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Grecia, i conti delle privatizzazioni di Papandreu non tornano perchè all’appello mancano 36 mld

di Bernardo Bortolotti* – Secondo il Privatization Barometer la Grecia spa vale oggi 13,6 miliardi: il che vuol dire che rispetto all’obiettivo di 50 miliardi di privatizzazioni, annunciato dal Governo come piatto forte del programma di risanamento richiesto dalla Ue e dal Fmi, ne mancano almeno 36 e che la strada delle dismissioni è in salita.

Grecia, i conti delle privatizzazioni di Papandreu non tornano perchè all’appello mancano 36 mld

50 miliardi di euro. Tanto vale il piano di privatizzazioni annunciato da Papandreou, piatto forte del programma di risanamento richiesto dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale per sbloccare i 110 miliardi di euro di credito che salverebbero la Grecia dal default. In molti si sono chiesti se un programma di queste dimensioni da realizzare entro il 2015 sia fattibile. I dati del Privatization Barometer aiutano a fare chiarezza.

Dal 1991 a oggi la Grecia ha realizzato 25 miliardi di euro di proventi. Le operazioni principali hanno coinvolto l’operatore della telefonia OTE, il settore bancario e dell’energia con le vendite della Public Power Corporation (PPC) nell’elettricità e la DEPA nel gas. A suo tempo fu la destra dell’Alleanza Democratica a riprivatizzare molte imprese che il PASOK aveva nazionalizzato. Ironia della sorte, oggi la partita si gioca a ruoli invertiti, ed è la sinistra di Papandreu a riaprire il dossier.

Il portafoglio del governo greco oggi consta di 15 partecipazioni in società quotate in borsa che ai valori di mercato valgono 6.6 miliardi di euro. La partecipazione di maggior valore, pari a 1.8 miliardi di euro, è quella in DEPA. Seguono quote significative in OPAP, la società che gestisce le scommesse del calcio (1.2 miliardi) e partecipazioni di poco superiori al miliardo nella Public Power Corporation e nell’Agricultural Bank of Greece. Le quote residue in OTE e nell’Hellenic Petroleum valgono circa 700 milioni ognuna. A queste si aggiungono partecipazioni in 70 aziende non quotate con un attivo totale di poco superiore ai 10 miliardi di euro. Non è facile determinare un fair value per queste aziende, ma una stima ottimistica ci porta a concludere che il patrimonio netto di questi cespiti non sia superiore ai 7 miliardi di euro.

Naturalmente queste stime vanno prese con cautela. Non viene calcolato il premio per l’eventuale cessione del controllo, peraltro problematica sul piano politico, ma neppure i costi del lavoro derivanti dalla ristrutturazione delle aziende più appesantite dagli esuberi (OTE e PPC in particolare). Infine, per le non quotate non abbiamo considerato il livello dell’indebitamento.

Con questi caveat, Grecia SpA vale oggi 13.6 miliardi di euro. Per mantenere gli impegni verso creditori potrebbero quindi mancare all’appello almeno 36 miliardi di euro. Per fare cassa, il governo sarà quindi costretto a dismettere una quota significativa del proprio patrimonio pubblico cedendo terreni, immobili, concessioni, infrastrutture e molti altri cespiti dal valore a oggi incerto.

Papandreu si muoverà dunque nel campo delle privatizzazioni più difficili, lottando contro il tempo, in un contesto di mercato avverso, di alta disoccupazione e tensione sociale.

Meglio lasciare perdere? Decisamente no. Al di là dell’utilità dei proventi per abbattere il debito, lanciare un programma di privatizzazioni anche in condizioni critiche è fondamentale per rassicurare i mercati segnalando la determinazione del governo di affrontare il problema dell’espansione abnorme del settore pubblico che è la vera radice della crisi greca. Ovviamente le privatizzazioni non sono una panacea. Serviranno anche le altre misure previste nel piano di austerity, e – ci auguriamo – un approccio più cooperativo e innovativo da parte dell’Europa nella gestione della crisi. Il “Washington consensus” ormai non va più di moda.

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