Condividi

Emmott (Economist) non molla: Bersani, come si fa crescere l’economia italiana?

Il direttore dell’Economist, Bill Emmott, rilancia le domande inviate a Bersani alle quali il segretario democratico non ha voluto rispondere: “fino a quando non lo farà e fino a quando le risposte non saranno convincenti, ci sarà un’ombra sulle prospettive per il prossimo governo, un’ombra sulla fiducia internazionale per Bersani medesimo”.

Emmott (Economist) non molla: Bersani, come si fa crescere l’economia italiana?

Con estrema capacità di sintesi e la disinvoltura di un fine osservatore, l’ex direttore dell’Economist, Bill Emmott, inviò una lettera aperta a Pierluigi Bersani subito dopo la vittoria conseguita nelle primarie del centrosinistra.

In una serie di domande Emmott esortava il Segretario democratico a indicare quali fossero secondo lui le principali questioni da affrontare per tirare il Paese fuori dal pantano di una crisi finanziaria ormai superata – ma sempre dietro l’angolo – e soprattutto per invertire la storia economica italiana dell’ultimo decennio, fatta di bassa crescita e alto debito, che ha contraddistinto esecutivi di tutti i colori.

Più di un mese dopo, Emmott lamenta in un editoriale pubblicato da La Stampa la mancata risposta del candidato progressista. 

Perché l’Italia negli ultimi vent’anni è cresciuta meno degli altri paesi europei? Come si creano posti di lavoro in un’economia moderna, aperta, globalizzata, di matrice capitalista? Ci sono in Italia ostacoli a un simile modello economico che il Pd si propone di rimuovere? A cosa è dovuto l’esodo di talenti dal Belpaese? Il centrosinistra riconosce il fallimento della politica economica assistenzialista, la complicità della sinistra stessa nello svilimento del merito e nella politicizzazione delle istituzioni? Perché le università italiane sono considerate, a livello internazionale, centri di terzo o quart’ordine? Dando per scontate le colpe di Berlusconi negli ultimi venti anni, il Pd riconosce le responsabilità della sinistra nell’aver bloccato le riforme, sia per la sua incapacità nel varare una legge sul conflitto di interessi, sia per le complicità a livello locale con la mafia?

Al silenzio di Bersani, Emmott associa le perplessità che dall’estero iniziano a sorgere sul caso-Italia. Un po’ come per Sergio Marchionne, incensato all’estero quanto detestato in patria, le élite mondiali non capiscono la ritrosia italiana a un Monti-bis.

Gli investitori, oggi, non rimangono più alla finestra: tornano sul debito italiano perché attratti da un ottimo compromesso tra rischio e rendimento. Ma se il populismo montante dell’asse “di fatto” Berlusconi-Maroni-Grillo si mostrasse realmente competitivo, una brusca risalita dello spread non stupirebbe nessuno. Perché allora gli italiani non corrono ai ripari? Perché non sono sufficientemente informati – sostiene tra le righe Emmott -, perché lo stesso centrosinistra è più incline a inseguire logiche elettorali di breve periodo che a esporre la vera fotografia del Paese. Una strategia che fa cortocircuito con la natura globale della crisi e che non indica la via da seguire.

Che in democrazia governi chi vince – nota Emmott – è sacrosanto. Ma chi vince ha anche la responsabilità di parlare il “linguaggio della verità”, di esporre analisi credibili e mostrare la volontà di allargare, dopo il voto, lo spettro politico e le forze sociali di riferimento per varare le riforme “strutturali”. Non ci si può dunque stupire che un Pd “left-leaning”, sbilanciato sull’asse Vendola-Fassina, preoccupi cancellerie estere e investitori istituzionali di mezzo mondo: anche dalla politica fiscale italiana, sostanzialmente, dipende buona parte della stabilità finaziaria globale.

“Questa preoccupazione sarà stata certo un po’ mitigata dall’intervista rilasciata da Stefano Fassina al Financial Times del 13 gennaio. Sembrava confermare che un’amministrazione Bersani sarebbe più centrista che di sinistra, favorevole al patto fiscale europeo e intenzionata ad aprire il mercato delle assicurazioni, delle farmacie e dei servizi legali”. Buone nuove, secondo Emmott, ma non basta: evidentemente si rimprovera al Pd poca risoluzione nel taglio della spesa pubblica, unica via percorribile per ridurre in modo permanente e strutturale l’imposizione fiscale su famiglie e imprese.

Per ora la strategia elettorale impone di “fidelizzare” l’elettorato di riferimento, ma dall’estero notano anche i segni di disgelo tra Monti e Bersani. E lo stesso Fassina ha ieri anticipato al quotidiano londinese che la coalizione di centrosinistra tenterà di “trovare un accordo tra sindacati e imprese per congelare i salari in cambio di investimenti”. 

Rimane però un’ombra, secondo Emmott, sulle prospettive per il prossimo governo e per lo stesso Bersani, per lo meno finché alle domande non verranno date le risposte che gli italiani meritano. Ma forse bisognerebbe ricordare che le domande giuste, purtroppo, spesso non vengono fatte, come le recenti sortite televisive dei candidati premier dimostrano ampiamente.

Commenta