Ambiente, disuguaglianze, inclusione finanziaria, Intelligenza artificiale e persino parità di genere e diritti LGBTQIAPN+. A leggere i temi sui taccuini degli sherpa alla vigilia del Forum Brics in programma a Rio de Janeiro domenica 6 e lunedì 7 ottobre, sembrerebbe uno di quei tanti consessi tipici del mondo occidentale. E invece i Paesi emergenti oggi non sono più i cinque che diedero vita all’acronimo (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), bensì un gruppo allargato di 23 membri (11 effettivi più 12 partner alleati) che strizzano sempre più l’occhio all’autocrazia come forma di potere e che si presentano come asse alternativo a quello euro-atlantico rappresentato dal G7.
Più che alternativo, proprio ostile e sempre più forte dal punto di vista geopolitico ed economico, visto che i Brics sono diventati grandi e rappresentano il 40% del Pil globale, oltre che metà della popolazione del pianeta. Del club ormai fanno parte anche Paesi come l’Iran, recentemente al centro delle cronache interazionali per lo scontro con Israele e Stati Uniti, e non è difficile immaginare che si parlerà anche di questo nel summit carioca, nel dietro le quinte della edulcorata agenda “on the record” proposta dal padrone di casa, il presidente brasiliano Lula. Tanto che il settimanale finanziario The Economist ha rilevato quanto sia incoerente Lula e quanto il vertice “sarà dominato dall’autoritarismo”.
Lula tra due fuochi: da un lato Macron, dall’altro gli autocrati
Lula in effetti si trova tra due fuochi, visto che sempre a Rio, meno di un anno fa, ha ospitato il G20, e che sarà ancora l’anfitrione della prossima COP30 in calendario a novembre a Belem, alle porte dell’Amazzonia. Non solo: dal 1° luglio il Brasile ha assunto la presidenza di turno del Mercosur, l’area di libero scambio del Sudamerica, e in questa chiave Lula era stato ricevuto qualche settimana fa dal presidente francese Emmanuel Macron a Parigi. Quest’ultimo si è messo in testa di dettare l’agenda della COP30 per affermarsi come leader nella lotta al cambiamento climatico, e vorrebbe anche costruirsi un asse privilegiato col Brasile e col Sudamerica per le materie prime strategiche.
Accordo Ue-Mercosur in dirittura d’arrivo
Ma Lula in cambio chiede all’amico-collega uno sforzo per chiudere in fretta l’accordo Ue-Mercosur, che guarda caso è proprio la Francia ad ostacolare, per assecondare le proteste del mondo agricolo. Bruxelles ha garantito che stavolta si è davvero in dirittura d’arrivo e il Brasile non vede l’ora di aprirsi nuovi mercati, essendo ormai un Paese esclusivamente votato all’export di materie prime e decisamente il più de-industrializzato tra i Brics, i quali possiedono insieme il 72% delle terre rare di tutto il mondo, si scambiano fra di loro il 26% di tutte le merci esportate nel pianeta e producono quasi la metà del petrolio.
Gli ex emergenti fanno sul serio: da una decina di anni sono dotati di una loro istituzione finanziaria indipendente, la New Development Bank (NDB), che ha sede a Shanghai e ha già finanziato un centinaio di progetti per un controvalore di 33 miliardi di dollari. Nel vertice dello scorso anno a Kazan, in Russia, il padrone di casa Vladimir Putin, in piena guerra in Ucraina, aveva anche lanciato una moneta comune, chiamata proprio “Brics”, anche se non è chiaro quanto valga e quando sarà effettivamente utilizzata per smarcarsi dalla dipendenza dal dollaro e dalle sanzioni internazionali, che colpiscono appunto Mosca ma anche Teheran e altri.
Per il summit carioca rischio flop: mancheranno anche al-Sisi e Erdogan
La valuta alternativa non è però in agenda e anzi, il summit di Rio, attesissimo per il peso ormai raggiunto dai Brics, rischia di essere un mezzo fiasco dal punto di vista delle decisioni sostanziali, anche se un risultato importante Lula lo ha già ottenuto: l’accordo su uno dei suoi cavalli di battaglia, già proposto al G20, e cioè la tassazione dei super ricchi. Le tensioni belliche in Ucraina e Medio Oriente hanno tuttavia costretto al forfait leader come lo stesso Putin (che però farà un videocollegamento in virtù del suo rapporto di amicizia personale con Lula), ma anche Erdogan e Al-Sisi. In Brasile non andrà nemmeno il presidente cinese Xi Jinping: tra i due Paesi i rapporti non sono mai stati così stretti e proficui, ma le cose importanti Pechino le ha già portate a casa con gli accordi bilaterali firmati due mesi fa, e non ha particolare interesse a fare una passerella ad un appuntamento in cui apparentemente non si parlerà troppo di affari.
Ma oggi chi (e quanti) sono i Brics?
Ma chi ci sarà, dunque? Al di là delle citate defezioni i Brics sono, come detto, undici: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi, Indonesia, Etiopia e Iran. I partner sono dodici: Turchia, Algeria, Bielorussia, Cuba, Malesia, Bolivia, Uzbekistan, Kazakistan, Tailandia, Nigeria, Uganda e da ultimo Vietnam. Sono stati invitati anche il Messico (ma la presidente claudia Sheinbaum ha declinato) e la Colombia di Gustavo Petro, storico partner degli Usa e che adesso, per rispondere a dazi e rimpatrio migranti, sta pensando di rivolgersi altrove.
L’ultima annessione del Vietnam è emblematica: è una delle economie più in crescita al mondo (7% nel 2024) ma soprattutto è alleato fondamentale della Cina per dribblare i dazi Usa attraverso il transhipment, tanto che Washington è dovuta correre ai ripari concordando un’imposta sull’importazione delle merci vietnamite al 20%, che salirà però al 40% se la dogana sospetterà che provengano da altrove (Pechino). Per quanto riguarda infine le prossime adesioni, ha ragione il The Economist: si parla da tempo di un ingresso del Venezuela del dittatore Nicolas Maduro per volontà della Russia, ma finora ad opporsi è stato proprio il Brasile di Lula.