Non bastavano i licenziamenti di massa, il ritiro dall’Europa e i dubbi sul futuro dei suoi chip, Intel finisce di nuovo nell’occhio del ciclone. Stavolta, però, il colpo arriva dall’alto, direttamente dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che su Truth Social ha attaccato senza mezzi termini il nuovo amministratore delegato della società, Lip-Bu Tan: “Il CEO di INTEL è altamente CONFLITTUALE e deve dimettersi immediatamente. Non c’è altra soluzione a questo problema.”
Un post che ha scatenato un’ondata ribassista: il titolo Intel perde il 3,2% nel pre-market del Nasdaq (e si prepara ad aprire in ribasso), ampliando ulteriormente il -30% registrato su base annua.
Trump non ha specificato la natura esatta del conflitto di interessi, ma la sua dichiarazione si innesta su una polemica già avviata nei giorni scorsi dal senatore repubblicano Tom Cotton, che ha chiesto spiegazioni al consiglio d’amministrazione del colosso dei chip in merito ai legami di Tan con il settore tecnologico cinese.
Tan nel mirino: investimenti in Cina e un passato ingombrante
Lip-Bu Tan è alla guida di Intel da marzo, dopo l’addio di Pat Gelsinger. Ma già prima della sua nomina, il suo nome era noto per l’intensa attività d’investimento in Cina, anche tramite la sua società di venture capital con base a San Francisco. Secondo Reuters, Tan avrebbe destinato almeno 200 milioni di dollari in oltre cento aziende cinesi di semiconduttori, incluse alcune collegate all’apparato militare di Pechino.
Inoltre, Cadence Design Systems – società che Tan ha guidato fino al 2021 – ha ammesso lo scorso mese di aver violato le norme statunitensi sull’export, vendendo software per la progettazione di chip a un’università cinese legata all’Esercito Popolare di Liberazione.
“Le associazioni di Tan sollevano seri dubbi sulla capacità di Intel di adempiere ai suoi obblighi in tema di sicurezza nazionale”, ha scritto Cotton in una lettera ufficiale al presidente del cda Intel, Frank Yeary.
Tagli, fuga dall’Europa e crisi identitaria: la lunga discesa di Intel
Il ciclone Trump si abbatte su una Intel già in forte difficoltà. Lo scorso luglio il gruppo ha annunciato un drastico piano di ristrutturazione con 25 mila licenziamenti, pari al 25% della forza lavoro e ha abbandonato definitivamente i progetti industriali in Germania e Polonia, cancellando mega-fabbriche da miliardi di dollari, nonostante i generosi sussidi promessi da Berlino. Un arretramento senza precedenti in Europa, che ha colpito anche il sito in Costa Rica (ridimensionato), mentre le operazioni vengono trasferite in Vietnam e Malesia.
“Stiamo prendendo decisioni difficili ma necessarie”, aveva scritto Tan in un memo ai dipendenti. La mossa era motivata dai conti in rosso: 2,9 miliardi di dollari di perdite nel secondo trimestre, in larga parte dovute ai costi della ristrutturazione. Eppure, non tutto è da buttare. I ricavi da 12,9 miliardi hanno battuto le stime di Wall Street (11,9), lasciando aperto un margine di fiducia sul terzo trimestre.
Intel, futuro sempre più in bilico?
Il futuro di Intel si gioca sull’intelligenza artificiale e sulla capacità di tornare competitiva nella produzione di chip avanzati. Ma per farlo, serve una rivoluzione interna. Tan lo sa, e ha messo in pausa tutti i progetti non redditizi, concentrandosi sulla nuova tecnologia produttiva “18A”, che dovrebbe debuttare entro fine anno. Il nodo successivo, il 14A, sarà sviluppato solo in presenza di un cliente esterno significativo.
Ma il contesto non è favorevole. Intel vale oggi meno di 100 miliardi di dollari, contro i 4.240 miliardi di Nvidia e la supremazia manifatturiera della taiwanese Tsmc. E se è vero che resta l’unica azienda americana in grado di produrre semiconduttori avanzati, è altrettanto vero che la sua credibilità è ora sotto tiro. Le parole di Trump hanno aperto una crepa che potrebbe allargarsi. Se il ceo viene percepito come un rischio per la sicurezza nazionale, anche i miliardi di dollari in sussidi pubblici ricevuti dall’azienda potrebbero essere rimessi in discussione.
Intel non ha ancora replicato ufficialmente né alle accuse del presidente né alle pressioni del senatore Tom Cotton. Ma l’effetto è già deflagrato. Il caso Tan rischia di diventare un nuovo fronte nella guerra tecnologica tra Stati Uniti e Cina, in un momento in cui la Casa Bianca minaccia nuovi dazi fino al 100% sull’import high-tech.
Lip-Bu Tan cadrà sotto il peso del sospetto o resisterà alla tempesta? La risposta arriverà nei prossimi giorni. Ma per Intel, ora la crisi non è più solo industriale, è anche politica.