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Glencore non modifica l’offerta per Xstrata

La società di Ivan Glasenberg lascia il concambio tra i due titoli a 2,8 e l’andamento in Borsa indica che nessuno più crede possibile l’operazione – Sarebbe il matrimonio minerario dell’anno, ma il fondo del Qatar, e altri azionisti Xstrata puntano a una proposta più generosa – La decisione finale si vedrà con il voto in calendario per il 7 settembre.

Glencore non modifica l’offerta per Xstrata

Le Borse sembrano aver deciso: il matrimonio dell’anno, quello tra il numero uno del trading, Glencore International, e il quinto gruppo minerario mondiale, Xstrata, finirà in un naufragio a pochi passi dall’altare. Glencore, la multinazionale quotata a Londra e con quartier generale in Svizzera, non ha alcuna intenzione di aumentare la propria offerta di 33 miliardi di dollari (in azioni), anche se il voto degli azionisti Xstrata si avvicina (è previsto per il 7 settembre) e anche se le dichiarazioni del Qatar Holding, del fondo sovrano norvegese e del fondo americano Knight Vinke Asset Management lasciano poco scampo: Glencore ha già il 34% di Xstrata e le norme inglesi prescrivono che la fusione abbia il via libera se otterrà l’adesione del 75% dei voti rimanenti.

Per bloccare tutto, basta che votino contro meno del 17% degli azionisti Xstrata, esattamente il 16,48%. Il fondo sovrano del Qatar nei mesi scorsi ha alzato la propria quota al 12% e da allora ha continuato a insistere che il concambio equo non è di 2,8 azioni Glencore per un’azione Xstrata, ma di 3,25. Il bilancio semestrale dei due gruppi invece dà ragione, sia pure indirettamente, a Ivan Glasenberg, il 55enne miliardario ceo di Glencore, che non intende modificare l’offerta. E la borsa, da diversi giorni, dice di non credere più che l’operazione si faccia: Xstrata infatti è ben sotto il valore di 2,8 titoli Glencore. Basterà questo responso a modificare le intenzioni di chi contrasta l’accordo? Oppure Glasenberg, primo azionista di Glencore con il 15,7%, modificherà la sua proposta all’ultimo istante, per facilitare una soluzione positiva? Al momento sembrerebbe di dover rispondere no a entrambi gli interrogativi.

L’unico spiraglio identificato da osservatori vicini alla trading company svizzera è un takeover ostile, che tuttavia pare difficile da praticare e alla fine risulterebbe più costoso rispetto a una mediazione che porti l’offerta a 3 azioni Glencore per una Xstrata. La società mineraria guidata da Mick Davis, anch’essa con quartier generale in Svizzera, può di fatto crescere anche da sola. È già il primo esportatore mondiale di carbone termico e il primo produttore di minerale di zinco, oltre ad avere forti produzioni di rame e nickel. Inoltre vanta una quota in Lonmin, il terzo produttore mondiale di platino, società che in questi giorni accusa gravi problemi dopo l’agitazione nella grande miniera di Marikana, in Sudafrica, dove la repressione delle forze dell’ordine ha fatto almeno 44 vittime e ha risuscitato lo spettro dell’apartheid.

Per Davis potrebbe essere il momento giusto per cercare di completare l’acquisizione.D’altra parte Glencore, se abbandonasse per tornare alla carica tra un anno (per dodici mesi è infatti vietato ripresentare una proposta di takeover), rischierebbe di trovare una situazione di mercato meno adatta e l’operazione forse si rivelerebbe più costosa di quanto sia adesso. Nella City in questi giorni Xstrata oscilla intorno a 2,48-2,51 volte il titolo Glencore, lasciando appunto intendere che gli operatori non ritengono che l’offerta vada in porto, né che sia migliorata in extremis. Un fallimento non sarebbe un dramma per Xstrata, ma non lo sarebbe nemmeno per Glencore. La società di Glasenberg ha importanti proprietà minerarie e commercia carbone, petrolio, ogni tipo di commodities, navi e magazzini. “Se l’affare non verrà accettato – dice Glasenberg – il mondo andrà avanti lo stesso”. 

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