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Industria, non bonus ma “missionari tecnologici” contro la crisi

Un’inedita ricerca dell’Università La Sapienza di Roma, coordinata dal professor Riccardo Gallo, di cui pubblichiamo le conclusioni, ha scandagliato in profondità la crisi di produttività e competitività dell’industria italiana proponendo al Governo idee innovative finalizzate al trasferimento di tecnologie alle piccole e medie imprese grazie al digitale: ecco quali – Tutta la ricerca è pubblicata nel volume “Industria, Italia: ce la faremo se saremo intraprendenti” edito dalla Sapienza

Industria, non bonus ma “missionari tecnologici” contro la crisi

Dopo la crisi globale del 2008-2009, l’industria italiana ha impiegato otto anni per tornare nel 2016 ai livelli del 2007 come produttività del lavoro. Ha fatto di meglio per quanto riguarda la quota di vendite all’estero; purtroppo non ci è mai più tornata per produzione industriale e utilizzo della capacità produttiva. Ha costruito questa risposta con le proprie forze, con innovazioni di prodotto, processo, design, organizzazione e marketing, con incentivi pubblici ma senza una guida di politica industriale. Industria 4.0 fu solo annunciata nel 2017 e mai attuata nella sua ispirazione autentica.

Anche dopo la crisi petrolifera mondiale di novembre 1973, quando si parlo di fine della golden age, l’industria italiana ci mise otto anni per imboccare nel 1981 la via della produttività e dell’innovazione tecnologica (la legge n. 46 è di febbraio 1982). Sembrerebbe dunque che otto anni sia il tempo di risposta connaturato e che la ricetta sia sempre la stessa: innovazione e produttività. Se stavolta non andrà peggio, l’industria italiana supererà la caduta dei mesi scorsi solo nel 2028.

Tra il 2008 e il 2019 i livelli occupazionali sono stati tutto sommato salvati. A pagare un prezzo salato è stato però il lavoro, che è ripiegato su forme di bassa qualificazione ed è sottopagato rispetto alla media europea. Fanno eccezione Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. La caduta più forte è di Sicilia, Calabria, Puglia, Sardegna e Campania (capitolo 25).

La risposta tra il 2008 e il 2019 è stata articolata in misura e con strategie diverse nei vari settori: c’è chi ha recuperato prima (alimentare, chimica, elettrodomestici, elettronica, farmaceutica e cosmetica, meccanica), chi dopo ma meglio (costruzione mezzi di trasporto, gomma, industria dell’arredamento, metallurgia, sistema moda), chi invece mai (editoria e stampa, industria del petrolio).

ln soli due mesi del 2020, da febbraio ad aprile, l’indice della produzione ha perso oltre 50 punti percentuali (da 104,4 a 60,4). La caduta ha avuto un’ampiezza quasi doppia e un’intensita 6 volte quella dell’ultima volta (31 punti in 14 mesi, tra febbraio 2008 e aprile 2009). La caduta è stata esigua in alcuni settori (alimentare, farmaceutica), quasi 100% in altri (automotive). Durante la chiusura delle fabbriche, grazie alla cassa integrazione, non c’è stata l’erosione di liquidità tanto conclamata. l bilanci delle società quotate non hanno sofferto troppo. A giugno 2020, la produzione è risalita a 96,0. Nel secondo semestre, la domanda sia pur in misura esigua riprenderà, la fiducia delle imprese sta risalendo, ma le perdite dell’anno saranno comunque pesanti.

Emergono tre differenze di fondo rispetto al 2008-2009. Questa crisi si innesta su cambiamenti profondi, di cui si avvertivano i segnali già a fine 2019. Si parlava di fine della globalization age, si percepiva che per le singole economie nazionali non sarebbe stato più possibile confidare nelle esportazioni come panacea per compensare carenze e squilibri interni. La brusca frenata del mondo ha drammatizzato le cose. Inoltre, in Italia la produttività del lavoro è più bassa non solo perché la tecnologia digitale sta appena arrivando, mentre altri paesi l’hanno già recepita e sono progrediti, ma soprattutto perché (questa è la tesi di due economisti) da noi il merito non è parimenti riconosciuto. È cambiato il modo di vivere. Il lockdown sembrava una cosa temporanea, invece i costumi si sono rapidamente stravolti: il dove lavorare e studiare, come alimentarsi, cosa indossare, come curarsi, anzi come non ammalarsi, anzi come non far ammalare il mondo, come rispettare il territorio e l’ambiente, anzi come prevenirne i guasti, come svagarsi, che tv guardare, cosa leggere, come spostarsi e per andare dove. Finora è mancata una risposta complessiva, una nuova visione d’insieme.

L’incertezza è aumentata all’inverosimile. Molti imprenditori aspettano, non altrettanti s’avventurano. ln Italia è diminuito il numero delle grandi imprese. Le piccole e le micro ormai sono la stragrande maggioranza, non hanno una tecnostruttura per fare ricerca e innovazione, quindi hanno bisogno di un trasferimento tecnologico per meglio beneficiare delle filiere prioritarie e trasversali (chimica, nuovi materiali, biotecnologie, microelettronica, robotica, intelligenza artificiale).

Guardando al domani, questo volume supera la classificazione del- l’industria per settori merceologici, parte da una visione d’insieme e la sviluppa. Ne emerge un intreccio naturale, non programmato, inestricabile tra lavorazioni tradizionali, filiere e tecnologie digitali.

Governare il territorio significa curarlo in via preventiva, riducendo il rischio di eventi naturali. Per rischio si intende l’incrocio tra vulnerabilità delle costruzioni (la cui messa in sicurezza coinvolgerebbe 23 milioni di cittadini e coste- rebbe 93 miliardi) e pericolosità del sito. Oggi è possibile osservare territorio e atmosfera, acquisire dati da sensore remoto (satelliti, radar meteorologici, reti di monitoraggio a terra), trasmetterli ed elaborarli con una modellistica numerica, preannunciare con tempestività eventi estremi di carattere idrometeorologico.

Governare il territorio significa risanare le infrastrutture, i cui materiali sono deteriorati perché l’utilizzo quotidiano è molto più gravoso di quanto previsto nel progetto. Nuove tecnologie di monitoraggio strutturale e algoritmi predittivi di intelligenza artificiale o basati su reti neurali consentono di monitorare le opere, diagnosticare i problemi, intervenire in modo mirato e preventivo. La durata dei materiali diminuisce con le emissioni gassose provocate dal trasporto. Un domani si potranno produrre calcestruzzi durevoli e poco permeabili agli agenti esterni .

La filiera estesa dell’acqua include l’ammodernamento delle infrastrutture di raccolta e distribuzione, la valorizzazione dei fanghi di depurazione come fonte di energia, l’installazione di bacini di raccolta dell’acqua piovana per usi industriali, un sistema di monitoraggio della qualita dell’acqua depurata e reimmessa in circolo (capitolo 21).

Nell’arredo, il quesito è: sarà la casa a ospitare l’ibrido domestico—lavorativo, o gli uffici si plasmeranno a home office, centri di aggregazione in funzione di circoscritte necessità? Risposta: vinceranno le aziende che promuoveranno l’home office, trasformando gli uffici a centrali di incontri top, con miglior produttività grazie a: responsabilizzazione del personale, cultura dei sistemi digitali, integrazione delle tecnologie.

I consumatori hanno imparato quanto lo stile di vita e la dieta siano importanti per ridurre l’impatto di un contagio. Per loro l’industria alimentare ha varato una campagna di comunicazione e ne indirizza gli acquisti. Cio migliora la remuneratività di molti generi alimentari. L’iniziativa Farm to Fork vuole dimezzare pesticidi, fertilizzanti, antibiotici in agricoltura e acquacoltura entro il 2030, nonché dedicare un quarto delle terre agricole al biologico .

I pazienti prima compravano i medicinali nelle farmacie vicine al lavoro, oggi in quelle sotto casa dove, spinti dall’isolamento, tendono a consultare il farmacista con più assiduità. Anche i ”no vax” vogliono sapere di più sui vaccini. L’intelligenza artificiale simula strutture di molecole nuove. Diverrà possibile l’uso di farmaci attraverso dispositivi che, una volta ingeriti, trasmetteranno informazioni sulle molecole a un sistema indossabile (weamble system). I dati saranno scaricabili sul pc del medico curante. Nelle emergenze, la logistica con modelli blockchain potrà portare farmaci al paziente in tempi record.

Nel settore della moda, la materia prima degli articoli in pelle può essere recuperata da scarti alimentari. ln futuro, nella concia, il cromo sarà sostituito da sostanze naturali, per esempio dalle acque di vegetazione olearia, il cui smaltimento a sua volta è un grosso problema ambientale nel Mediterraneo. Un’impresa catanese già produce tessuti per la moda sosteni- bile da sottoprodotti della spremitura delle arance. Si tratta di un tessuto di alta qualità nel fashion brand.

Venuti meno Olimpiadi e Campionato europeo di calcio, la raccolta pubblicitaria nel 2020 crolla. Aumenta la pressione di Netflix e Amazon. Nel 2021 piattaforma di visione privilegiata sarà la tv online. Quella tradizionale entrerà in crisi ma sarà ancora centrale. L’industria tv completerà la transizione verso il digitale, ma dovrà cambiare i contenuti. Si cercheranno coproduzioni europee come stanno tentando Sky Italia e Mediaset. Le pay-TV investiranno di più nei servizi 0n demand tecnologizzati .

La mobilità sostenibile garantisce spostamento, accesso, comunicazione, commercio, relazioni, senza sacrificare valori umani e ambientali. Quattro sono le linee strategiche: a) veicoli verdi, b) automazione e connessione in rete dei mezzi, c) infrastrutture, d) servizi. Si teme che la crisi dell’automo- tive riduca gli investimenti nella elettrificazione, sia quelli nell’industria dei costruttori, sia quelli nelle infrastrutture pubbliche. La crisi penalizza anche l’industria metallurgica, che beneficia però di molte innovazioni (automazione e digitalizzazione di impianti, additiva manufacturing, powder bed fusion).

Gli investimenti in infrastrutture per i vettori energetici riguardano l’elettricità ma anche l’idrogeno, e includono stazioni di ricarica rapida lungo le autostrade e stazioni di rifornimento a idrogeno. Produzione e trasporto di idrogeno sono già collaudati, quindi sarebbe facile industrializzare l’innovazione ricombinante nell’energia e nella mobilità. I biocarburanti di seconda e terza generazione, prodotti da biomasse residuali o rifiuti, sarebbero un’alternativa imme- diata all’elettrico, anche perché integrabili con la logistica e le infrastrutture già presenti. Permetterebbero lo sfruttamento di sistemi propulsivi ben collaudati, talvolta di difficile sostituzione, per esempio gli aerei.

La logistica svolgerà un ruolo centrale nella mobilità sosteni- bile. Si è già visto come in questi anni il successo sia andato a chi ha saputo coniugare flussi materiali e flussi di dati. Un domani, si potranno tagliare i costi integrando tecnologie di rete, automazione di magazzini, guida autonoma dei mezzi.

Nel ranking mondiale 2020 della competitività l’Italia si trova al 44° posto su 63 paesi, malissimo .Viene dopo Kazakhstan, Lettonia, Indonesia, Polonia, Cile, Portogallo, Spagna e Slovenia (IMD, Losanna). Con la quarta rivoluzione industriale, il digitale è condizione necessaria anche se non sufficiente affinché il sistema produttivo progredisca. Un paese può anche migliorare su tanti versanti, ma oggi senza il digitale nemmeno comincia. Ebbene, nel 2019 nel ranking della competitività digitale l’ltalia era al 4]° posto. Pesava la scuola, al 57° posto su 63 paesi.

Secondo altre fonti (DESI, 2020), per la diffusione della banda larga l’Italia è al l7° posto tra gli stati Ue, ha infrastrutture inferiori alla media e le paga di piu. E indietro anche sulla copertura della rete fissa ad altissima capacita (VHCN) con un 30%. Invece, è ben predisposta all’avvento del 5G (asse- gnazione delle frequenze). A causa dei limiti culturali degli utenti, scarsità di competenze nella PA, farraginosità delle procedure, l’Italia è ultima in classifica nella sottomissione di form tramite web applications. Nell’integrazione delle tecnologie digitali l’ltalia non si posiziona bene (score poco sopra 30, molto sotto 43 di media europea). Non siamo bravi neanche nei servizi di cloud computing, e peggio per capacità delle im- prese di sviluppare soluzioni per big dutu. Terz’ultimi nello sviluppo dell’e-commerce. Ci posizioniamo quart’ultimi nel- le conoscenze software di base. Anche Cipro va meglio. Una tragedia.

L’Italia emerge priva di conoscenze e di competenze, un paese “senza sapere”. Tra quelli OCSE, il nostro paese registra la terza quota più elevata di giovani che non lavora, non studia e non frequenta un corso di formazione (NEET). Per anni si è operato un disinvestimento in formazione e ricerca. Il 57° posto della scuola italiana nel ranking mondiale di 63 paesi, la scarsità di competenze digitali, la mancanza di seria selezione dei docenti nella scuola, lo scarso riconoscimento del merito nel pubblico e nel privato sono conseguenza dei bassi investimenti nell’istruzione pubblica e della scarsa attenzione a chi proviene da un ambiente socio-economico svantaggiato. Eppure 52 anni fa, la liberalizzazione degli accessi all’università e l’istituzione di insediamenti universitari in centri di provincia avevano contribuito a superare disuguaglianze sociali. Peccato, perché i ricercatori italiani sono competitivi. ll 15% dei progetti finanziati dallo European Research Council è stato presentato da ricercatori italiani (46 su 312): un ottimo risultato, se si considera che i tedeschi ci superano solo di due unità e che francesi e inglesi sono molto più indietro.


L’industria è uno dei motori del Paese. In un’economia aperta, non autarchica, la politica industriale è quella che cura le condizioni generali di competitività affinché le imprese possano usufruirne per cimentarsi. Poiché le risorse sono poche, occorre trovare il “bandolo della matassa” dei suoi problemi. Se, per tacitare l’industria, la si indennizza con bonus per ogni categoria di istanze, i nodi restano tutti.

Questo lavoro è stato intrapreso ad aprile 2020 da un gruppo di 23 docenti di 6 facolta della Sapienza, con un approccio positivistico per leggere i dati e discuterne. Il gruppo in partenza era inconsapevole che l’obiettivo sarebbe diventato trovare il bandolo della matassa. Alla fine questo è stato identificato nell’esigenza pressante che le imprese industriali medie e piccole accedano alle svariate tecnologie prioritarie, di cui il digitale è collante e trasferitore, e lo facciano nel loro interesse per progredire, competere e fare profitti, facendone godere con equità soci, lavoratori, creditori e stakeholders.

Nel corso degli anni, il trasferimento tecnologico è stato fatto da innumerevoli soggetti su tutto il territorio nazionale, con risultati interessanti, ma magri a guardare i ranking. Ora il digitale si presenta come il nuovo toccasana, poco costoso, immediato, fruibile da tutti. Le piccole imprese non hanno tecnostruttura né sufficiente conoscenza del tema. Un suggerimento autorevole è che il trasferimento sia top-down, venga organizzato non dalle piccole imprese candidate a beneficiarne, né da chi detiene le tecnologie digitali ma ignora le filiere prioritarie, bensì da chi è alla testa di queste filiere e detiene la conoscenza da trasferire alle imprese tramite il digitale.

Come conclusione di questo lavoro, si prospetta l’ipotesi che il governo elabori due progetti in parallelo: a) Uno pluriennale, esecutivo, con alcune attività in serie e altre in parallelo, articolato su più ministeri, proiettato sui tempi di un paio di intere legislature, per il recupero della competitività del Paese, affinché questo risalga con tenacia nel duplice ranking mondiale della competitività generale e di quella digitale, con obiettivi progressivi e tempi prefissati. b) Un secondo progetto, con spesa del transitorio a carico dello Stato, da far partire subito, finalizzato al trasferi- mento di tecnologie dalle filiere alle imprese industriali grazie al digitale, ll progetto offrirebbe a tutte le imprese di ogni dimensione (purché con requisiti minimi) l’opportunità di parteciparvi. Sarebbe utile una campagna di comunicazione efficace e un assemblaggio di soggetti in grado di lavorare con immediatezza, in presa diretta. Di concerto con la testa di ciascuna filiera prioritaria (pubblica o privata), un organismo competente e già operante farebbe formazione per un certo tempo a una moltitudine di tecnici, selezionati rigorosamente per merito, definiti missionari tecnologici. Una volta addestrati, questi missio- nari verrebbero inquadrati in una struttura pubblica e transitoria, alla stregua di venditori in una vera e propria rete commerciale, visiterebbero le piccole e medie im- prese partecipanti, offrendo loro le tecnologie di volta in volta più adatte alla fattispecie. Le imprese, fatti i conti della convenienza economica, se convinte, assumerebbero ciascuna alcuni missionari e li inserirebbero nella propria organizzazione aziendale. l missionari integrerebbero le tecnologie e le industrializzerebbero. ll tutto con una spesa iniziale di formazione e guida commerciale a carico dello Stato, ma senza alcun successivo bonus o incentivo pubblico. Grazie al lavoro svolto in questi mesi, Sapienza Università di Roma è disponibile a elaborare subito lo studio di fattibilità, svolgere i compiti di capoprogetto, di selezione, formazione e guida commerciale dei missionari.

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