hillary Clinton fu accusata di aver sottovalutato i rischi di un attacco al consolato Usa, che poi effettivamente avvenne e portò all’uccisione del console. Trump ha giocato molto su quell’episodio nella campagna elettorale di tre anni fa, e non poteva permettersi che un caso simile si ripetesse all’ambasciata di Bagdad”.

Come usciranno gli Stati Uniti dal fronte di tensione che è divampato in Medio Oriente?

“Trump voleva essere il presidente del disimpegno militare, ma finora i fatti dicono il contrario: dalla scorsa primavera ha inviato ben 20.000 soldati in più in Medio Oriente. Si tratta di numeri ancora relativamente bassi, poco più di un presidio. La situazione secondo me è ancora di transizione e lo stallo potrebbe durare un bel po’. Ma poi si chiarirà, a seconda dei rapporti di forza che verranno fuori”.

E che vedono, sulla carta, l’Iran svantaggiato.

“Politicamente ed economicamente Teheran non ha la stessa forza degli Usa e di altri Paesi coinvolti nel risiko, come l’Arabia Saudita, ma può contare su una maggiore compattezza. L’Iran è un Paese molto nazionalista”.

Nel frattempo, non mancano le tensioni anche su un altro fronte, quello libico: c’è stato il colpo di mano del presidente turco Erdogan.

“La Turchia sta cercando di avere un ruolo importante nell’area, approfittando del disimpegno americano che effettivamente sta lasciando spazio alle forze locali. Erdogan vuole anche lasciare il segno nel mondo islamico: il suo partito è fortemente religioso, ideologicamente legato ai Fratelli Musulmani, che in Libia hanno come rivali Egitto e Arabia Saudita, che appoggiano il generale Haftar”.

Che cosa potrebbe accadere adesso?

“Non è da escludere una divisione della Libia in due, Tripolitania e Cirenaica, con sfere d’influenza sul modello siriano: Turchia da una parte, Russia e altri Paesi arabi dall’altra. Questo scenario taglierebbe fuori l’Europa e l’Italia, creandoci non pochi problemi soprattutto per le nostre aziende che estraggono petrolio e gas”.

Come dovrebbero reagire Italia ed Europa?

“L’Italia non credo che oggi abbia la capacità politica di condurre la partita da sola. E’ l’Europa che dovrebbe essere molto più presente, impegnandosi anche sul piano militare. Bruxelles non può lasciare che la frontiera meridionale del nostro continente sia di fatto controllata da Russia, Turchia, forse anche dalla Cina. Serve un presidio militare. In certi casi, basta anche dichiarare di essere pronti all’intervento militare”.

1 thoughts on “Iraq, Silvestri (Iai): “Guerra mondiale no, ma cresce il rischio di guerra nel M.O.”

  1. Non c’è sarà la terza guerra mondiale però una seconda Vietnam.
    Gli americani non usciranno salvi dal medio oriente dopo l atto terroristico del stupido trump.

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