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“Guerra Santa e Santa Alleanza”, dopo Parigi un libro per riflettere

Terrorismo e civiltà, ruolo politico delle religioni: un confronto oggi limitato all’Islam mentre in verità si assiste ad un ritorno in campo di tutte le fedi. Per gentile concessione dell’editore “Il Mulino” pubblichiamo alcuni stralci del nuovo libro di Manlio Graziano, docente di Geopolitica a Parigi. Sarà in libreria il 15 gennaio

“Guerra Santa e Santa Alleanza”, dopo Parigi un libro per riflettere

Dall’Iraq all’11 Settembre delle Torri Gemelle negli Stati Uniti, dalla guerra in Afganistan, all’avanzata dell’Isis, all’ultimo, tragico, attacco del terrore a Parigi.  Sempre più spesso si torna a parlare di “scontro fra civilità” e di guerra tra religioni”. Su questi temi Manlio Graziano, professore di Geopolitica e Geopolitica delle religioni alla American Graduate School di Parigi, a Paris–Sorbonne e alla Skema Business School, ha pubblicato un nuovo libro: “Guerra Santa e Santa Alleanza” edito da Il Mulino, che sarà in libreria da giovedì prossimo, 15 gennaio. Il sottotitolo “Religioni e disordine internazionale nel XX1 secolo”, chiarisce ancora meglio il tema del saggio di cui pubblichiamo qui di seguito, per gentile concessione dell’editore, alcuni passaggi tratti dall’ultimo capitolo.

GUERRA SANTA E SANTA ALLEANZA
Religioni e ordine internazionale nel XXi Secolo
CONCLUSIONI

 Da almeno quattro decenni, le religioni hanno fatto il loro ritorno sulla scena pubblica; numerosi indizi sembrano suggerireche, in futuro, il loro ruolo sarà sempre più rilevante. Soltantonei mesi della stesura di questo libro, il pretesto religioso è statoutilizzato per coprire, giustificare e persino nobilitare scontripolitici e militari in Mali, Nigeria, Repubblica centrafricana,Kenya, Iraq, Birmania, Sri Lanka, India e persino Ucraina. Èstato un aspetto centrale della «primavera araba», e continua aesserlo drammaticamente nei paesi in cui quelle rivoluzioni sonoabortite: Siria, Egitto, Libia, Yemen e Bahrein. L’Iraq rimaneun focolaio di caos potenziale per l’intera regione, un caos incui mujaheddin tanto zelanti quanto riccamente armati sonopronti a mettere il loro capitale di «guerre sante» al serviziodi questo o quell’interesse, locale o internazionale.C’è voluto del tempo prima che il ritorno delle religionisulla scena pubblica non fosse più considerato una curiosacoincidenza ma una tendenza generale. Ancora oggi, tuttavia,in alcuni paesi di più antica secolarizzazione, l’opinione largamenteprevalente è che il «ritorno di Dio» non li riguardi, cheriguardi essenzialmente i paesi emergenti, privi di tradizionipolitiche solide; per certuni, riguarderebbe addirittura solo ipaesi musulmani.

La mancata comprensione del carattere universale delladesecolarizzazione è particolarmente acuta in Francia, doveprevale l’idea secondo cui la legge del 1905 sulla separazionetra Stato e Chiesa abbia regolato una volta per tutte il rapportotra religione e politica. Gli effetti di questo equivoco – basatosu un tropismo legalistico quasi pavloviano – sono a volte paradossali.Durante le loro campagne elettorali rispettivamentedel 2007 e del 2012, Nicolas Sarkozy e François Hollande si 312sono entrambi pronunciati sulla legge del 1905: il primo, perproporre di mitigarne i vincoli, con l’idea di sedurre le autorità ei fedeli cattolici; il secondo, per proporre di inciderla nel bronzodella Costituzione, con l’idea di sedurre masse immaginatecome giacobine e anticlericali. Pare evidente che né l’uno nél’altro si fossero presi la briga di leggere il documento del 2005dei vescovi francesi, in cui questi auspicavano che la legge del1905 non venisse toccata: «Sembra opportuno non modificarequesto equilibrio grazie al quale è stata resa possibile nel nostropaese la pacificazione di oggi». Né Sarkozy, né Hollande hannorealizzato i loro progetti; ma se lo avessero fatto, avrebberoottenuto l’effetto opposto a quello voluto. (…)

Negli Stati Uniti, è ormai praticamente impossibile concorrerea qualunque carica elettiva senza fare ostentazione di unsolido bagaglio religioso: il candidato sconfitto alle presidenzialidel 2008, John McCain, sospettato di scarso fervore, fu costrettoa controbilanciare il suo difetto gettando nell’agone un pesomassimo fondamentalista del calibro di Sarah Palin. In quellastessa campagna del 2008, Barack Obama ha battuto due recordforse decisivi per la vittoria finale: è stato il candidato che haspeso di più in tutta la storia degli Stati Uniti e quello che ha 313citato Dio più spesso. Quello stesso Obama che, invertendoil principio di John F. Kennedy («Io credo in un’America incui la separazione tra Chiesa e Stato è assoluta»), ha affermatonel 2006 che «i laicisti hanno torto quando chiedono ai credentidi lasciare la religione alla porta prima di entrare sullapubblica piazza».Ma l’interesse della politica per questo nuovo «grande risveglio»religioso non dipende solo dalla possibilità di sfruttarloa fini immediati, siano essi elettorali o militari. Uno dei frontipiù critici apertosi con l’accelerazione e l’intensificazione dellacompetizione internazionale è quello della spesa sociale: ad eccezionedi qualche paese emergente, quasi ovunque nel mondogli Stati sono costretti ridurre il finanziamento e la gestionedei servizi pubblici nei settori della sanità, dell’istruzione, dellepensioni, delle emergenze, della cultura e anche dello sport;quasi ovunque nel mondo, le organizzazioni e le istituzionireligiose sono chiamate a colmare queste lacune con le lororeti di protezione e assistenza sociale. Nel 2000 (ultimo censimentodisponibile), la sola Chiesa cattolica gestiva nel mondocirca 80.000 ospedali e dispensari, 14.000 case di riposo, quasi9.000 orfanotrofi, poco più di 1.000 università e circa 125.000tra scuole elementari, medie e superiori. Se consideriamo che,nella laica Francia, il numero di istituti cattolici è passato tra il2010 e il 2012 da 8.847 a 9.005, si può facilmente immaginarea che ritmo i servizi sociali cattolici si stiano sviluppando nelresto del mondo. (…)

Sull’altro fronte, nella sua enciclica Caritas in veritate, del2009, Benedetto XVI ha ripetuto ben tredici volte l’offerta esplicita di una condivisione delle responsabilità sociali, rivendicandola «progressiva apertura, in contesto mondiale, aforme di attività economica caratterizzate da quote di gratuitàe di comunione» (vale a dire, il volontariato e altre forme diattività benevole gestite direttamente o indirettamente dalleistanze religiose). Forme di attività, ha successivamente precisato papa Francesco, che non devono consistere «esclusivamente inazioni o in programmi di promozione e assistenza», ma devono essere «prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro» (Evangeliigaudium).

È un di più, rispetto a qualsiasi struttura sociale dello Stato, che non può non rafforzare il sentimento di superiorità storica delle religioni e delle Chiese sulle istituzioni pubbliche.Un altro motivo per cui la politica intende approfittare delriemergere del fenomeno religioso, infine, è il contesto internazionale.Le religioni costituiscono un elemento di stabilità edi ancoraggio alla tradizione particolarmente utile in un’epocacaratterizzata dall’instabilità e dal cambiamento. Più una religioneè forte e influente, più è in grado di assolvere questocompito di ausiliario politico. I governi dei paesi musulmanisi presentano spesso come i paladini della causa religiosa persfruttare la fiducia che i fedeli ripongono nell’islam comegaranzia di giustizia; ma più l’islam è piegato a interessi particolari,più perde di efficacia politica (e forse anche religiosa)agli occhi delle masse.I paesi a maggioranza ortodossa si avvalgono del pienosostegno delle loro Chiese rispettive, che corroborano la loro identità e contribuiscono al mantenimento dell’ordine sociale e politico. (…).

La Chiesa cattolica, invece, esercita la propria autorevolezzaa livello sia nazionale sia internazionale. Questo è il motivo per cui è difficile trovare dei paesi che le chiudano le porte.Anche Israele, dal 1993, ha stabilito relazioni diplomatiche conla Santa Sede; e l’Arabia Saudita ha voluto invitare BenedettoXVI, pur respingendo la sua richiesta di aprire luoghi di cultocattolici nella penisola. E per quel che riguarda i rapporticon la Repubblica popolare cinese, il loro attuale stallo nondipende, a quanto pare, dalla volontà (o dalla mancanza divolontà) di Pechino.Gli Stati Uniti sono ovviamente il paese più colpito dall’attualespostamento dell’asse geopolitico del mondo.

È forse questa la ragione per cui certe personalità della comunità cattolica americana (che rappresenta tra il 25 e il 30% dellapopolazione) hanno un peso così sproporzionato nelle sueistituzioni politiche, militari e giudiziarie. Il vicepresidente, il capo di gabinetto, la metà dei membri del governo, il presidentedella Camera (repubblicano) e il presidente del gruppoparlamentare democratico, il consigliere alla sicurezza nazionale,il consigliere alla sicurezza interna, il direttore della CIA e il capo di stato maggiore erano cattolici al momento del varodella seconda amministrazione Obama, nel febbraio 2013. Mai, nella breve storia degli Stati Uniti, i cattolici hanno goduto di una tale visibilità politica. (…)

Da quando Jorge Mario Bergoglio è stato eletto, molti osservatori hanno gridato alla «rivoluzione», alla fine dellerigidità del centralismo romano, degli interdetti più obsoleti. Almomento in cui scriviamo, pochi indizi sembrano autorizzareun tale entusiasmo; inoltre, molti sembrano proprio sottovalutare il fatto che Bergoglio è il primo papa gesuita, vale a dire membro di un ordine prettamente politico, che si è illustrato nel corso della storia per la sua eccellenza in qualità come la sottigliezza, la discrezione, la prudenza e la malizia. Quel che appare evidente è che il papa argentino sta cercandodi creare un’atmosfera propizia all’implementazione di una linea già teoricamente accettata dal grande corpo della Chiesa, ma ostacolata fin qui dalla pigra inerzia delle abitudini:il ruolo carismatico di una Chiesa che non si fonda più esclusivamente sulle rendite di posizione e diventa Chiesa «in uscita», cioè in stato di missione permanente. (…)

La «nuova proporzione» della Chiesa di Francesco sembra ruotare attorno alla nozione carismatica della «gioia» e dello«slancio missionario». Non è un caso che molti siano sedottidal suo personale carisma. Ma Jorge Mario Bergoglio sa beneche un volto sorridente e uno stile di vita sobrio sono effettid’immagine molto importanti, che supportano ma non rimpiazzanola forza politica della Chiesa. Una forza che è fatta di esperienza, organizzazione, centralizzazione, relazioni e fortiprincipi intorno ai quali costruire la santa alleanza.In conclusione di questo libro, occorre ricordare ancorauna volta che, in politica come quasi ovunque, non esistonomai tendenze univoche e assolute; e che una delle facce dellosviluppo ineguale è lo sviluppo religioso ineguale. La tendenzaalla desecolarizzazione costituisce il contesto storico indispensabileper ogni ipotesi di «santa alleanza» tra le grandi religioni del mondo. Ma questa tendenza alla desecolarizzazione coesiste con tendenze alla secolarizzazione: in paesi diversi e, talvolta,all’interno di uno stesso paese.Molti paesi si stanno «modernizzando», stanno cioè ripercorrendoil cammino «pressappoco uniforme», come diceva Braudel, di ogni processo di industrializzazione. Gli effetti diquei processi sono, anch’essi, «pressappoco uniformi»: se lo sviluppo economico e sociale in Turchia, Brasile, India o Cinariesce a dare l’impressione di una «forte e perenne crescita»,al punto di generare l’aspettativa di «un continuo miglioramento»(Ernest Gellner), è probabile che molti tra coloro che sono riusciti a raggiungere lo stadio psicologico della classe media comincino ad adottare modelli e stili di vita sempre più secolarizzati.

È anche possibile che queste tendenze finiscano per ritrovarsi sul terreno di una nuova forma religiosa, piùindividualista e più secolarizzata, rimanendo al tempo stessorigorosamente fondamentaliste: la lotta di certe ebree ultraortodosseper il diritto di pregare al Muro del pianto potrebbeessere un simbolo di questa nuova forma religiosa.319Lo shift of power attualmente in corso porterà quasi certamentele popolazioni delle vecchie potenze «avanzate» a viverein condizioni sempre più precarie; è possibile che, al contrario,le popolazioni dei cosiddetti paesi emergenti possano viverein futuro in condizioni sempre meno incerte. Una tale eventualitàpotrebbe portare a un risultato paradossale: un’Europae un’America più religiose alle prese con un’Asia e un’Africapiù materialiste. Di che alimentare nuovi «scontri di civiltà».

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