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Governo tecnico o no? Ecco che cosa pensava Bruno Visentini sul rapporto tra politici e tecnici

La Fondazione Bruno Visentini ha promosso per martedì 30 ottobre a Roma un seminario di fortissima attualità politica e culturale sul “Governo tecnico nel pensiero di Bruno Visentini” – In un articolo scritto nel 1974 sul “Corriere della sera” – che riproduciamo – l’ex ministro sosteneva che la vera alternativa ai politici incapaci non è quella dei tecnici.

Governo tecnico o no? Ecco che cosa pensava Bruno Visentini sul rapporto tra politici e tecnici

Il rapporto tra politici e tecnici
L’ARTE DI GOVERNARE

Nei momenti più difficili e quando la classe politica e in particolare quella governativa dimostrano incertezza e disorientamento, si ripre­senta in larghi strati dell’opinione pubblica la richiesta che il paese sia governato dai tecnici. Sull’argomento merita forse soffermarsi ancora una volta. Non basta infatti osservare che quella richiesta esprime  soltanto un’insofferenza ingenua, acritica e qualunquistica nei confronti della politica, e che i tecnici quando accettano  certe responsabilità e assumono certe decisioni diventano politici. Né basta dire che la richiesta deriva  spesso dal rifiuto del metodo della libertà e da nostalgie o aspirazioni verso decisioni autoritarie, soprattutto verso quelle decisioni che  per ciascuno meglio corrisponderebbero ai propri desideri e talvolta ai propri interessi. Occorre invece chiedersi quanta parte della richiesta di essere governati da tecnici, e quanta parte della diffusa disistima nei confronti dei politici dalla  quale essa muove, derivino da responsabilità degli stessi politici, o di una parte di essi, e dalla concezione che molti  poli­tici, nel modo in cui operano, dimostrano di avere della funzione politica e di se stessi.

Anatole France ebbe a dire che la rivoluzione francese gli appariva simile a certe composizioni shakespeariane dove  nelle scene più  fortemente drammatiche e di più alta poesia sono improvvisamente introdotti squarci di volgarità e di buffoneria. Così è sempre nella politica. La politica si svolge sempre e dovunque nella commistione, nella  sovrapposizione e nello  scontro fra uomini nobili e persone meschine, fra impegno morale e intrighi, fra coerenza e opportunismi, fra disinteresse ed egoismi. Ciò deriva dalla funzione creativa che è propria della politica, che non consente strumenti di misurazione dei risultati ma rinvia al giudizio che potrà essere dato soltanto nel futuro, spesso lontano; e deriva dal modo di scelta degli uomini, scelta che nei regimi liberali è affidata al successo nei confronti del suf­fragio universale, e quindi talvolta all’improvvisazione e spesso all’azione all’interno dei partiti, nei regimi autoritari alla cooptazione dei capi, e quindi spesso all’opportunismo e all’intrigo nei confronti dei potenti, e nei regimi feudali  alle virtù  genetiche e alle capacità educative delle famiglie e delle comunità. Soltanto le democrazie di più lunga e forte tradizione riescono ad accompagnare la scelta degli indirizzi da parte del suffragio universale con forme più efficaci di sperimentazione e di selezione degli uomini. Ciò che in ogni situazione conta è che gli elementi negativi non prevalgano; che essi non vengano considerati come normale espressione della  politica, ma siano invece condannati e costituiscano feno­meni marginali e limitati. La politica è la determinazione del proprio avvenire. Ad essa, in regime di libertà, ogni cittadino partecipa: con le sue azioni o con le sue omissioni, in modo significativo o in misura minima,  consapevol­mente o inconsapevolmente. Benché – diversamente da quanto tendenzialmente avviene in tutti i regimi  autoritari, e in modo più integrale in quelli ad economia accentrata e burocratizzata – nei regimi di libertà la politica non possa essere l’unica dimensione dell’uomo e debba invece essere rispettato un largo spazio (nei campi intellettuale, cultu­ rale, religioso, economico, familiare) per l’esplicazione delle scelte e delle volontà individuali, dove la politica non deve avere ingresso, il dovere da parte di ciascun cittadino di apprezzare la politica e di partecipare in qualche modo ad essa è elemento essenziale del sistema.

L’uomo politico assume la funzione di assistere e di guidare gli altri uomini, sollecitandone e accettandone il mandato, in quella difficile opera che è per ogni collettività la quotidiana creazione della propria storia. Nel fare questo non occorre che l’uomo politico sia professionalmente un tecnico di qualche materia e tanto meno (e sarebbe evidentemente  impossibile) di tutti i settori che l’azione politica comprende. Occorre invece che egli sia un onesto e serio politico. Questo significa, anzitutto, nei termini più elementari, che il politico non può esaurire la sua azione nella mera acquisizione del mandato e del  potere, come fine o come strumento di autoperpetuazione, né può far consistere la sua attività nell’espressione di ideologie o di generiche aspirazioni o nella sollecitazione di sempre nuove esigenze, ma deve operare per tradurre in atti concreti le esigenze di evoluzione e di miglioramento della società nella quale opera. Ne deriva ancora, in termini altrettanto elementari, che il politico deve avere la consapevolezza dei problemi che tratta, proprio per poter comprendere e valutare, come è suo dovere e sua funzione, la rilevanza umana e sociale della materia sulla quale incide, e i possibili effetti della sua azione.

L’estensione e la profondità delle conoscenze necessarie al politico per bene operare hanno evidentemente accentuazioni e caratteristiche diverse a seconda  dei settori, delle posizioni ricoperte e delle differenti fasi legislative o amministrative. Chi opera con volontà  riformatrice in una fase di rinnovamento legislativo e amministrativo deve  rendersi conto dei legami assai stretti che assumono, specialmente in certi settori, gli aspetti tecnici e le finalità politiche: altrimenti, in luogo di riformare e di rinnovare, distrugge. E questa consapevolezza dovrebbe tanto più  impegnare il politico sul piano tecnico e amministrativo, in Italia, dove mancano valide strutture amministrative pubbliche, presupposto e limite di ogni vera azione di riforma, e dove il primo compito è di creare nuovamente l’amministrazione. Fa parte dell’intelligenza e dell’arte del politico sapersi avvalere dei tecnici, in un rapporto valido, corretto, non clientelare e non partitico. In ogni caso, e direi prima di ogni altra cosa, occorre che chi sta a capo di un ministero, e soprattutto di certi ministeri, si renda conto di non essere il pomposo dignitario di un ordine cavalleresco,  bensì il capo di una grande gestione amministrativa. Occorre infine nel politico, e occorre soprattutto in chi sta nelle più alte responsabilità politiche, il senso delle dimensioni delle cose: la comprensione cioè della misura di ciascun problema e delle priorità fra i diversi problemi. In questo sta la suprema arte del politico.

Ma per tutto quanto si è detto, la funzione e l’arte del politico non possono essere sostituite dal semplice assolvimento delle funzioni tecni­che. L’azione politica si proietta verso l’avvenire, con valutazioni di valore e con funzioni di scelte coerenti con indirizzi glooali e di sintesi. Il tecnico è invece inevitabilmente e doverosamente legato al partico­larismo analitico della sua competenza, con il rischio  – come ben sanno coloro che hanno professionalità tecnica e impegno e piacere in essa – di essere indotto ad attribuire carattere di finalità al fatto tecnico e di considerare esaurito in esso il suo impegno. Ciò ha portato qualche illustre tecnico – in anni oramai lontani e in casi internazionalmente clamorosi – ad oscillare fra entusiasmi filonazisti ed adesioni filocomu­niste, per il fascino delle soluzioni tecniche o scientifiche che gli uni o gli altri individuavano. Se i cattivi politici potessero essere sostituiti dai tecnici, il problema sarebbe, in un certo senso, meno difficile. La vera difficoltà sta nel fatto che ai politici incapaci occorre poter sostituire i politici capaci. Mentre larga parte dell’opinione pubblica ha l’impressione – che ingenuamente esprime con l’invocazione dei tecnici – che da  alcuni anni a questa parte valga nella politica italiana una sorta di legge di Gresham, la quale insegnava che in un sistema di monete metalliche la moneta cattiva scaccia la moneta buona.
 
L’ARTE DI GOVERNARE E IL DIFFICILE RAPPORTO FRA TECNICI E POLITICI
Corriere della Sera, 28 luglio 1974
 
BRUNO VISENTINI


Allegati: Seminario sui Governi Tecnici.pdf

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