Condividi

INTERVISTE DEL WEEKEND – Sapelli: “Meglio dividere la Libia in tre che fare la guerra”

INTERVISTA A GIULIO SAPELLI, ordinario di Storia dell’economia all’Università Statale di Milano – “La divisione della Libia in tre parti è l’unica soluzione per evitare la guerra, che è una trappola per noi” – Francia e Gran Bretagna non vogliono che l’Italia si rafforzi nel Nordafrica – I piani militari, le soluzioni politico-diplomatiche e i riflessi sul petrolio: il ruolo di pace dell’Eni

INTERVISTE DEL WEEKEND – Sapelli: “Meglio dividere la Libia in tre che fare la guerra”

“La tripartizione della Libia? E’ l’unica strada possibile per evitare una guerra che avrebbe conseguenze disastrose soprattutto per l’Italia”. Giulio Sapelli, economista della Statale di Milano ed esperto di questioni libiche, si schiera a favore della proposta circolata in questi giorni sulla stampa di una divisione in tre parti dello Stato nordafricano: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Il miglior “piano B” possibile, visto che il governo di unità nazionale non va in porto e cresce la minaccia terroristica. “Si torna alla situazione dell’Impero Ottomano – spiega Sapelli -, prima della formazione dello Stato di Israele che ha rotto gli equilibri nel mondo musulmano aprendo la strada ai colpi di stato”.

Oggi la Libia di governi ne ha ben due: quello militare di Tripoli, guidato da Alba Libica che fa capo ai Fratelli Musulmani e dunque legato alla Turchia (che lo finanzia), e quello di Tobruk, in buona parte democraticamente eletto e riconosciuto dalla comunità internazionale e dall’Egitto, che sta provando senza successo a formare un governo di unità nazionale per arginare i focolai dell’Isis, a sua volta sempre più deciso a trasformare la Libia nel faro jihadista in Africa. “Il lavoro diplomatico italiano è stato molto buono, così come lo fu ai tempi quello di Silvio Berlusconi con Gheddafi, che infatti infastidì la business community che lo fece fuori. Sta accadendo anche ora con l’intervento di Francia e Regno Unito, che non vogliono una presenza forte dell’Italia in Nordafrica”.

L’intervento francese è stato in realtà ridimensionato ad “azioni segrete e mirate”, come quelle che è intenzionato a svolgere lo stesso esercito italiano, ma il punto secondo Sapelli è proprio questo: “Se un’azione è segreta deve rimanere segreta, si vede che qualcuno aveva interesse a farla uscire su Le Monde”. L’azione militare, secondo molti, non farebbe altro che rafforzare il terrorismo, contribuendo a far fallire il piano A, quello dell’intesa diplomatica per il quale l’Italia si è spesa molto e bene, e rendendo la situazione ancora più complicata. “In passato – ha detto il ministro della Difesa Roberta Pinotti – le accelerazioni unilaterali non hanno aiutato la Libia”. “Francia e Inghilterra – spiega Sapelli – stanno scoprendo le carte perché una guerra indebolirebbe il ruolo del nostro Paese, che in Libia è da sempre dominante anche per via della grande esposizione sul mercato energetico di un’azienda come Eni, che si è sempre spesa in prima linea per la pace, costituendo un elemento di stabilità”.

Presenza che i rivali europei vorrebbero dunque osteggiare, andando però – secondo Sapelli – contro i loro stessi interessi. “Una guerra danneggerebbe tutte le aziende presenti, questo è ovvio. Ma Francia e Uk sono state costrette a mostrare i muscoli anche in risposta alla risoluta azione della Russia in Siria. Putin in Siria ha fatto bene ma ha così spinto le forze occidentali a fare lo stesso in Libia per non essere da meno”. Del resto il modello tripartito è lo stesso che si sta proponendo in Siria: “Dove però c’è l’incognita curda: bisognerebbe riconoscere questa minoranza ma il presidente turco Erdogan non lo permetterà mai”. Nel risiko di questa situazione pericolosamente instabile ci sono anche le pedine di Egitto e Stati Uniti. All’Egitto interessa la pace, soprattutto per espiantare l’Isis da Sirte e arginare le milizie tripoline di Fratelli Musulmani, considerati troppo oltranzisti. “Mi viene da pensare che la terribile vicenda di Giulio Regeni non sia un caso: è un attacco ad al presidente al-Sisi per la sua linea comune con l’Italia”.

Gli Stati Uniti invece sono al momento defilati, come ha sottolineato anche Angelo Panebianco nel contestato intervento sul Corriere della Sera, parlando dell’Italia orfana di un’America “debole, ondeggiante e boccheggiante” sul versante della lotta al terrorismo. “E’ evidente che gli Stati Uniti non hanno un piano definito. Bene l’accordo di Sigonella per i droni, ma ora Obama non può fare nulla perché siamo sotto elezioni”. Se ne riparlerà il prossimo inverno col nuovo presidente: al momento lo scontro più probabile sembra quello tra Donald Trump e Hillary Clinton. “Trump è pericoloso ma alla fine, proprio perché populista, potrebbe fare scelte conservative. Anche perché l’America – per il momento – è ancora autosufficiente con lo shale oil e il tight oil. Paradossalmente preoccupa di più la candidata democratica, che già in passato in politica internazionale ha fatto disastri: potrebbe portarsi dietro i neocon e la loro politica interventista”.

La comunità internazionale è dunque più che mai spaccata, ma la soluzione delle tre aree sarebbe ben più di un semplice ripiego. Rispetterebbe anzi l’animo profondamente tribale di un Paese che è stato unito solo quando ha saputo riconoscere questo aspetto, senza forzature sui modelli occidentali. “Gheddafi aveva capito questo, ha lasciato che il Paese rimanesse un aggregato di tribù senza toccarne gli equilibri. Questa è stata una specificità libica rispetto agli altri Paesi nordafricani, che hanno conosciuto democrazie nella maggior parte dei casi poi instabili. Gheddafi disse no alla democrazia importata, costruendo grazie al petrolio un relativo welfare”.

Commenta