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Giò Porro, in Valtellina l’Industria 4.0 della bresaola

Il 70enne imprenditore ha brevettato nel 2016 Metodo Zero, sfruttando una manifattura ad alta tecnologia per produrre il salume “come una volta” – La formula è segreta ma è basata sull’uso del freddo e una lunghissima stagionatura.

L’industria al servizio dell’agricoltura, per un prodotto allo stesso tempo genuino e moderno. E’ questo il segreto della bresaola prodotta da un giovane salumificio valtellinese, fondato nel 2016 dal figlio d’arte Giò Porro: “Mi sono chiesto se era possibile tornare ai salumi di una volta, quando si usavano solo sale e pepe”, spiega il 70enne imprenditore, il cui bisnonno Luigi Porro era proprietario terriero, maestro salumiere, appassionato gourmande, e aprì con un salumificio in Brianza già nel 1893. Giò Porro impara dunque sui banchi dell’università (è laureato in Veterinaria a Milano), e poi nell’industria di famiglia, che gli spazi per le innovazioni tecnologiche e scientifiche in questo settore sono enormi.

“Al compimento del mio settantesimo compleanno, ho convocato i miei figli Andrea e Diego, due manager con esperienza internazionale, e ho spiegato loro che avevo intenzione di realizzare il sogno di una vita: produrre il miglior salume del mondo, con un nuovo metodo produttivo naturale, senza nitriti e nitrati, attraverso una manifattura ad altissima tecnologia. Ho chiesto ad entrambi se avessero desiderio di affrontare questa avventura insieme a me. Hanno risposto positivamente, senza alcuna esitazione”.

E così nel 2016 parte il progetto, basato su un nuovo metodo di produzione della bresaola, uno dei più pregiati salumi italiani, di cui la Valtellina è terra d’eccellenza. Il nuovo concetto viene battezzato Metodo Zero (brevettato) e realizza il “paradosso” di coniugare la qualità artigianale di una volta e l’avanguardia dell’Industria 4.0, dando vita prodotti sani (Zero sta per assenza totale di nitriti, nitrati, glucosio, lattosio, conservanti e additivi) grazie anche alla robotizzazione. E partendo da alcuni capisaldi: “Utilizzare carni bovine delle migliori razze mondiali, perché più magre e sane; e non compensare l’assenza di nitriti e nitrati con falsi sostituti vegetali, ma appunto con una vera innovazione di processo scientificamente validata”.

Il progetto diventa produttivo nel 2017 e commerciale nel 2018, grazie anche ad alcuni partner che nel frattempo entrano a far parte della scommessa di Gio’ Porro, che per realizzare il suo sogno passa mesi interi all’estero, in giro per il mondo a selezionare le migliori carni bovine possibili: si tratta in particolare di una famiglia di imprenditori di Livigno, con due figlie che si innamorano del progetto, Elena e Samantha Pedrana, manager di esperienza nel settore luxury fashion.

Quello di Giò Porro è un esperimento di successo che irrompe in un mercato il cui prodotto, la bresaola, viene consumato secondo i dati ufficiali da 8 italiani su 10. L’Igt Valtellina, secondo i dati del 2017, vanta una produzione da 13mila tonnellate (una volta su due è in vaschetta), per un fatturato di 225 milioni di euro. La formula di Metodo Zero è però segreta: è dato solo sapere che è basata sul tempo e sull’uso del freddo. “Secondo l’industria tradizionale – spiega ancora Porro – la bresaola è pronta dopo 28 giorni di affinamento. Noi invece impieghiamo fino a 6 mesi per la stagionatura. Con camere stagne e controllo digitale della produzione. Ho impiegato cinque anni per i test. Lo stabilimento l’abbiamo costruito e messo in funzione in un anno e mezzo”.

Per ora, la bresaola di Giò Porro è venduta per lo più in supermercati come Eataly, avvolta in una pellicola messa a punto da un ingegnere aerospaziale (a proposito di innovazione…), ma non ha mancato di stuzzicare già i clienti esteri, sempre attenti alle novità del made in Italy: “I primi ad accorgersi di noi – raccontano i Porro – sono stati i consumatori del Nord Europa, dove funziona l’etichetta white label, ovvero quelle del cibo senza aggiunte. La bresaola è un prodotto che viene percepito come salutare e dietetico: l’eccessivo consumo di nitrati può comportare serie conseguenze alla salute, come ha stabilito l’Organizzazione mondiale della sanità”.

La bresaola Porro viene già esportata in Germania, Francia, Svizzera, Giappone ed Emirati Arabi (dove è realizzata con certificazione halal). Gli assortimenti per ora disponibili sono “rosé” (magra e ottenuta da sola punta d’anca di pregiate razze europee, allevate e macellate in Italia), “Angus” (da bovini di razza Black Angus, lavorata esclusivamente fresca) e “wagyu” (da bovini della pregiata razza Wagyu, lavorata esclusivamente fresca, il pezzo probabilmente più pregiato). Il mercato di questo salume nel 2018 è cresciuto del 5,5%. La tecnologia, stavolta, ha dato una mano alla tradizione: per produrre la bresaola “come una volta”, sono stati decisivi gli strumenti del futuro.

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