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Il piano di riassetto del Banco Popolare non convince la Borsa (-3,82%)

Il gruppo guidato da Pier Francesco Saviotti è quello più preso di mira tra gli istituti sottoposti agli stress test dell’Eba. Smentita la cessione del Credito Bergamasco. La riorganizzazione, presentata questa mattina, dovrebbe portare a benefici stimati in 90 milioni di euro

Il piano di riassetto del Banco Popolare non convince la Borsa (-3,82%)

Il Banco Popolare cede il 3,82% contro il calo di quasi il 2% del Ftse Mib ed è al momento il più bersagliato dalle vendite delle cinque banche italiane sottoposte allo stress test (Unicredit perde il 3,22%, Intesa il 3,54%, Mps il 2,94% e Ubi l’1,74%).

In queste ore sono state numerose le novità che hanno riguardato il gruppo guidato da Pier Francesco Saviotti: il varo del riassetto del gruppo lo scorso venerdì con l’incorporazione per fusione delle controllate locali ad esclusione del Creberg; l’abbandono della governance duale (“per una banca popolare il modello tradizionale è migliore” ha detto il presidente del consiglio di sorveglianza Carlo Fratta Pasini); il superamento degli stress test europei diffusi sempre lo scorso venerdì; l’entrata in Mittel, con una quota stimata tra il 5% e l’8% del capitale in seguito al riassetto che darà luogo alla fusione di Earchimede in Hopa, di Hopa in Tethys e di Tethys in Mittel.

E in mattinata Saviotti è tornato a smentire la possibilità di un nuovo aumento di capitale. Non solo. Ha anche seccamente rigettato l’ipotesi che il Credito Bergamasco non sia stato incorporato come le altre banche locali nell’ottica di una futura cessione sul mercato. “Assolutamente non è in vendita”, ha detto spiegando che l’incorporazione dell’unica quotata in Borsa tra le territoriali sarebbe costata circa 37 punti base di core tier 1 perché sarebbe anche stata necessaria un’opa sulle azioni attualmente non detenute direttamente dal Banco Popolare. Mentre non ha esluso la cessione degli sportelli in Sicilia: “Non è stata presa nessuna decisione – ha detto – avevamo sospeso le trattative perché secondo noi le condizioni non erano adeguate. Se in futuro ci fosse un ritorno di fiamma, non escluderemmo” un’eventuale cessione.

Le dichiarazioni giungono durante la conferenza stampa di presentazione del riassetto e mentre il mercato ancora si interroga sulla patrimonializzazione del gruppo, tallone d’Achille dell’istituto per molti analisti anche dopo la messa a punto del nuovo piano industriale 2011-2013/2015 presentato qualche settimana fa. Uniti si vince? Vedremo. Certo è che il piano di banca unica anticipato nelle sue linee essenziali già alla presentazione del piano industriale ha subìto un’accelerazione estiva proprio in concomitanza con i risultati degli stress test giungendo all’approvazione dei consigli lo scorso venerdì.

Questi i passaggi chiave: l’incorporazione nel Banco delle Popolari di Verona, Novara, Lodi e della Cassa di Risparmio di Lucca Pisa e Livorno e il passaggio dalla governante duale al cda tradizionale; il Credito Bergamasco manterrà lo status di società quotata sottoposta al controllo e alla direzione e coordinamento del Banco Popolare; il nuovo modello territoriale prevede la creazione di divisioni nelle tradizionali aree storiche di presenza e di riferimento per le comunità locali tendenzialmente corrispondenti ai marchi storici che supereranno le sovrapposizioni di filiali; il numero delle aree affari verrà ampliato e i clienti con grandi patrimoni continueranno a essere seguti da Banca Aletti.

Il processo decisionale che ha portato alla nascita nuovo modello di grande banca popolare “è stato complesso e lungo ed è sfociato in una decisione unanime. Il nuovo modello è vincente – ha commentato Fratta Pasini. – Le decisioni prese sono le soluzioni più idonee per il mercato, per mantenere la banca popolare, per renderla più comune, più condivisa da tutti i territori, rafforzata nella sua identità popolare, più efficiente ed efficace”.

Una semplificazione che consentirà di ottenere importanti e strutturali benefici economici, aggiuntivi a quelli già previsti dal piano industriale. Si tratta di oltre 90 milioni annui a regime sui profitti. L’utile netto previsto dal piano migliora così a 647 milioni al 2013 (+44 milioni) e a 997 milioni nel 2015 (+67 milioni). E dal riassetto arrivano benefici anche in termini di capitale. Il core tier emerso dal piano industriale è rivisto al rialzo al 7,9% nel 2013 dal 7,6% e all’8,7% nel 2015 dall’8,3%. Intanto gli stress test europei hanno sentenziato che in caso di scenario negativo il core tier del Banco scenderebbe al 5,7% nel 2012 (il dato non include i potenziali effetti positivi derivanti dal progetto di semplificazione societaria in programma e salirebbe già oggi al 6,2% se si considerasse la conversione del bond soft mandatory per cui oggi Saviotti ha di nuovo escluso la conversione), sopra la soglia del 5% richiesta.

Eppure gli stress test, non solo per il Banco, non hanno convinto i mercati che sono tornati a colpire il settore. Certo, il comparto risente del più ampio attacco all’Italia, considerata l’anello debole dell’Europa dopo Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna. Ma tra gli operatori si sono sollevati nuovamente dubbi sulla severità e sul realismo degli stress test alla luce della situazione della crisi del debito sovrano in Europa (che non comprendono l’ipotesi di default della Grecia). Non a caso, delle novanta banche sottoposte agli stress test, non hanno superato l’esame solo 8, un numero molto contenuto che comprende piccole banche spesso non quotate localizzate soprattutto in Spagna, dove già si conosceva da tempo la debolezza del sistema bancario locale. Risultati che sono migliori di quelli attesi dagli analisti.

“Gli stress test dell’Eba – dice Kian Abouhossein di JP Morgan interpellato da Bloomberg – è un risultato di scarso valore per noi perché l’esposizione ai debiti sovrani delle banche non è pienamente considerata e si basa su una relativamente bassa soglia del 5%”. Ecco che così per diversi operatori l’ondata di vendite che ha investito oggi il settore era ampiamente attesa. “Un sentimento degli investitori fragile – scrivono oggi in un report gli analisti di Credit Suisse – richiede passi politici decisivi e ulteriori ricapitalizzazioni per le banche”. E il mercato guarda soprattutto a quelle sedici banche che hanno passato l’esame per il rotto della cuffia. E tra queste insieme ad alcune banche spagnole, alla greca Piraeus, alla cipriota Marfin e alla portoghese Millenium Bcp, c’è anche il Banco Popolare, che tenta la riscossa accelerando sul riassetto del gruppo. “La banca va bene”, ha affermato oggi Saviotti, “e i risultati ci porteranno a diventare una delle migliori banche del nostro Paese”

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