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Intelligenza umana ed intelligenza artificiale: simbiosi o conflitto?

Secondo il fondatore di Tesla Elon Musk, si va verso la comparsa di una Superintelligenza artificiale, che rischierebbe di soppiantare gli esseri umani – La soluzione possibile è quella di avvicinarci il più possibile alle prestazioni della macchine, divenendo una sorta di cyborg, un uomo-robot

La visione di Elon Musk

Verso la singolarità tecnologica?

Accanto alle problematiche relative all’emergere di una Superintelligenza e l’eventuale manifestarsi della Singolarità, sono presenti altri temi, ugualmente pregnanti, che interessano le trasformazioni profonde che comporterà lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Trasformazioni che potrebbero interessarci molto da vicino, financo da un punto di vista biologico. Proseguo avvalendomi di Elon Musk e della sua visione del prossimo futuro che ci attende. Musk ha esposto bene la sua visione su questo tema al World Government Summit del 2017 a Dubai. La conversazione con Mohammad AlGergawi è disponibile anche su YouTube.

La conclusione di Musk è la seguente: “Quindi, col tempo credo che probabilmente vedremo una fusione tra intelligenza biologica e intelligenza digitale”.

Tempo addietro nel corso di un’intervista in compagnia dell’astrofisico Neil deGrasse Tyson, Musk aveva dichiarato che la comparsa di una “Superintelligenza” ci esporrebbe al rischio di essere relegati al ruolo di animali domestici. Tyson, da parte sua, si era spinto sino ad ipotizzare che un’IA evoluta potrebbe non solo addomesticarci, bensì persino decidere di allevare gli umani docili ed eliminare i violenti.

Analoghi timori erano stati espressi da Steve Wozniak, co-fondatore di Apple: «I computer soppianteranno gli esseri umani, non c’è dubbio … il futuro è preoccupante e terribile per la gente. Se costruiamo questi dispositivi affinché si occupino di ogni cosa al posto nostro, prima o poi penseranno più velocemente di noi e si sbarazzeranno dei lenti umani per gestire le aziende in modo più efficiente. … Saremo dei? Saremo gli animali domestici della famiglia? O saremo calpestati come formiche? Non lo so».

Musk non manca di indicare anche una possibile soluzione. Un’eventualità a suo dire ineludibile: compiere un passo nella direzione delle macchine, approssimarsi quanto più possibile alle loro prestazioni, divenire, in una parola, una sorta di cyborg. In estrema sintesi, questa evenienza ci viene presentata come la nostra migliore opportunità, forse l’unica, per tentare di rimanere disperatamente competitivi!

La limitazione di banda dell’intelligenza umana

Senza dover attendere il confronto con un’eventuale Superintelligenza, nel raffronto con le macchine sin d’ora arranchiamo. Secondo il milionario di origine sudafricana, il nostro cervello possiede ancora una buona capacità di elaborazione e immagazzinamento dei dati, tuttavia il collo di bottiglia rispetto ai dispositivi digitali risiederebbe nella «… velocità della connessione tra il vostro cervello e il digitale, l’estensione digitale di voi stessi, nell’output in particolare». Siamo «… limitati quanto ad ampiezza di banda [bandwidth-limited]». Attualmente un computer è in grado di comunicare ad una velocità di mille miliardi di bit al secondo, noi miseri umani, utilizzando una tastiera o il display del nostro smartphone, raggiungiamo all’incirca i 10 bit al secondo.

Il CEO di Tesla ne aveva discusso in un’intervista con Sam Altman lo scorso anno: «Siamo estremamente limitati dalla larghezza di banda dell’interfaccia tra la corteccia e l’aspetto digitale terziario di noi stessi», pertanto, «… ritengo che possiamo fonderci efficacemente con la intelligenza artificiale, in modo da migliorare il collegamento neurale tra la corteccia e l’estensione digitale di voi stessi che, come ho detto, esiste già, semplicemente ha un problema di ampiezza di banda. E poi di fatto diventereste un simbionte intelligenza artificiale-umano». Una simbiosi con le macchine, dunque, che avrebbe anche il pregio, secondo Musk, di democratizzare l’intelligenza artificiale e prevenirne un uso distorto o pericoloso, poiché «… saremmo noi collettivamente l’IA». E aggiunge:

“Dunque, avere un’interfaccia ad ampia larghezza di banda per il cervello, credo possa essere qualcosa che ci aiuti a raggiungere una simbiosi tra l’intelligenza umana e quella della macchina”.

Musk non si limita a suggerire una possibile soluzione al pericolo di una IA eccessivamente potente, piuttosto intende sollevare e rinfrancare il pubblico: lui ci sta addirittura lavorando! Nel giugno del 2016 l’imprenditore sudafricano in un intervento alla Recode’s Code Conference aveva avuto modo di affrontare nuovamente le problematiche inerenti l’intelligenza artificiale. Infine vi aveva fatto seguire un tweet che aveva riscosso una vasta eco: «La creazione di un laccio neurale [neural lace] è ciò che conta davvero per l’umanità alfine di raggiungere una simbiosi con le macchine».

Il neural lace nella visione di Musk si configura come una sorta di «… strato di I.A. (nel vostro cervello), che possa lavorare bene e in maniera simbiotica con voi». Questo impianto meccanico dovrebbe poi comunicare con la corteccia celebrale. «Proprio come la vostra corteccia lavora in simbiosi con il sistema limbico, il vostro terzo strato digitale potrebbe lavorare in simbiosi con voi».

L’interfaccia cerebrale

Alcuni esperimenti in questa direzione sono stati condotti sui topi. Una griglia di microcircuiti flessibili dello spessore di pochi millimetri, arrotolata a mo’ di rete per permetterle di passare all’interno di un ago, è stata iniettata per mezzo di una siringa nel corpo dei roditori. La rete, apertasi una volta all’interno dell’organismo, si è poi insediata nel cervello. Costruiti sul modello delle strutture tridimensionali utilizzate dagli ingegneri biomedici per far sviluppare i tessuti al di fuori del corpo, secondo quanto risultato dalle autopsie, i “cavi sintetici” hanno intessuto delle connessioni salde con la materia celebrale, apparentemente con minimi effetti negativi. «Stiamo cercando di attenuare la distinzione tra circuiti elettronici e circuiti neurali», ha dichiarato Charles Lieber dell’università di Harvard, coautore dello studio apparso su Nature Nanotechnology nel giugno 2015. Dunque ottimi risultati quanto a compatibilità e flessibilità d’utilizzo.

Secondo Jacob Robinson, Rice University, «Ciò potrebbe costituire un qualche progresso nella direzione di un’interfaccia cerebrale per gli utenti. … Collegare il computer al vostro cervello diviene molto più accettabile, se tutto ciò che richiede è iniettare qualcosa».

Sebbene una tale soluzione rappresenti un grosso passo in avanti rispetto ad altre procedure ben più invasive, alfine di renderla adeguata ad un utilizzo sull’uomo devono essere superate alcune problematiche sinora riscontrate, legate alla longevità e alla stabilità dei dispositivi. «Non intendiamo mettere il carro davanti ai buoi, nondimeno pensiamo di poter davvero rivoluzionare la nostra capacità di interfacciarsi con il cervello», sostiene Lieber. E ancora:

“Penso che vi sia una strada possibile … realizzare una sorta di fusione tra l’intelligenza biologica e l’intelligenza della macchina … in qualche misura siamo già dei cyborg”.

Ray Kurzweil, inventore, futurologo, direttore del reparto di Ingegneria presso Google, alla recente SXSW Conference di Austin, Texas, ha rilanciato, rispetto alla previsione di Masayoshi Son, in merito alla data probabile della Singolarità: tempo dodici anni e diverrà realtà. A suo dire il processo è oramai in atto: «È qui, in parte, e sta iniziando ad accelerare».

Kurzweil appartiene al partito degli ottimisti. L’evoluzione dell’IA, l’avvento (per lui certo) della Singolarità, non rappresenteranno una catastrofe, bensì un’opportunità preziosa per il progresso dell’umanità. «Ciò che già sta accadendo è che [le macchine] ci stanno potenziando». Egli liquida poi i timori legati ad una IA “Superintelligente” destinata a prendere il sopravvento e soggiogare l’uomo, confinandoli nel dominio della fantascienza: «Tutto ciò non è realistico … Nel mondo non abbiamo una o due IA. Oggi ne abbiamo miliardi». Nella sua visione la strada è segnata: «Tutto ciò porta a computer che possiedono un’intelligenza umana, ad inserirli all’interno del nostro cervello, a collegarli al cloud, espandendo ciò che siamo. Oggi, questo non è solamente uno scenario futuro».

Gli effetti per l’umanità saranno sorprendenti: «Acquisiremo una porzione maggiore di neocorteccia cerebrale, siamo destinati a diventare più divertenti, a migliorare nella musica. Saremo più sexy … Siamo davvero prossimi ad incarnare tutte quelle cose che apprezziamo negli esseri umani ad un livello superiore». E le ricadute interesseranno e beneficeranno tutti: «Saremo in grado di soddisfare i bisogni fisici di tutti gli esseri umani. Espanderemo le nostre menti ed amplificheremo quelle qualità artistiche che apprezziamo».

A breve, un paio di lustri o poco più secondo Kurzweil, la nostra mente sarà nel cloud e la fusione con dispositivi intelligenti apparirà banale quotidianità. Perché dunque avere paura delle macchine? «Ci stanno rendendo più intelligenti. Non possono essere ancora all’interno del nostro corpo, ma, dagli anni ’30 del 2000, collegheremo la neocorteccia, la parte del nostro cervello che genera il pensiero, al cloud».

L’evoluzione tecnologica soppianterà dunque quella biologica. Tuttavia, almeno per ora, la nostra essenza umana appare salva. L’ibridazione con le macchine rinviata, anche se per poco. Ma è davvero così? Forse si, forse no. Dipende da come la intendiamo. Musk nel suo argomentare parte da un assunto invero arduo da confutare: in parte siamo già dei cyborg.

«Pensate agli strumenti digitali che possedete, il telefono, i computer, le applicazioni che utilizzate, come il fatto … che si può porre una domanda ed ottenere immediatamente una risposta, con Google».

Lo strato digitale terziario

L’imprenditore sudafricano definisce questa dimensione uno “strato digitale terziario” (digital tertiary layer). Una sorta di terzo livello evolutivo ulteriore, a fronte delle due componenti che danno forma al nostro cervello, lavorando in perfetta sintonia. Noi esseri umani, infatti, alla parte arcaica, primitiva del cervello, quella limbica, localizzata nell’ippocampo, che domina la componente emotiva, istintuale, eredità dei nostri antenati più remoti, ne abbiniamo una più recente, quella “cognitiva”, sviluppatasi con il linguaggio e la cultura, che si trova nella neo-corteccia. Lo “strato terziario” artificiale, digitale, nella visione di Musk, andrebbe a combinarsi ed operare in simbiosi con gli altri due costitutivi organici del nostro cervello. «Dunque avete già uno strato digitale terziario [digital tertiary layer]. Dico terziario perché potete pensare al sistema limbico, una sorta di cervello animale o cervello primordiale e poi la corteccia, una sorta di parte del cervello che pensa e pianifica, e quindi il vostro io digitale in qualità di terzo livello».

Attualmente il nostro io digitale prende forma nei social media, risiede nelle e-mail, nei post e nelle foto che ogni giorno inviamo, pubblichiamo e scambiamo. Assume i contorni di smartphone, tablet o altri dispositivi dai quali non ci separiamo mai e ai quali difficilmente potremmo rinunciare, o almeno così riteniamo. La materia digitale appare sempre più integrata, addirittura compenetrata alle nostre esistenze, persino alla componente biologica. Noi o parti di noi, informazioni di varia natura, dati più o meno personali, istanti della nostra vita, emozioni, stati d’animo, si aggirano già per la rete o si librano leggeri nel cloud.

E il nostro io digitale ha già travalicato i limiti fisici e biologici impostici, sino a trascendere il confine ultimo: quello della morte. «… qualora qualcuno morisse il [suo] fantasma digitale sarebbe ancora in giro. Sarebbe costituito da tutte le mail e le foto, i post sui social media. Tutto ciò continuerebbe a vivere, quand’anche qualcuno fosse morto».

La natura intrinseca del nostro alterego in codice binario, infatti, possiede una dimensione che tuttora ci rimane preclusa. Una dimensione che consente anche a noi, in attesa della definitiva liberazione dalle costrizioni imposteci dalla fisica, di godere sin d’ora, di un assaggio delle magnifiche sorti e progressive che verranno: pregustare, in una qualche misura, una piccola porzione di immortalità. Anche se, come rileva Musk, in qualità di spettri. Fantasmi digitali, ovviamente. Un breve purgatorio di una dozzina d’anni, a sentire Kurzweil. Nulla, di fronte all’eternità!

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