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Google aggiorna il proprio algoritmo per il mobile, ecco la guida per non perdere posizioni

L’ultimo aggiornamento dell’algoritmo di Google per l’indicizzazione dei siti premia le pagine web ottimizzate per una consultazione da tablet o da cellulare. Se non si vogliono perdere posizioni nella SERP, occorre rispettare alcune regole in più, ma non bisogna strafare.

Google aggiorna il proprio algoritmo per il mobile, ecco la guida per non perdere posizioni

Il motore di ricerca più famoso ed utilizzato nel Mondo ha cambiato le regole per scalare la sua particolarissima classifica di risultati delle ricerche. Sono regole per premiare chi ha creato pagine web adatte alla navigazione da smartphone o tablet.

Non è un cambiamento improvviso, nè tantomeno radicale. Già alla fine del 2014, sul blog ufficiale di Google, si leggeva che ci sarebbe stato un adeguamento alla prevalente modalità di utilizzo del motore di ricerca da parte degli utenti, ovvero sempre più in mobilità piuttosto che da postazione fissa.

Google è molto attenta al tipo di esperienza che offre ai navigatori e raramente rimane indietro rispetto alle nuove esigenze. Non a caso, ogni anno, i cambiamenti al suo algoritmo sono circa 500/600 (di media), anche se la maggior parte delle volte sono piccole variazioni. A fare notizia sono solamente quelle che i tecnici chiamano “major update”, a cui Google dona nomi curiosi e di difficile associazione logica con le modifiche fatte (Panda, Penguin, Pirate, Pigeon, Hammingbird ovvero Panda, Pinguino, Pirata, Piccione o Colibrì, solo per citarne alcune).

L’elenco dei principali cambiamenti dell’algoritmo di Google dal 2000 ad oggi, si può consultare sul sito di una società di consulenza SEO, molto attenta agli aspetti legati al posizionamento, che ha raccolto tutte le informazioni, nude e crude, senza interpretazioni di sorta, che Google stessa ha fornito negli anni a tutti gli addetti ai lavori.

Non si tratta perciò di informazioni riservate o desecretate, anzi, i tecnici di Google sono molto prodighi di consigli attraverso i canali ufficiali (Blog, Academy, Insight, Developers), ma a dare una lettura distorta di questi messaggi sono troppo spesso quelli che vorrebbero piegare alla propria idea di Internet le direttive del gestore della più grande macchina di ricerca delle informazioni nel web.

In questi casi, invece, attenersi alle istruzioni senza andare oltre, porta ad una comprensione migliore delle dinamiche che sono alla base dell’interazione tra società reale e virtuale: le abitudini dei navigatori cambiano in funzione del progresso tecnologico, ma è anche vero che è la stessa tecnologia a plasmarsi sulle modalità utilizzate dagli utenti per accedere alle informazioni.

Questa guida non fa altro che spiegare in termini semplici e diretti, quello che tutti potrebbero leggere sul blog ufficiale di Google (conoscendo un po’ di inglese). Partiamo dall’assunto che tutte le novità dell’algoritmo riguardano solo ed esclusivamente la ricerca tramite smartphone e tablet. Utilizzare quindi un computer fisso o portatile per una ricerca su Google, porterà agli stessi identici risultati di prima.

C’è da dire che il badge “mobile friendly”, aggiunto da Google a novembre a quelle risorse ottimizzate per la navigazione da dispositivi mobili, nell’elenco dei risultati di ricerca (SERP), non è relativo all’intero sito che ospita quella determinata risorsa, ma solamente alla pagina in questione. Questo vuol dire che se un sito non è totalmente ottimizzato per la navigazione da smartphone o tablet, ma una delle sue pagine lo è, allora quest’ultima sarà valorizzata e avrà il badge identificativo di Google di pagina “mobile friendly”.

Tutti i siti che non possono fregiarsi del badge di riconoscimento di Google non spariranno però dall’elenco. Anzi, se una pagina ha un contenuto che meglio risponde alla richiesta di un utente per parola chiave, indipendentemente dalla predisposizione alla navigazione mobile, quel risultato rimarrà in alto nella SERP.

Inoltre, un sito processato dai robot di Google ed etichettato come “non-mobile friendly”, subirà frequentemente nuove analisi delle proprie pagine per tenere conto di eventuali adeguamenti.

Cosa bisogna fare per non perdere posizioni, quindi?

La prima regola è mettersi nei panni del visitatore. Lo schermo di un dispositivo mobile è indubbiamente limitato rispetto a quello di un computer portatile o fisso quindi occorre tenerne conto e sistemare i contenuti in maniera tale che non escano fuori dalle dimensioni dello schermo di un celulare o al massimo di un tablet. Perché dover scorrere il testo in orizzontale, oltre che in verticale, è sicuramente poco piacevole. La soluzione a questo problema è in una tecnologia relativamente nuova che va sotto il nome di “responsive web design” ovvero la capacità di una pagina web di adattarsi da sola ai diversi schermi su cui viene visualizzata.

La seconda regola è quella di non fare link troppo vicini l’uno all’altro. Anche chi ha delle dita molto piccole, rischia di sbagliare il tocco sullo smartphone se le parti selezionabili sono troppe vicine. Risolvere con uno zoom preventivo sulla sezione del sito a cui si è interessati rappresenta sempre e comunque un noioso movimento in più.

La terza regola è comune in realtà anche alla navigazione in versione desktop e cioè l’utilizzo di dimensioni di caratteri leggibili. Qui, c’è poco da aggiungere se non l’aver premura di scegliere, con l’occasione, anche un font che abbia lettere, numeri e punteggiatura ben definiti e non equivocabili.

Come quarta direttiva c’è sicuramente quella di non utilizzare plug-in che uno smartphone potrebbe non saper gestire o non valorizzare. Ad esempio il linguaggio JavaScript e quei fogli di stile (CSS) che bloccano la visualizzazione dei contenuti “above the fold”, cioè quelli visibili senza che l’utente debba utilizzare la barra di scorrimento o la rotellina del mouse.

Quinto consiglio di Google: non caricare contenuti troppo pesanti o strutture troppo complesse come immagini in alta definizione o video che vanno automaticamente in play. Preferire quindi elementi attivi on-demand e che non obblighino i dispositivi a scaricare direttamente tutti i componenti della pagina.

Come sesta regola, un’occhio anche al testo: la legge è “minimizzare le risorse” e si intende l’eliminazione dei byte superflui, come le interruzioni di riga, i rientri e gli spazi in più. Per non parlare delle pagine vuote o di quelle che presentano codice sovrabbondante che rende anche sgradevole la navigazione.

Settimo: se un sito utilizza un reindirizzamento HTTP, cioè se la sua home attiva dei link per le sezioni/versioni delle sue pagine è importante fare un solo riferimento e non passare attraverso un albero di suddivisioni inutili. Inoltre Google ritiene importante che venga incluso nel codice delle pagine desktop un tag per identificare l’indirizzo equivalente per i dispositivi mobili. In questo modo, il robot di Google non dovrà fare fatica ad individuare tutte le pagine “mobile-friendly”.

L’ottava ed ultima regola è un po’ più tecnica. Riguarda le risorse comprimibili sulla pagina tramite compressione HTTP. In parole povere, Google vorrebbe che si evitasse di utilizzare programmi aggiuntivi, moduli di terze parti o routine incorporate nel sito quando si utilizza la capacità di alcuni server web di comprimere i file prima di renderli disponibili per il download. Questa procedura infatti può ridurre la quantità di tempo richiesto per scaricare le risorse necessarie ed eseguire il rendering del sito web.

Va detto che, diversamente dal passato, i cambiamenti saranno attivi da subito per le ricerche fatte in tutto il mondo. Quindi non un primo test solo sugli Stati Uniti e un graduale adeguamento per zone geografiche, ma una modifica universale che riguarderà tutti i risultati proposti sugli schermi degli smartphone e dei tablet in ogni parte del Globo.

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